In cui ci diamo coraggiosamente alla letteratura, e vi andiamo a recuperare quei casi in cui un film è diventato talmente più famoso del libro da cui è stato tratto che probabilmente ne ignoravate o avevate dimenticato le origini. Chicche nascoste, tradimenti per il meglio e altre rivelazioni che non avreste immaginato.
Il libro: I Know What You Did Last Summer, di Lois Duncan (1973)
Il film: I Know What You Did Last Summer, di Jim Gillespie (1997)
La trama del libro: quattro amici, poco fantasiosamente chiamati Julie, Ray, Barry e Helen, stanno tornando a casa dopo un pic-nic montano a base di limoni sul sedile posteriore dell’auto quando, tra un tornante e l’altro, stirano un pupo e lo lasciano lì a morire come un riccio qualsiasi. La cosa li turba assai, così stringono un patto di sangue: nessuno parlerà mai più dell’accaduto, e ciascuno tirerà avanti con la propria vita, troncando i rapporti con gli altri e alla faccia del bimbo-frittella. E che vita che li aspetta! Julie viene ammessa a una prestigiosa università, Ray parte per la Calafònia e si abbronza, Barry è quello bello e cuccador, Helen la reginetta di bellezza che lavora in tv. Finché un giorno la povera Julie riceve una lettera che recita: «Il titolo del libro». Lei guarda la copertina e pensa: «Oh no!», e da lì parte una doppia caccia all’uomo; gli amici, cioè, fanno pace e vanno in cerca del misterioso notificatore, il quale a sua volta consegna altre note inquietanti (ritagli di giornale, telefonate anonime, scritte sui muri) e fa intuire che potrebbe fare anche di peggio tipo morirli. Chi vincerà?
La trama del film: la crème dei presunti belli del cinema-e-tv teen di qualità negli anni Novanta (Sarah Michelle Gellar, Jennifer Love Hewitt, Ryan Phillippe, Freddie Prinze Jr., roba che forse persino Scream impallidisce) ha fatto la stessa cosa dei protagonisti del libro, solo che ammazzando un adulto invece di un bambino. A parte questo, i presupposti sono identici al libro: i quattro siglano un NDA e vanno ciascuno per la propria strada, finché un pazzo sconosciuto comincia a lasciar loro notarelle inquietanti. Ciò detto, comunque, l’intreccio del film sta a quello del libro come la maionese impazzita sta alla maionese: Kevin Williamson (vedi sotto) aggiunge pescatori pazzi, decapitazioni, stanze con cadaveri di animali appesi al soffitto, dimenticandosi di dare un senso al tutto.
Cos’è successo in mezzo? Kevin Williamson, appunto. Quello che ha inventato Scream, ma già lo sapete. Quello che ha preso l’horror e l’ha intriso di Beverly Hills 90210. Gli amanti dei film de paura odiano Williamson perché s’è impadronito del loro genere preferito e ci ha aggiunto tette, bacetti romantici, citazionismo e stupidità adolescenziale, rovinandolo. Se ne potrebbe discutere: resta il fatto che Williamson ha il merito di aver preso un cinema tradizionalmente ostico ai più e di averlo plasmato, semplificandolo, fino a intercettare una fetta di pubblico che era già pronta ad appassionarsi a sangue e squartamenti, solo che non lo sapeva. Questa fetta di pubblico si identifica in: i fidanzati di quelle che guardavano Beverly Hills. È un bene? È un male? Fate voi, fatto sta che dopo aver aperto la strada con Scream, Williamson si è creduto onnipotente e ha cominciato a cercare altri potenziali spunti per ripetere la formula all’infinito.
I Know What You Did Last Summer, misconosciuto romanzo per ragazzi dell’altrettanto misconosciuta Lois Duncan, era un bel modo per cominciare: pubblicato all’inizio degli anni ’70, quando ancora Stephen King non aveva scritto nemmeno Carrie, è un bell’esempio di proto-young adult novel, con tutto al posto giusto (bei ragazzoni e belle ragazzine, un po’ di suspense, uccisioni mixate con situazioni di vita vissuta, amorazzi). Il genere di libro che quando avevo dodici anni trovavo nei Gialli Junior Mondadori e leggevo mille volte perché tra l’altro parlava di tette – tipo l’adorabile Weekend di Christopher Pike. Nonché il genere di libro di cui l’autrice stessa si dimentica due giorni dopo la pubblicazione, e si ricorda una volta l’anno quando arrivano le royalties: e infatti nel 1997, quando le royalties alla LD non arrivavano più, Williamson è andato zitto zitto dall’editore, gli ha mollato due dollari e una caramella mou e, alla faccia della povera Duncan, s’è comprato i diritti per trasformare il libro in uno spin-off di Scream.
Affinità e divergenze: i due prodotti, in teoria, sarebbero molto simili. Protagonista principale è la provincia americana, con i suoi oscuri segreti, le strade isolate dove tutto può succedere, la vita con la cumpa e il sogno di fuggire verso la Grande Metropoli: tutto questo prima che Lynch la facesse esplodere, nel caso del libro, e in clamoroso ritardo, nel caso del film. Il nucleo di personaggi è lo stesso, con l’aggiunta, nel film, di un red herring con la faccia di Leonard di Big Bang Theory.
Dove però il libro della Duncan è un romanzo breve e molto educato, il film è uno splatterfest senza capo né coda. Guardate la foto della Duncan, qui sopra: è una signora bene, che vota repubblicano e organizza colazioni a base di té e frittelle nel salotto di casa sua, per discutere con le amiche della figlia della Betsie che è stata ammessa ad Harvard e del raccolto che quest’anno non è stato poi un granché. Dice la leggenda che la povera Lois sia uscita schifata dal cinema dove trasmettevano il film tratto dal suo libro, urlando: «Cos’è tutto questo sangue?». Nel film, anche i personaggi, fatti salvi i primi dieci minuti, sbroccano completamente rispetto alla traccia letteraria: d’altra parte stiamo parlando di Jennifer Love Hewitt nel ruolo della secchiona. Jennifer Love Hewitt, eh.
Nonostante la sua leziosità, il romanzo funziona bene: la tensione è costante, perché è chiaro che la sciura Duncan ha fatto un corso di scrittura creativa di quelli che ti insegnano a troncare i capitoli con una domanda inquietante e poi spostare il fuoco su un altro personaggio. Il film mette da parte l’aspetto psicologico – i monologhi interiori di Julie, per esempio, o di sua madre, scompaiono – e punta di più su oggetti appuntiti nello stomaco e cose così. A forza di aggiungere personaggi su personaggi e introdurre false piste e potenziali sospetti, però, il povero Jim Gillespie perde di vista quello che sarebbe l’obiettivo di un film con l’assassino misterioso: e cioè farci ragionare e ipotizzare, oltre che divertire e spaventare (comunque poco). Nel libro, la rivelazione del colpevole (vedi sotto) è un po’ cheap ma funziona. Nel film, come dire?, è una boiata.
Finali a confronto: il romanzo termina con la scoperta del misterioso smessaggiatore (che è il fratello del regazzino stirato, tornato da altrove per vendicarlo), con la presa di coscienza dei quattro assassini di regazzini («Non si sfugge ai propri errori, è giunto il momento di parlare, consegnamoci alla polizia che sarebbe pure ora»), con un abbraccio romantico tra Julie e Ray («Ti amo amore mio oddio l’ho sempre saputo e ora che abbiamo ammazzato un innocente e abbiamo rischiato la vita per mano di un pazzo l’ho capito ancora di più») e un bel sipario che cala. Niente epiloghi strani né cliffhanger; i quattro confessano e si affidano alla legge, e avendo imparato dai propri errori li si può anche abbandonare al loro destino: il messaggio social-civile è passato, la nostra moralina ce la siamo sorbita, il buon nome della provincia americana è salvo.
Il film, dopo averci spiegato che il colpevole è un personaggio random infilato forzosamente nella vicenda, finisce con un trailer del sequel.
Ma il libro, in generale, com’è? Grazioso. L’ho comprato un sabato e il lunedì ho scritto al Capo: «Guarda che l’ho finito, quando vuoi ti faccio il pezzo», quindi lo si mangia abbastanza in fretta. È molto ingenuo nel trattare la violenza, più efficace quando esplora il tema del senso di colpa divorante e del “non-si-sfugge-al-proprio-passato”. Scritto in modo semplice semplice ma mai sciatto (gli editor americani sono sempre gente brava), non ha né buchi né salti logici né MACCOSA, e più in generale ci sta dentro. Prova anche a fare un po’ di pseudofemminismo – conservatore e timidino –, tipo la scena in cui il maschio alfa dice alla fidanzata topa: «Non è giusto che il tuo sogno sia quello di sposarmi e stare in casa a fare i piatti tutto il dì, devi farti una vita», o anche quella in cui la stessa fidanzata topa di prima spiega a se stessa e al mondo che il motivo per cui ha puntato tutto sul suo essere topa, nella vita, è perché si è resa conto di essere stupida e di non avere reale talento a parte un fisico da sballo, quindi tanto vale cercare di farsi strada con quello che la Natura le ha generosamente concesso. Velinismo ante litteram, forse, ma di un certo impatto. Fun fact: nel film, la fidanzata topa sarebbe Sarah Michelle Gellar, il che forse lo rende fantascienza di alto livello.
In conclusione: libro o film? Dipende. Se siete nostalgici di quel periodo post-primo Scream in cui ogni dieci giorni usciva un teen horror con tettone, squartamenti e balli di fine anno, film. Non è il migliore dei figli bastardi di Ghostface (per quello io punterei sugli Urban Legend), ma una visione se la merita, quantomeno per il cast da Fantacalcio. Se invece i teen horror vi fanno cagare per un qualche motivo – e avreste tutte le ragioni del mondo per –, libro senza dubbio.
Curiosità: esistono due versioni del libro. L’originale del ’73, che si trova sì, ma con una certa fatica. E poi la ristampa riveduta e corretta datata 2010, che oltre a essere facile da reperire (nota ai milanesi: io l’ho trovata dall’ex Messaggerie in corso Vittorio Emanuele) è una delle operazioni editoriali più idiote di sempre. Perché nel disperato tentativo di adeguarsi agli anni che passano, la Duncan ha rimesso mano alla sua storia e ha aggiunto/modificato qualche particolare cretino: una tuta di lycra diventa un vestito di tulle (e fin qui ci sta), la topa che fa la meteorina ha anche un podcast tutto suo (WAT), il Vietnam diventa l’Iraq (e vabbe’), ma soprattutto c’è uno smarmello di telefoni cellulari che spuntano dovunque tranne dove e quando servono. Tutte le volte in cui questi oggetti un po’ misteriosi potrebbero intralciare la trama («Ma perché non tira fuori il telefono e non CHIAMA LA PULA?») la Duncan spiega che «… e aveva il cellulare scarico».
La cosa carina è che il libro funziona proprio perché ambientato nella provincia di cui sopra, di quelle con il nucleo di case un po’ in pianura e poi tanti tornanti che portano ai monti, alla segheria, all’area pic-nic dove le coppiette guardano le stelle e scopano. In pratica, il genere di ambientazione che ha perso il suo fascino più o meno da quando sono nati i cellulari. Esempio preclaro è la scena clou del libro: i quattro, un po’ sbronzi, stanno guidando per i suddetti tornanti, quando stirano il ragazzino e fuggono. Arrivati in città, si recano a un telefono pubblico e chiamano anonimamente la pula per segnalare il cadavere. Perché non farlo prima, sul posto, con il cellulare, magari così, chessò, sarebbero riusciti pure a salvare la vita al regazzi’? «Avevano tutti e quattro il cellulare scarico».
Curiosità bonus: la Duncan ha scritto anche un romanzo intitolato Summer of Fear, da cui Wes Craven – sì, lui, lo stesso che Williamson ha poi obbligato a girare Scream – ha tratto quello che probabilmente è il suo peggior film di sempre.
Libro: Amazon
Primo!
eee boh, niente da dire… ah ecco: quoto la tag su Freddie Prinze jr.
Nel suo genere penso sia uno dei film piu’ merdosi di sempre proprio perchè l’assassino è un pazzo che passava di lì per caso. Na delusione pazzesca.
Nemmeno il peggiore dei film/telefilm di genere ha adottato una soluzione così pietosa.
Maqquindi non sono l’unica che ricorda con affetto Christoper Pike e i Mit Junior? :)
@nellodee, grazie, mi fai sentire meno solo. Tieni, un cuoricino per te: <3
@Gigos: eh. Vero?
@Schiaffi: sì credo che il momento in cui si scopre il colpevole nel film sia uno dei più grossi WUT della storia degli WUT.
Macchemozione! *_*
La serendipità: BioWare annuncia OGGI che Freddie Prinze Jr. è nel cast di doppiatori di Mass Effect 3.
mammamia, orson che applaude mi ha fatto proprio impressione, mica me l’aspettavo così all’improvviso!