C’è un gruppo della zona di Los Angeles, a metà strada tra indie pop shoegaze punkettino svogliato, che si chiama Dum Dum Girls. Nasce tutto dalla voce e mente del gruppo, Kristin Gundred detta (uff…) Dee Dee. Evidentemente la ragazza ha un po’ di amichetti di quelli che contano nel mondo dell’arte, del cinema e della letteratura. Lo dico perché, oltre a vagonate di stima (più o meno insensata) che le vengono gettate addosso dalle “riviste che contano”, per uno dei suoi ultimi progetti è riuscita a portare a casa un colpaccio. Il video del singolo Are You Okay?, anticipazione del disco del 2014 Too True (oh, uscito per Sub Pop, mica cazzi) è una specie di cortometraggio della durata di undici minuti. “Tutto qui? Uff, sai che roba: pure Katy Perry ha un video lunghissimo, tipo di 10 minuti in cui c’è pure Corey Feldman, Kenny G e Rebecca Black… Non è che siccome queste sono su Sub Pop allora la cosa è più interessante”. Sì, quello che dici è vero, mio alter ego con cui in questo momento sto scrivendo questa recensione, però il corto delle Dum Dum Girls è stato scritto da Brett Easton Ellis. “Ah, OK. Allora alzo le mani”. Infatti, dai. Guardiamolo:
httpv://www.youtube.com/watch?v=yBfaPUOQwRA
Siete riusciti ad arrivare in fondo? Per coloro che hanno giustamente una soglia d’attenzione bassissima e che di fronte a un video di Youtube non resistono più di 47 secondi, ecco cosa vi siete persi. Un piccolo thriller psicologico in cui una donna dalla doppia personalità si perde nei suoi sogni e (forse) uccide un rockabilly prima di mettersi una parrucca bionda e vagare per il deserto nuda, avvolta da un lenzuolo. La canzone, va detto, è francamente orribile (ricorda Breathless dei Corrs) ma il video ha qualche elemento interessante. Con quattro dialoghi in croce e in mezzo al corto l’obbligo di mettere la canzonetta allegrina con sequenze di raccordo con la cantante in macchina che vaga per il deserto coi capelli al vento, si riesce comunque a creare una buona atmosfera di angoscia e paranoia, resa più palpabile da un uso insistito del grandangolo e soprattutto dalle luci accecanti, abbaglianti, verrebbe quasi da dire ipnotiche. Nulla per cui strapparsi i capelli, sia chiaro, ma un buon biglietto da visita per i registi, i fratelli Alex e Benjamin Brewer.
Si sa poco o nulla di questa coppia di giovani ragazzi di Los Angeles, se non che hanno un po’ di background nel mondo dei videoclip di misconosciuti gruppi indie (qualsiasi cosa questa robina qui voglia dire nel 2016) e che lavorano insieme spesso alla produzione e alla scrittura dei loro progetti. Benjamin per esempio ha una sceneggiatura (scritta insieme all’amico Adam Hirsch) che aspetta nel cassetto. Si chiama The Trust ed è un film di rapina. Sapete come funziona, no? Dopo essere stata snobbata più o meno da tutti, questa sceneggiatura arriva nelle mani del nostro amico Nicolas Cage. E quando c’è di mezzo Nic, le cose magicamente prendono vita. Cage è contento della sceneggiatura, ci crede ed è il primo a salire a bordo del progetto: dopo di lui arrivano i soldi messi dalla compagnia di produzione e distribuzione Saban Capital Group, poi si aggiunge Elijah Wood, i Brewer fanno i fighetti e decidono di tirare in mezzo la modella e cantante Sky Ferreira ed infine compare un attore di quelli che solo a vedere scritto il nome nei titoli di testa non ci potevo credere: Jerry Fuckin’ Lewis.
Insomma, il film c’è: esiste una sceneggiatura, c’è un bel cast, ci sono i soldi. Esiste anche un contratto per una distribuzione video firmato subito dopo la premiere al South by Southwest (eddove, sennò?). Ah, e siccome l’uscita in home video è andata bene, il 13 maggio The Trust è uscito anche in sala. Poca roba, un numero ristretto di sale, eh? Ma è un grande risultato. E noi? Noi siamo contenti. Forse non è uno dei film più calciabili della storia del nostro sito, ma siamo contenti. Perché se è vero che manca un bel po’ di adrenalina e action per rendere The Trust uno dei film del nostro cuore, ci sono tante cose belle. Vi racconto un po’ la trama, dai.
Nicolas Cage e Elijah Wood sono due poliziotti di Las Vegas. Il primo è un vero e proprio professionista: serio, preparato, scientifico, studioso, si applica come un pazzo per fare bella figura con suo padre (Jerry mothafucka Lewis) e per fare un po’ di pazzo cash che la vita potrebbe essere più dolce di quello che è. Certo, non è un uomo felice, il povero Nicolas Cage: non ha tanti amici, è un po’ sfigato, i suoi superiori lo usano solo per fargli fare delle cose noiosissime quando in realtà lui da solo potrebbe far funzionare metà del dipartimento. Il suo opposto è Elijah Wood: giovane, tutto dipendente dalle cannette, scazzatissimo, puttaniere, svolge il lavoro di poliziotto esattamente con la stessa passione di quelli che nei film così lavorano in un fast food. Non ha voglia, è uguale, lo faccio giusto perché boh, altrimenti… Stavo dicendo? Due uomini insoddisfatti, uniti da uno strano senso d’amicizia e soprattutto dalla voglia di svoltare, fare i soldi, mandare tutti a fare in culo e passare il resto della loro vita in spiaggia a sorseggiare drinkini con l’ombrellino di carta che spunta dal bicchiere.
L’occasione arriva sotto forma di pigrizia. Mi spiego meglio: Las Vegas non è la New York, la Boston o la Los Angeles dei film di rapina. Las Vegas è un posto tristissimo, dove la polizia arresta degenerati che, strafatti di bourbon poco “per niente caro”, vanno a prostitute senza denti nel retro dei parcheggi della lavanderie. Certo, ci sono anche i megamafiosi e megracriminali che abbiamo visto nei film di Scorsese, ma quelli non entrano neanche lontanamente nel radar di due poliziotti sfigati come Nic Cage e Elijah Wood. Qui parliamo del rifiuto del rifiuto della società: criminali di quart’ordine, i reietti degli emarginati, la feccia della città discarica degli Stati Uniti. Ma è anche vero che Las Vegas è uno dei pochi posti al mondo dove la vita può cambiare da un momento all’altro, con un tiro di dadi. Nic Cage è uno sbirro attento e nota qualcosa in una scartoffia. Nessun altro l’ha notato, perché a nessuno frega nulla, ma lui è bravo a fare il suo lavoro e mette insieme i puntini dall’1 al 15. E capisce come può fare un pacco di soldi. E già che c’è chiama il suo amico Elijah. E decidono che per una volta, una volta sola, forse vale la pena passare dall’altra parte della barricata, infrangere la legge, fare i criminali. Poi ci si toglie per sempre da qui, amico. Poi saremo io, te, la spiaggia di Cancún e gli ombrellini di carta nel margarita.
The Trust è un piccolo film di quelli con la trama che abbiamo già letto da qualche parte (poliziotti diventano criminali e quindi si mettono nei casini) ma che punta tutto sulla messa in scena e sugli attori. I fratelli Brewer sono bravissimi nel fotografare Las Vegas e farcela vedere come raramente l’abbiamo vista su piccolo o grande schermo: quasi sempre senza le lucine della notte, ma con la luce naturale del sole, appare come un posto finto, pieno di plasticaccia e macerie in cui tutti sembrano appena usciti da una brutta sbronza. Una città fantasma che, privata dei casinò e dei soldoni, è tenuta insieme dall’inganno, dalla cattiveria e dalla falsità. E per raccontare una storia del genere i Brewer scappano dalla tentazione facile della tristezza ma riescono a rimanere leggeri e spensierati come in una commedia stoner, in cui tutto – anche le cose più pesanti e gravi – sfumano via in una noncurante nuvoletta di marijuana. Solo che prima o poi c’è il conguaglio: le sbronze passano, l’effetto del tetraidrocannabinolo sfuma e con quelle luci non rimane che il mal di testa e… lo avvertite anche voi? Un senso di tragedia imminente.
Ripeto: per quanto riguarda il nostro sito, The Trust potrebbe essere considerato un eccezione meritevole (poca action e quella che c’è e tutt’altro che spettacolarizzata), ma lo stesso è un film che vi consigliamo di recuperare. Per quello che vi abbiamo scritto fino a qui – un’atmosfera inedita e molto interessante, una regia piuttosto solida, una buona scrittura, ritmo elevato, un ottimo finale – ma anche per un cast in ottima forma. Elijah Wood, eterno underdog dagli occhi troppo rossi e il cuore troppo tenero, Jerry Lewis commovente nei suoi maglioncini colorati e con quegli occhi che ne hanno viste fin troppe, Sky Ferreira che nulla fa ma tanto basta vedere come quel ciuffo di capelli le cade naturalmente davanti agli occhi. E poi c’è lui, Nicolas. Che si rimette i baffetti di Big Daddy di Kick Ass, prende una parte come quella dello sbirro insoddisfatto e la gira e stravolge a suo piacimento, inserendo i suoi tic, le sue sfuriate, le sue esplosioni di incontenibile frenesia… il tutto mescolato con un’ambiguità di fondo che riesce a rendere sempre palpabile ma allo stesso tempo quasi invisibile. Un gigante.
DVD-quote:
“Eccezione più che meritevole con un Nicolas Cage in forma strepitosa”
Casanova Wong Kar-Wai, i400Calci.com
Non centra con il film ma big up per la citazione dei sangue misto!
Cosacosacosa?! Un film bello recente con Nic Cage? E c’è pure Jerry Lewis?! Che bel lunedì!
Venduto! Anche Joe era notevole secondo me… Dai che Nicola qualche film lo azzecca ancora!
Bella recensione, mi ha intrigato, mo me lo segno.
Un film del 2016 con Jerry Lewis sembra un po’ surreale. Anche senza “un po'”.
Vendutissimo, cinque alto anche da parte mia per la citazione a SxM, bella sbrasbez
@Casanova
se un domani l’evoluzione dei social media portasse il mondo (politica, saggistica, giornalismo, ecc) ad esprimersi semplicemente con uno screen commentato, sappi che la cosa della crema da sole sul naso è quello che diede inizio a tutto ciò.
Io se l’ha fatto Nic lo guardo a prescindere.
Pure se fa schifo.
Pure se è una commedia romantica.
Se ci crede Nic Cage ci credo anche io.
Sono con te.
Ma come minchia l’han fatto wood nell’immagine iniziale? quasi pezzo di seagal e travolta xD
*peggio
Pare Jude Law.
speriamo che non porti sfiga a Jerry Lewis, l’ultima volta che Cage ha avuto un padre “famoso” in un film è stato Peter Falk in “Next”.
bella recensione, m’avete fatto venir voglia di vederlo e mi avete fatto venire in mente quel vecchio gioellino di Miami Blues con alec baldwin senza dita.. non sarebbe ora di parlarne come merita?
La cosa che invidio di più a Elijah Wood è lo spacciatore.
E comunque la Ferreira non fa la figa… È figa!
La didascalia sotto la foto di Sky Ferreira (o chiunque sia quella) mi ha fatto morire…poi ho pensato che è amaramente vera.
Ahahah tudifadi!
Ps: ma il photoshoppatore l’hanno anche pagato?
quando la signorina nel video uccide un rockabilly sembra la canzone di terminator, quando Schwarzy sta per fare fuori Sarah Connor
Una data d’uscita italiana si sa? che sia per Home Video o in sala
Visto, non lo so.
First of all, nonostante il mio incondizionato amore per Casanova Wong Kar-Wai (a differenza del mio acerrimo nemico che non mi caga di pezza Stanlio Kubrik) e le sue recensioni, devo dire che mi aspettavo tutta un’altra cosa. O quasi. A rileggerla (perché l’ho riletta), in effetti, le colpe sono divise: io mi sono appoggiato troppo al tono allegro di Casanova nell’interpretare le parole, il quale però non ha calcato troppo la mano su certi aspetti surreali (parola un pochino forzata ma non viene di meglio) del film.
Secondo, è lento e a tratti si pianta. Considerazione da prendere con le pinze, perché la lentezza è funzionale alla costruzione del senso di tragedia imminente e quindi ci sta. Ma, appunto, ho avvertito una rottura del ritmo in più di un’occasione e mi sono distratto. E sì, va bene, benissimo, che le scene più potenti, in questo modo, passino davanti agli occhi all’improvvisto, senza essere state caricate prima e, cogliendoti di sorpresa, aumentino il loro effetto. Però in un paio di occasioni (il finale, lo dico senza spoilerare) avrei gradito un approccio un filo più classico e qualche risposta in più.
Per sommi capi: il film è di buona fattura e i due interpreti sono perfettamente sul pezzo, però una volta finito mi è venuto il nervoso.
Piaciuto. I due registi per quanto mi riguarda ci sanno fare, non era facile con in mano una storia del genere sfornare roba piatta e noiosa, perché il plot è roba di scarsa fantasia e non offre grossi twist, il ritmo quindi è lento, fattore che non ha connotazioni negative perché gestito sapientemente. Cage gigioneggia alla grande ma funziona bene, Wood invece più misurato e pure lui funziona ed è interessante come il primo dalla personalità più metodica sia quello più esuberante mentre il secondo fumato e straniere abbia un carattere quasi apatico, questo per dire che i personaggi non siano modellini stereotipati.
Bella anche la fotografia, professionale, solida come d’altro canto ogni aspetto del film, uso delle musiche compreso, decisamente azzeccato. Nota dolente per me è lo svolgimento finale, SPOILER il comportamento di Wood l’ho trovato un poco forzato anche se tutto sommato plausibile FINE SPOILER. Comunque nel complesso un’opera decisamente meritevole, di buon mestiere e spero che i due ragazzi abbiano l opportunità di fare altro.