Stavo riguardandomi la serie di film horror e thriller (o zriller come dice un mio amico) pubblicata a suo tempo, negli anni Novanta del secolo scorso (ma è come se fosse ieri, o un millennio fa, per noi che viviamo nell’eterno presente dell’illusione), dall’editore Shendene e Moizzi e curata dagli infaticabili archeologi del sapere cinepopolare italiano, i creatori della rivista Nocturno, e tra il mio preferito (il gotico sadicissimo Amanti d’oltretomba) e altri assolutamente da riscoprire (l’esperienza più lisergica è stata la ri-visione de Le orme, un thriller psico-spaziale allucinato e ossessivo, per me almeno che ho l’ossessione di non poter viaggiare nello spazio e l’invidia per i miei pronipoti che sfrecceranno per le galassie a velocità iperluce succhiando energia dalla materia esotica e ceneranno su Urano in ristoranti specializzati in bosoni di Higgs al salmì – ma consiglio anche la “fiaba thriller” Il delitto del diavolo con un fighissimo Ray Lovelock che canta anche i pezzi del film – giuro ha la voce che sembra quella di Romina Power), ho rigustato uno dei classici dei classici del gotico italiano, L’orribile segreto del Dottor Hichcock. Allora ho chiamato il capo che mi ha detto: “Ma perché lo vuoi recensire?” Gli ho risposto d’istinto: “Perché è archetipico”. E lui: “Tu sei archetipico, io sono un autarchico”.
Allora ho pensato a questa cosa di essere archetipico, non io ma L’orribile segreto del Dottor Hichcock. E in effetti mi pare proprio questo che mi colpisce, oltre ai riferimenti hitchockiani e all’idea geniale, inimitabile marchio made in Italy, del titolo, che storpia grottescamente il cognome di Alfred ispirando comicità (sembra un titolo uscito da Alan Ford) per presentarci invece un film rigoroso e spettrale, terrificante e… archetipico. Perché archetipico? Adesso ve lo dico. Basterebbero due parole, ma poi il capo se non faccio almeno 5000 battute spazi inclusi non mi paga il doppio che mi ha promesso, cioè la possibilità di scrivere altre due recensioni sui 400 Calci. Perché scrivere per i 400 Calci è un po’ come mangiare i Boeri. Puoi vincere un altro Boero.
La trama la conoscerete un po’ tutti e se non la conoscete la riassumo per brevissimi cenni. Il dottor Hichcock oltre a essere un medico brillante è anche un mad doctor sessualmente estremista, peggio di Vittorio Sgarbi: è un necrofilo. Fortuna sua ha sposato una delle donne più passive e mansuete della storia del cinema, che anestetizza col suo anestetico brevettato per portarla alle soglie dell’orizzontalità autoptica e penetrarla docilmente fuori campo in stato di simul-morte (pratica peraltro modernissima, siamo nel 1962, netta anticipatrice degli attuali fenomeni di massa di pratiche erotico-autoerotiche e di patti sadomaso da 50 sfumature variopinte). Una volta, particolarmente sovreccitato (lei d’altronde sembra sempre ben disposta) sbaglia dose e la anestetizza fino in fondo. Cioè la uccide. Ma la uccide veramente? Se ne va di casa affidandone la gestione alla governante megera. Torna dopo dodici anni con una nuova moglie, Barbara Steele, cioè Cynthia (Barbara Steele), e da qui inizia il gioco gotico di orrori e scoperte d’oltretomba, ignote spesso perfino al Dottore: tombe vuote, urla nel buio e nella penombra, visioni raccapriccianti, fantasmi non morti, incubi, follie d’immortalità, medici freudiani ingenui (“A Vienna ho studiato con il professor Freud, un medico di grande ingegno”), intontimenti d’avvelenamento (il latte de Il Sospetto ma anche direi lo stillicidio con tazzina di caffè di Notorius) fino a quando il dottor Hichcock cerca di trasfondere il sangue di Cynthia in quello della prima moglie per donarle l’immortalità (a me che sono un demente mi viene in mente la trasfusione finale di Hot Shots quando un tizio coi baffi e una faccia in pace con se stesso si svuota completamente per dare il sangue all’altro). Sì, ecco, una trama non chiarissima almeno per me che non sono una cima. Ma che del film esprime in maniera grandiosa tutta l’energia… archetipica.
È venuto il momento di dire perché archetipico. Be’ molto semplice: perché nel film non si concede niente, niente. Non vi è una sola distrazione dal centro del film: il terrore. Non ci sono ammiccamenti, esagerazioni, iperboli, comicità involontarie (be’ eccetto qualcuna), paradossi. Ogni elemento, scena, dialogo, atmosfera ha la funzione di raggiungere ed esprimere il puro terrore.
È archetipico per i rimandi letterari archetipici, Poe in primis, e i rimandi ai terrori di Poe archetipici (la non morte del signor Valdemar o del Seppellimento prematuro…) e per il binomio terrore-follia con tutto il portato simbolico ed estetico della manifestazione orrorifica delle pulsioni inconsce.
È archetipico perché è un film che se fai vedere a tutte le latitudini, a tutte le generazioni, dopo 50 anni conserva intatta l’energia della sua concezione del terrore come condizione antropologica, come condizione di specie (come ipostasi preconscia, direbbe Julian Jaynes, ma faccio il figo fingendo di citare a memoria semplicemente perché ho letto il capitolo di Jaynes sulle istanze preconscie due giorni fa).
È archetipico perché è totalmente centrato nella sua visione. Paura della morte, dell’oblio, del dolore, della perdita. Paura dell’orrore, della violenza, della pazzia. Paura del sesso come portatore ossessivo di morte, come conduttore di morte (dal binomio eros-thanatos al binomio tautologico tanathos-tanathos).
È archetipico per l’amore. L’amore eterno, l’amore al di là della morte, l’amore che desidera la morte per l’eternità ma che ha il terrore della morte. L’amore come pulsione erotica e famelico, bruciante desiderio d’immortalità. L’amore eterno, splendido e macabro dell’Abominevole dottor Phibes (in assoluto il mio preferito… Vincent Price che suona l’organo poi dice con una delle espressioni più impassibilmente geniali dell’umanità: “Nove ti hanno uccisa e nove moriranno per ripagare la tua fine ingiusta. Nove volte, nove saranno le loro sofferenze. Nessuno di loro si salverà. Nove eternità per la tua”. Nove eternità per la tua! B-e-l-l-i-s-s-i-m-o. Mi sono pure comprato il romanzo del Dottor Phibes, ma non l’ho ancora letto. Però il Dottor Phibes non è archetipico, basta che lo guardate e capite che è così. D’altra parte nessun inglese può essere archetipico. Tranne Kubrick e Clarke naturalmente).
È archetipico perché la fotografia netta e non barocca (non hammeriana né baviana) comunica un realismo raggelante, i chiaroscuri marcati e la rigidissima legnosità di Freda è perfettamente funzionale allo scopo e ne rivela, forse involontariamente, le inconsce pulsioni artistiche sotto la corazza di artigiano del cinema popolare (come nei Vampiri; ma là c’è lo zampino del supervisivo Mario Bava).
È archetipico perché le urla di Barbara Steele sono sempre le più terrificanti (che ne dici, Brian De Palma di Blow Out?).
Insomma, è archetipico.
È archetipico direi sia in senso psicologico (esprime una dimensione archetipica) sia in senso cinematografico (si pone come archetipo).
Ah sì eh? E allora Frankestein? E allora Dracula? E allora Freaks? Non sono mica archetipici anche quelli? Oh ragazzi, ho detto che è un film archetipico, mica che è il film archetipico!
Ps: Una sola cosa su Amanti dell’oltretomba. Può essere considerato un remake sadico de L’orribile segreto del Dottor Hichcock, con un’unica differenza: la governante è Helga Liné, cioè una gnocca pazzesca.
DVD-Quote
“Archetipico.”
Jean-Luc Merenda, i400calci.com
Da qualche parte, in qualche modo, ci deve essere almeno una statua di Barbara Steele a grandezza naturale.
Se non c’è, la razza umana è darwinianamente destinata all’estinzione.
ARGH, il post non è mio, è di Jean-Luc Merenda, appena posso correggo, portate pazienza…
Fatto! Continuate pure.
come riusciva la Steele a fare sangue e inquietudine assieme…..
secondo me per i cultori dell’horror è stata tipo Edwige Fenech per il militare italiano settantottino. Apposta Cronemberg l’ha messa inguda nella vasca da bagno ne “Il demone sotto la pelle”.
Il suo top credo sia stato “I lunghi capelli della morte” di Margheriti. Il tanto decantato “La maschera del demonio” invece era acqua fresca.
prima della correzione pensavo ci fosse un capo sopra al capo. e fantasticavo…
Sono andato a controllare (non mi ricordo mai) su Kubrick… è americano ma poi è andato in Inghilterra. Per questo l’ho sempre considerato inglese. Comunque è archetipico.
Le Orme è il classico film che meriterebbe un remake di alto livello. Un’anomalia assoluta nel panorama del cinema di genere anni 70. Non l’ho mai visto, ma ho sentito parlar bene anche di Giornata Nera per l’ariete, dello stesso regista. Strano che poi non abbia fatto più nulla.
@valerio: no, non sono religioso
@valerio: io temevo una personalità cobrettesca multipla..
@John Who? Ottimo consiglio!
Proprio qualche giorno fa mi sono visto Il pozzo e il pendolo con il grandissimo Vincent Price e oviamente Barbara Steele, aaah il fato…
Bravo Jean-Luc.
Mi associo anche nell’ essere ultras per il Dr. Phibes.
Il Dr. Phibes da piccolo mi faceva cacare sotto come pochi altri.
qualcuno si sinceri delle condizioni di salute del Merenda…
ho letto l’articolo sbagliato, o il blog sbagliato
no, e’ solo una provocazione perche’ ora che ci siete vorrei la recensione di vivre sa vie di godard (http://www.imdb.com/title/tt0056663/), quello dedicato al cinema di serie b (infatti c’e’ una scena con la giovanna d’arco di dryer)