Come un fastidioso herpes del quale si è sicuri di essersi liberati, e che invece torna a fiorire come una zucca sul labbro al momento meno opportuno, la mania di prendere un genere cinematografico a caso, aggiungerci … of the Dead come appendice e trasformarlo in: un genere cinematografico a caso con gli zombie sembrava essersi estinta. In realtà, nutrivo la segreta speranza che il mai troppo prematuro naufragio del progetto Orgoglio, pregiudizio e zombie (voi credete davvero che vedrà mai la luce del Sole, e se lo farà che qualcuno lo degnerà mai di uno sguardo?) avesse dato il colpo di grazia a un sotto-sottogenere che poteva finire con Pegg, Wright e Frost, e che invece si era perso in mille ridicoli rivoli oscillanti tra il cattivo gusto e l’umorismo poco divertente.
E invece, come un fastidioso herpes, ecco che il malefico suffisso torna a colpire, e questa volta, come una putrida brezza dalle bianche scogliere francesi, colpisce a gamba tesa il magnifico mondo del pallone, con i suoi valori, le sue storie, i suoi scontri ideologici, i suoi campi in stile Holly e Benji che si allungano all’infinito, incuranti del sistema metrico decimale, mentre racconti, ricordi e volti si sovrappongono a doppi passi, rabone, tiri tutti insieme. In un mondo di procuratori senza scrupoli e stelline strapagate, di Carletti Mazzone e di Giuseppe Signori e di tifosi dal cervello a nocciolina, una coppia di cugini d’Oltralpe sbatte con noncuranza un branco di non-morti ultrapotenti alla Resident Evil su una commedia a sfondo sportivo, come scusa per narrare la parabola, umana e professionale, di alcune figure che qualsiasi appassionato di calcio riconoscerà come archetipi del mondo del pallone odierno.
La cosa bizzarra è che, pur entro certi limiti, questa roba funziona. Sigla!
httpv://www.youtube.com/watch?v=5H59Py7KApU
Non prendiamoci in giro: Goal of the Dead è un film che deve tutto a quell’altro film inglese sugli zombie e la commedia romantica, e non fa nulla per nasconderlo, fin dai primi secondi:
La scelta di dividere il film in due metà, corrispondenti a due tempi di una partita di calcio, e di riempire l’ipotetico intervallo con un corto/flashback sull’infanzia del protagonista, fin lì in relativo secondo piano, per aiutare ad approcciarsi alla seconda, più violenta e brutale, metà del film come a una metafora per un qualche percorso di crescita del protagonista stesso, la scelta, ecco, è innanzitutto intricatissima da spiegare, e soprattutto parla di una scrittura autoconsapevole e che sfrutta l’elemento horror come strumento per dire qualcosa sugli esseri umani, più che come centro del progetto.
È la solita storia delle commedie horror post-Shaun che non hanno capito un cazzo di Shaun, in cui l’horror all’acqua di rosa serve per convincere chi solitamente non guarda horror di aver guardato un vero horror. Prova ne è il fatto che il primo tempo, trascorso in gran parte a presentare, in perfetto stile francese, la varia umanità (si legge: casi umani) che popolerà il film, è, con qualche divertente eccezione, un po’ una palla al cazzo. Molto ben diretta e molto ben scritta, e con il pregio di presentare personaggi diversi dai classici stereotipi dello zombie movie americano, ma comunque un po’ una palla al cazzo.
Più che gli abitanti del villaggio di Caplongue, dove si svolgerà la partita di coppa tra l’Olympique du Paris e la compagine locale, occasione peraltro per l’attempato attaccante Samuel Lorit, il Beppe Signori di Francia, vecchia gloria locale trasferitasi, con enorme scorno dei supporter del posto, proprio al club della capitale, di tornare a visitare i luoghi dove tirò i primi calci al pallone, accompagnato in questo viaggio da una giornalista curiosa e in cerca di uno scoop sulla stellina minorenne dell’Olympique, Idriss Diago, re dello SWAG, è il microcosmo dello stesso Olympique che fa venir voglia di proseguire nella visione, almeno se si ha una minima passione per il giuoco della pallapiede.
La squadra è guidata da una specie di Carletto Mazzone, innamorato dei vecchi valori e in rotta con l’agente di Diago, e plenipotenziario della squadra, Marco Zombroni (giuro), uno che, indicando il trio di giocatori coreani che l’Olympique ha comprato in stock nel mercato invernale, dichiara «con i 35 milioni dello United per Diago ti compro altri tre musi gialli». Nello scontro ideologico tra l’idolo adolescente delle ragazzine e il vecchio centravanti brontolone si rivedono milioni di situazioni simili di questi anni, e mi basta dire PATO per avere ragione. Il diorama è fedele – almeno per quanto sappiamo noi che queste cose le viviamo indirettamente, tra giornali e gazzetta.it –, ed è ironico che due francesi abbiano battuto tre inglesi almeno su questo campo, quantomeno perché ci sono arrivati per primi.
Poi, appunto, arriva il secondo tempo e la parte, in teoria, con gli zombie, perché tra i rancorosi del villaggio c’è anche il pazzo pazzo dottor Belvaux, che da 17 anni dopa giornalmente suo figlio per trasformarlo nell’atleta perfetto, finché, proprio in concomitanza con l’arrivo dell’Olympique, non esagera con la dose, e il povero idiota diventa una specie di abominio mutante superveloce cattivissimo, in grado di infettare chiunque vomitando loro in faccia un liquido biancastro che è poi il loro sangue e che, lasciatemelo dire, sembra sborra.
È qui che Goal of the Dead azzecca la svolta giusta: piccolo gruppo di sopravvissuti (vi risparmio i dettagli, ma c’è anche la Mia Wasikowska dei poveri), zombie ovunque, buio, sangue, tensione, ottima violenza peraltro ottimamente realizzata, i giusti intermezzi comici e/o drammatici e/o surreali per frantumare la continuità e alzare il ritmo, il giusto finale di massa che ci si aspetta da uno zombie movie dei più classici.
Certo, riprendendo quel che dicevo all’inizio del pezzo i nostri nuovi amici Poiraud e Rocher non si risparmiano le allegorie e i metaforoni per i quali la carne putrefatta è da sempre terreno fertile. Particolarmente irritante è [mini-SPOILER, forse?] la romerizzazione della figura dell’appassionato di calcio, al quale è riservato lo stesso trattamento che il Giorgione nazionale riservava al consumista e serial shopper. Curiosamente, invece, i ritratti dei calciatori, pur non scadendo mai nell’idolatria o nell’eroizzazione, riescono a rimanere sul lato sobrio delle cose anche quando parlano di groupie scopate a caso nello spogliatoio o di minorenni adescate.
Il fatto che io stia qui a discutere di caratterizzazione dei personaggi, comunque, dovrebbe farvi intuire che Goal of the Dead è, o quantomeno ambisce a essere, un film molto più raffinato di quanto il suo titolo potrebbe suggerire. Il fatto che, in una certa misura (certo umorismo è troppo nazionale per essere efficace, e non ci si risparmia di calcare un po’ troppo la mano sul romanticismo), ci riesca non lo rende comunque meno inappetibile per chiunque preferisca la sua violenza servita cruda e senza cazzate di contorno. Stiamo parlando di un mostro di oltre due ore di durata, d’altronde. Che vuol essere un’epica, non un semplice divertissement.
Gli va solo male che quest’anno è uscito Dead Snow 2.
DVD quote suggerita:
«POOO POPOPO POPO POOOOOO»
(Marco Materazzi, fabbro ferraio)
Con la prima immagine ho pensato che questo signore
https://www.youtube.com/watch?v=D4MQZ-C2xZE
avesse avuto la parte della vita.
Che lo SWAG sia con voi.
@stanlio l’incipit della tua rece, cioè “prendere un genere cinematografico a caso…poi aggiungervi of the dead etc.” entra di diritto nel mio dna, vorrei averlo scritto io. Siete i migliori.
@Ace: Ammetto che anch’io ho pensato subito a quella sottospecie di goblin coi bling bling
Bella rece, così al primo impatto non gli avrei dato mezzo centesimo
@ Ace Sventura
abbiamo avuto pensieri simili
http://www.youtube.com/watch?v=6LxQo4UM-yg
La vera sgravata di tutta la cosa zombie è avere trascinato walking dead alla 5 stagione. Una serie che ha il NULLA una volta tolti zombie e splatter
Carlo Mazzone e Beppe Signori. In pratica gli eroi della mia adolescenza.
MICIO IL PROCURATORE! Ascolta un cretino…..
Dalla recensione, questo “Gol del Morto” transalpino interessa molto anche a me e, sebbene non c’entri niente, mi richiama il leggendario “tiro a foglia morta”; che è roba nostra, del NOSTRO Grande Corso.
(E i cugini, per favore, non chiamino in causa la – gloriosa – buonanima di Jacques Prévert).
P.S. – Un Carletto Mazzone come quello che si lanciò verso la curva dei tifosi atalantini, nel derby col suo Brescia, sarebbe stato in grado di sconfiggere l’intera Armata delle Tenebre.
Mi incuriosisce quell’Ivan Drago della pelota francese, tirato su a forza di pere da un novello dottor Frankenstein (per giunta suo padre): qualunque persona avvicini, lui la infetta.
Ma soprattutto mi esalta un pensiero: lì più che mai, “alla fine della partita la somma di quei centimetri farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, tra la vita e la morte”.