Bentrovati, via con la sigla!
httpv://www.youtube.com/watch?v=t8j4axdEYLA
Per noi italiani l’Ercole cinematografico è un nodo importante sia di affezione che di storia del nazional-popolare oltre che dell’economia del paese. Non quanto l’Ercole classico possa essere stato importante per i nostri antenati pagani ma quasi. Andiamo però con ordine e partiamo dal contesto in cui Ercole arrivò in sala.
La fine degli anni cinquanta segnava ufficialmente l’inizio di quello che oggi cataloghiamo come “Il Boom” e la definitiva uscita dal lento dopoguerra.
Per molti versi penso sia lecito dire che il novecento, per come lo abbiamo vissuto e per come ci viene in mente se lo nominiamo, possiamo farlo iniziare proprio da quegli anni visto che precedentemente fu caratterizzato da due guerre lancinanti in cui molti nodi nel secolo precedente vennero al pettine impedendo di fatto al nuovo secolo di fiorire autonomamente.
In particolare l’annata 1958-1959 oltre a chiudere la decade fa da spartiacque tra due mondi, economici e culturali. Sorgono i blocchi occidentale e orientale, inizia la guerra fredda, Castro rovescia Batista a Cuba ed instaura la più longeva dittatura comunista a due passi dal paese dell’anticomunismo, il mondo occidentale conosce una prosperità mai sperimentata prima ed emerge la prima generazione che non vivrà sulla sua pelle una guerra, i baby boomer che vivranno in un Eden di TV e beni di consumo per moltissimi anni creando pure la prima generazione di insopportabili viziati col culo pesante, in senso anche letterale visto che saranno le prime generazioni di bambini con frequenti problemi di sovrappeso. Se qui fossimo in un film adesso ci metterei uno spiegone di montage con filmati di repertorio in bianco e nero con sopra High Hopes di Sinatra, invece vi tocca leggere.
Qui in Italia ci si stava lasciando alle spalle le tragedie della guerra, le miserie delle generazioni precedenti, ci comperavamo la 500 a rate e la TV, comperavamo i vestiti alla Upim, uscivamo dalla dimensione prettamente agricola e artigianale per diventare una nazione moderna, investivamo ingentemente nelle industrie e l’industria dell’intrattenimento era tra queste, passavamo dal neorealismo ad un cinema caratterizzato dalla componente del puro svago.
Spettacolo e musica ne producevamo già e di gran livello sia chiaro ma dalla fine degli anni cinquanta cominciammo a produrne di più, molto di più, cominciammo a produrne così tanto che ci conquistammo una grossa fetta del nuovo nascente mondo dell’ entertainment… E molto di ciò partì da questo piccolo grande film: Le fatiche di Ercole del 1958, appunto.
Il pallino per la mitologia ce l’abbiamo sempre avuto: ne siamo intrisi e ci abbiamo razzolato per millenni, viviamo in città dove tutto ce la tira in faccia e una volta arrivati alle prese col cinematografo i primi risultati eclatanti li abbiamo avuti con cose a trattazione fantastica e mitologica.
Prima con l’Inferno del 1911 si inaugura il fantastico nel cinema italiano e poi via con una lunga sequenza di film mitologici fino agli anni venti, soprattutto col meraviglioso Cabiria del 1914 – nel quale nasce il personaggio di Maciste, vero prodromo dei fasti forzuti a venire- dove creiamo per il cinema uno standard narrativo e produttivo, un’estetica di riferimento azzarderei: quella della scenografia opulenta e della trattazione di argomenti storico-fantastici sul crinale della mitologia vera o riarrangiata che sia. Perché siamo fatti così: ‘a mitologgìa ce piasce e la sappiamo fare bene.
L’industria del divertimento statunitense, soggetta prima di noi alla smania di intrattenimento, portò nella prima parte degli anni cinquanta il film storico in Italia con i suoi kolossal, mettendo sulla ribalta internazionale Cinecittà e quei teatri di posa voluti dal fascismo come timido avamposto di una risposta all’industria cinematografica estera, risposta che nei numeri però mai avvenne realmente fino al dopoguerra.
I kolossal coi suoi aitanti attori statunitensi, le sue attrici affascinanti e i suoi budget stellari capaci di ricostruire i fasti di intere città, capitalizzarono gli incassi e le fantasie degli italiani del tempo creando una mania che era ben lungi dal’ attudirsi quando i cinemobile delle MGM e delle Paramount sbaraccarono e i divi di Hollywood non si ubriacavano più come asini per le vie della dolce vita romana.
Quindi accadde che da popolo di navigatori quale siamo triangolammo gli astri di “passione per il film storico magniloquente” e di “passione per il fantastico” con quello di “c’abbiamo due spicci” e, da popolo di arrangiati quale altrettanto siamo, trovammo il modo di capitalizzarci.
Cosa accadde quindi? Fondamentalmente si decise di fare dei kolossal autoctoni, con un budget consistente per le produzioni nostrane ma imparagonabile agli standard hollywoodiani e di sopperire alla carenza di mezzi facendo di necessità virtù e massimizzando tutto con l’inventiva, inventiva in senso lato: sia dal punto di vista di furbizie produttive e tecniche che da quello prettamente della fantasia, spostando le vicende storiche in un ottica fantastica e impostandole non come vicende pseudo-realistiche come nei kolossal ma come dichiaratamente stilizzate ed ironiche, più vicine al fumetto d’avventura che ai libri di scuola.
Con Le fatiche di Ercole inventammo in buona sostanza il film mitologico\fantasy moderno, nacque il cosiddetto Peplum e fu subito una mania: Ercole venne venduto in tutto il mondo e il suo protagonista Steve Reeves – sul quale ci soffermeremo dopo- divenne una star mondiale finendo con l’essere l’attore più pagato in Europa.
Il povero (di mezzi) peplum sostituì insomma con una manata il ricco kolossal storico, la richiesta del genere divenne pressante e dopo un ovvio sequel de Le fatiche di Ercole – Ercole e la regina di Lidia del 1959 – si aprì la diga.
A Cinecittà ormai con gli interni di una produzione mitologica di serie A, con due mani di vernice e una tenda, si riarrangiavano le scenografie per due di serie B e tre di serie C, quando Cinecittà costava troppo ci si spostava ai nuovi studi Elios e De Paolis, più piccoli e con prezzi competitivi. Per gli esterni ci si spostava nella limitrofa campagna romana, che oltre ad essere pertinente come aspetto presentava il gigantesco vantaggio di spostamenti ridotti al minimo. Quando proprio servivano ambienti ampi ci si spostava in località esotiche, in primis Manziana al punto che ormai era una Cinecittà all’aperto con quasi altrettanti set, oppure nella attuale riserva naturale di Tor Caldara, allora una macchia selvaggia dove qualche volta si girava anche di straforo senza permessi e se necessario -con buona pace dell’attuale FAI – si tirava giù pure qualche albero per fare spazio alle riprese, per non parlare poi dei “fegatelli” girati all’ultimo momento in località di fortuna come i parchi urbani dell’Appia e Caffarella se non addirittura nei giardini di ville private sul’ Appia antica e Tor Carbone e insomma era tutto un fermento. Pensate: una società di produzione lavorava anche a più pellicole contemporaneamente e le stesse maestranze tecniche e produttive spesso si dividevano su più set contemporaneamente per massimizzare la produttività e minimizzare tempi, spostamenti, troupe e quindi costi. La catena di montaggio era così serrata che la seconda unità era obbligatoria se i fondi lo permettevano e se il regista si ammalava ce ne erano sotto contratto di giovani in panchina pronti a sostituire il maestro e a non firmare il girato. Tra questi, per dire, anche i giovani Riccardo Freda e Michelangelo Antonioni.
Onde spremere il limone si diede quindi fondo a tutti gli eroi forzuti della mitologia: snocciolammo in pochi anni tutti gli Ercole e Sansone che potevamo, ripescammo pure gli inventati Ursus e il succitato Maciste quando finimmo gli eroi mitologici ufficiali e, quando le gesta delle leggende finirono spingemmo ancora di più il pedale della fantasia mandandoli al centro della terra, contro i marziani, facendogli fare a botte tra di loro o alleandoli.
Con film e filmetti fatti di forzuti, tette, botte, mostri e spade iniziammo a fare una cosa che da lì in poi avremmo fatto per molto tempo e che oggi non facciamo più: producevamo film divertenti, con un ottimo rapporto investimento\rendimento e che -soprattutto- vendevamo in tutto il mondo. Badate bene che non solo esportavamo i titoli ma facevamo scuola: da dopo Le fatiche di Ercole, per tutti gli anni sessanta, si moltiplicarono all’estero i film d’avventura affini, con capolavori come i film di Harryhausen su tutti.
La questione spiacevole è che con una produzione così ingente e travolgente di pellicole, il limone si esaurì in fretta e la qualità scemò inevitabilmente, portando il genere ad una deriva rapida quasi quanto il suo successo. Ma la lezione non fu da poco: il piccolo cinema italiano capì che poteva essere grande se giocava d’astuzia e quasi immediatamente dopo la caduta del peplum si giocò al rialzo. Pensammo che se con pochi mezzi avevamo raccontato così bene il fantasy di casa nostra ora che eravamo una macchina da guerra del bluff potevamo rivendere pure i ghiaccioli agli eschimesi… E rivendemmo il western agli americani, spesso girando l’Arizona nelle stesse location naturali che furono l’antica Grecia. E dopo il western fu la volta del poliziesco, del giallo, del “thrilling”, e così via per decenni.
Le fatiche di Ercole quindi non inaugurò solo dirompentemente il genere “sandalone”, come veniva chiamato in gergo all’epoca il peplum, ma fu l’accensione della fabbrica del cinema di genere all’italiana, sul cui banco di prova si perfezionarono meccanismi e trovate che hanno portato lustro, divertimento e soldi- tanti, tanti, tanti soldi – al nostro paese.
Ma questa è un’altra storia e per chi invece volesse approfondire rimando all’insostituibile Il grande libro di Ercole, di Della Casa/Giusti visto che ci siamo dilungati abbastanza qui.
Parliamo quindi del film e del primo Ercole nel dettaglio.
Le fatiche di Ercole, a dispetto del nome, parla solo marginalmente delle fatiche che l’eroe greco dovette compiere per espiare la colpa di aver ucciso -stregato da Era- la sua famiglia, unendo alcune di queste alla sua partecipazione alla spedizione di Giasone e gli Argonauti per il vello d’oro, spedizione che nella leggenda Ercole compie solo successivamente alle fatiche e che abbandona molto presto ma che qui invece la vediamo portare tutta sulle sue spalle.
Il distacco dal materiale mitologico originario è così palese che negli USA venne chiamato semplicemente Hercules , senza alcuna menzione delle fatiche nel titolo e nel poster, dove viene immortalata e invece la commovente sequenza del terzo atto in cui Ercole che spezza le catene che lo imprigionano e ci prende tutti a pizze in faccia.
E manca il protetto di Ercole, Iolao, qui sostituito da Ulisse (wtf?!) che partecipa quindi alla spedizione con suo padre Laerte, così come figurano personaggi come Esculapio che non solo non partecipò alla spedizione degli argonauti ma che addirittura figura come padre di Giasone e così via. Insomma le libertà sono talmente tante e tali che il film non cerca di spacciarsi per una vicenda seria neanche per un minuto, e questa sfacciata libertà rispetto al materiale d’origine è indice di un’onestà intellettuale precisa, una cosa che spesso molti film epico\fantasy moderni non hanno. Le fatiche di Ercole è così consapevole della sua chiave spensierata, avventurosa e autoironica che al primo minuto ci cala in una dimensione da fumetto epico, quasi supereroistico, con Ercole che salva la bella principessa Iole (una scosciatissima Sylva Koscina) sradicando un albero e tirandolo addosso ai cavalli imbizzarriti della carrozza su cui lei è trascinata, in una sequenza di effetti speciali ancora notevolissima come resa realistica -e con “realistica” intendo dire che si sradica un albero verosimile e lo si tira davvero addosso a dei cavalli che corrono- e subito dopo palesa il suo lato leggero quando successivamente all’averla salvata con sfoggio di muscoli cerca di sedurla offrendole un trancio di porchetta che lei altezzosamente rifiuta, con lui che la guarda quasi a dirle “a bella, nun sai che te perdi”, con un registro da commedia all’italiana d’antan in cui non sfigurerebbe un Maurizio Arena.
Una dimensione ironica così pronunciata che nel’ edizione statunitense si decise di enfatizzarla ulteriormente coi testi di un giovane e promettente autore: Mel Brooks.
Due sono le figure cardine del film. La prima, in ordine di visibilità, è Steve Reeves.
Reeves è un ottimo Ercole all’italiana, non solo ha il fisicone del ruolo ma ha anche l’aria da bullo simpatico e onesto necessaria alla chiave semiseria del film, è perfettamente in parte e si porta il film a casa senza sforzo con una convizione che convince e crea la sua icona nel posto giusto al momento giusto, a tratti è quasi Angelo Infanti mitologico.
Vi racconto un aneddoto per farvi capire l’importanza del fenomeno Reeves nella cultura popolare di allora e successiva.
L’anno scorso mi trovavo ad Austin in Texas. Nella University of Texas, che è uno dei campus statunitensi più rilevanti per le discipline sportive, precisamente nel dipartimento di scienze motorie c’è un piccolo museo dedicato allo sport che comprende anche la cultura fisica. Ci sono arnesi in ghisa, kettlebell dell’ ottocento, foto di forzuti del circo, programmi di allenamento militari, ritratti ad olio di Lou Ferrigno, autografi di Franco Columbu e ficate così; in un angolo di questa area campeggia una foto a grandezza praticamente naturale di Reeves: è l’inizio della sezione dedicata al body building.
Perché Reeves non solo fu il primo body builder famoso del cinema ma anche perché rappresentò uno spartiacque fisico tra i forzuti seppur prestanti ed atletici del cinema -e quindi dell’immaginario moderno -precedente e i fisici scolpiti muscolo-per-muscolo del cinema successivo. Stallone e Schwarzenegger ad esempio citano puntualmente Le fatiche di Ercole come film cruciale per il loro desiderio di diventare degli attori e indicano Reeves come un loro mito, per farvi capire quanto sia strumentale questo film anche per il sito che state leggendo.
Fu un cambio di carte in tavola non da poco che alzò l’asticella della rappresentazione del fisico maschile molto più in alto e traslò l’ideale di forza maschile al passo coi tempi. Sì perché per avere il fisico di Reeves, per praticare il body building è necessario, oltre al faticare con i pesi, adottare una dieta studiata ed iper-proteica che le generazioni precedenti non potevano assolutamente permettersi. Benvenuti nella percezione del corpo maschile nell’epoca del consumismo, del benessere, del Boom.
La seconda figura è Mario Bava. Chi sia questo signore dovreste saperlo tutti quanti qua sopra, non solo perché fu fondamentale per il primo horror italiano –I vampiri di Freda, del 1959- ma anche perché con i suoi film successivi ha plasmato in parte l’estetica dell’horror e del fantastico del suo tempo, che ispirò e ancora continua ad ispirare autori di tutto il mondo. In questo film è nel ruolo di deus ex machina del visual, occupandosi di tutto ciò che sono le immagini come direttore della fotografia e creatore degli effetti speciali, facendo un gran lavoro.
Per ottimizzare i costi e minimizzare le carenze di budget Bava sposta intere sequenze sull’atmosfera e sull’astrazione grafica, introducendo alcune trovate che caratterizzeranno i suoi film futuri più famosi da La maschera del demonio a Diabolik. Ambienti palesemente e volutamente artefatti, zone di buio con tagli di luci colorate, fumi, illuminazioni a contrasto caldo\freddo… A tratti, grazie all’ immenso Marione nostro e al suo talento visionario, siamo già visivamente negli anni sessanta della Corman.
Bava è così presente e riconoscibile in così tante sequenze che a conti fatti è un suo film a tutti gli effetti, eclissando in toto la mano del regista Pietro Francisci. Bava tornerà su Ercole sia nel secono episodio con le mansioni di direttore di effetti speciali e fotografia e dirigerà direttamente il terzo, il macabro Ercole al centro della terra dove farà esplodere le succitate caratteristiche visionarie e cromatiche in un film a briglia sciolta, in un acidità che anticipa tutte le pellicole a tema occulto inglesi della fine degli anni sessanta.
Quindi? Quindi è un gran film. No, davvero. È praticamente obbligatorio per la cultura del cinema di genere e per quella di quello da combattimento ma è fondamentalmente un film per tutti, un film godibile tutt’ora e anche chi non è abituato a guardare film “vecchi” non faticherà a riconoscerne meriti e i colpi di genio e addirittura divertirsi, perché nonostante la sua età ha una modernità ed una leggerezza che sono praticamente universali, un film che – sorprendentemente – risulta risibile in ben pochi momenti, risultando quindi invecchiato molto meglio di tanti suoi coevi e colleghi e meritandosi il suo status di culto non solo per motivi di primigenìa.
DVD-Quote suggerita:
Muscoli, cosce, porchette e sganassoni in nome di Zeus.
Darth Von Trier, i400Calci.com
Guarda che quello a olio é Columbu!
Bava uber alles! Bei tempi per il cinema italiano…..
Applausi!
Sarò sincero: un articolo così bello carico di passione è rinfrancante. Certo, non mi dispiace quando si cazzeggia e si caciarona, ma un articolo così ogni tanto fa la differenza.
Chapeau.
Detto questo, ma qualcuno si è mai interrogato su “dove cazzo abbiamo sbagliato?”.
Quando e come ci siamo dimenticati come “far cinema di massa”? Quando e come abbiamo imboccato la via che ci ha relegato nella nicchia del “film che può essere solo visto in Italia” e nella nicchia del “film che può essere visto solo da un pubblico di intenditori acculturati.”?
Oppure è stata una molto più banale “fine di un ciclo”: una nazione ed una cultura può condizionarne altre solo per un tempo limitato?
Bellissimo pezzo Darth! Vorrei dire qualcosa di più ma sono un cane. Seriamente, questa gemma che non vedo da davvvero troppo, si meriterebbe un postissimo in programmazione per la #400tv!
Enorme Darth!
Più che altro quando abbiamo smesso di fare film di genere sarebbe da chiedersi (che sia fantasy, che sia horror, che sia polizziottesco, che sia giallo)…per me l’ultimo eco è fantaghirò (non a caso di Lamberto Bava).
pezzone, complimenti…quando cinecittà era hollywood…
ho un flash di ercole che combatte contro un carro del carnevale di viareggio, che film era…?
Grande articolo! Da amante quale sono del genere…
Personalmente, il mio peplum preferito è “Arrivano i titani” (1962) con un Giuliano Gemma in formissima, e fracassone come pochi… lì il “palestrato” è il co-protagonista, un giovanissimol Serge Nubret che poi contenderà più volte il Mister Olimpia a Ferrigno e Schwarzy (arrivando sempre dietro l’orgoglio di Thal)…
ma vorrei ricordare un piccolo “capolavoro” di cafonaggine cinematografica: “Ercole, Sansone, Maciste e Ursus gli invincibili” (1964) primo esempio di supergruppo avenger-style, con trovate tipiche della commedia degli equivoci.
Chissà perchè si è voluto uccidere il film di genere in Italia,lasciando solo la commedia in cui girano i soiti 4 o 5 “stronzi” in film da tinello(cit da Tarantino).
Chissà perchè si è voluto uccidere il film di genere in Italia,lasciando solo la commedia in cui girano i soliti 4 o 5 “stronzi” in film da tinello(cit da Tarantino).
Questi sono i film che guardavo con mio nonno da piccola, assieme a John Wayne (letto come si scrive) e Sergio Leone.
In effetti, forse non dovrei stupirmi così tanto dei miei gusti da adulta…
Da incorniciare. Senza Reeves e Bruce Lee non andavamo da nessuna parte si.
The Rocky Horror Picture Show (Sweet Transvestite):
“…Let me show you around,
Maybe play you a sound,
You look like you’re both pretty groovy,
Or if you want something visual,
That’s not too abysmal,
We could take in an old Steve Reeves Movie…”,
a proposito di echi che si sarebbero riflessi in tutto il mondo e per molti anni a venire.
bellissimo! il pezzo e il film!
@Darth ma nella foto con commento “pronti a capitalizzare” quello accanto a Reeves è Marione Bava?
arrivano i titani è una figatissima
“perché fai del male al nostro fratellino?”
e giù botte.
Gran bel pezzo per far conoscree un cinema conc’è più.
Poi su bava avrei un grosso buco, sapete dirmi qual è la roba imprescindibile?
uau
è vero: com’è stato che ci siamo messi a fare solo film depressi, o sulla mafia e la camorra, o di vacanze natalizie? è tutta colpa della piovra?
@anna
“per via della politica amica, solo della politica”
il declino cominciò con la nascita delle tv private nazionali, quindi è colpa di berlusconi
Sfrutto il nuovo nickname affibiatomi dagli studenti per congratularmi per la bellezza di questo post.
Uno dei pezzi più belli e pregni di cultura di sempre, grande Darth!
Cmq niente, a ‘sto punto lo recupero e vediamo che succede…
Malessere e fastidio al pensiero di come siamo ridotti cinematograficamente in questo paese….
Primo commento dopo anni e anni di onesto lurko.
Solo per applaudire commosso il pezzo .
E il filmone, ca va sans dire!
Applausi.
Pezzone della madonna.
Purtroppo in questo periodo faccio fatica a trovare il tempo di leggere tutti i vostri articoli, ma questo me lo sono letto tutto e con gran soddisfazione.
Inutile dire che concordo anche con le virgole.
E in più faccio miei le considerazioni di Oliver Die Hardy nei commenti.
Un’estate di una ventina di anni, grazie ad una specie di ciclo pomeridiano trasmesso da Rete4, me ne ero sparati un bel po’ di peplum.
Alcuni erano cagatine, ma quelli interessanti, ben fatti e davvero divertenti erano molti di più di quello che mi aspettavo.
Ovviamente “Ercole al centro della terra” è il gioiello assoluto del genere.
In effetti credo che la trasmissione di questi film nel post pranzo delle domeniche estive fosse tipo la regola
Mi levo il cappello
ok, mettiamo in lista pure questo.
Gran bel pezzo, complimenti e grazie!
L’ho letto davvero di gusto, poi mi è montato il fastidio al pensiero della fine che ha fatto il cinema italiano in questi ultimi 40 anni…ormai solo commedie insulse o film “impegnati” di (ipocrita) “critica suciale”.
Aridatece er cinema de genere!!!
Sono commossa!!
Essendo cresciuta anch’io coi Peplo…e Reeves (SBAV!) era un assoluto.
Sottolineerei che Maciste era inventato, in vero credo dal Vate, mentre Ursus non era esattamente inventato di sana pianta ma veniva dalla tradizione (non so se letteraria o popolare) sui martiri cristiani del Colosseo.
E uno dei miei preferiti era “Arrivano i Titani” conll’ossigenato Giuliano Gemma affiancato da non so come si chiamasse…come nei westerns abbiamo dato più dignita ante litteram agli attori afro americani (o afro francesi)
Ah! Dimenticavo!
Sembra che fosse in un lago in Emilia Romagna il set di molti films storici o proprio dei Peplo con ambientazioni marinare. Per anni, dopo la chiusura del set e della compagnia cinematgrafica che lo fondò, rimase un finto galeone sfruttato come ristorante finchè anche questo non chiuse e il “legno” non fu abbandonato. Si dice che ne sia rimasto un pezzo di legno nei canneti del lago medesimo.
Scusate la pochezza di dettagli ma ho ascoltato per caso questo fatto alla radio.
@john Matri: Lo so, so’ tanti, ma come si fa?
In rigoroso ordine cronologico – e bada che stiamo parlando di almeno 5 generi diversi-: La maschera del demonio, Ercole al centro della Terra, I tre volti della paura, La frusta e il corpo, Terrore nello spazio, Operazione paura, Diabolik, Reazione a catena, Cani arrabbiati, Schock -sic-. Se ti rimane tempo, riesuma pure quel gioiellino che fece per la Rai assieme a Lamberto, nel 1979, La Venere d’Ille, tratto da Merimeé.
Buona visione
Grazie mille.
grazie Darth, ho imparato qualcosa :)
mi viene sempre in mente questo pezzo di Flaiano:
“Mi viene incontro un anziano generico, che da anni, in questa rinascita storico-biblico-mitologica della nostra cinematografia, passa da un film all’altro senza nemmeno cambiarsi la truccatura. E’ un saggio a Tebe, un arconte ad Atene, un consigliere alla corte dei faraoni, un sacerdote a Babilonia. A Creta è il guardiano del labirinto, nell’Olimpo è Saturno, in Galilea un apostolo.
Mi chiede un piccolo prestito. “Non stai lavorando?” gli chiedo. Allarga la braccia, desolato: “Dovrei fare un senatore, ma a settembre!”.
Comunque è un peccato che il peplum sia l’unico genere delle serie b industriale italiana non toccato dalla rivalutazione e riscoperta generale degli ultimi 10 anni, probabilmente perché è mancata la benedizione salvifica di Tarantino.
@Oliver banalmente negli anni ’80 la televisione ha rubato i soldi. E’ davvero una decadenza esemplare, da studiare: prendi il secondo cinema del mondo, un incredibile gruppo di talenti e geni in ogni reparto e ad ogni livello, levagli l’industria da sotto i piedi e cosa rimane? quasi niente.
I Fellini, gli Scola, i Petri ecc. lasciati da soli, senza gli Ugo Piazza, i Trinità e gli Ercole a guardagli le spalle hanno prodotto solo un gruppetto di amichetti e parenti de roma asfittico e provinciale. L’industria può soffocare e uccidere, ma rimane l’ossigeno dell’arte.
@Enea/bluebarry grandi, anche il mio!
da piccolo lo riguardato decine di volte, mi ricordo l’angoscia per l’uomo spezzato in due nell’arena o il combattimento coi sacerdoti e l’esaltazione per per l’apparizione dei titani in blocco.
l’ho