Sapete qual è la cosa brutta di invecchiare? Intendo dire, a parte gli hangover da cui ti riprendi sempre più tardi, il fatto di avvertire il sonno come una reale impellenza e pensare che gli impegni vadano portati a termine… Sapete qual è la cosa DAVVERO brutta? È vedere come, anno dopo anno, la tua generazione passi da essere quella che un tempo godeva di un prodotto a quella che quel prodotto lo fa. Lo vedi, lo percepisci, lo capisci che quella roba lì è uscita dritta dritta dal tuo contesto storico. Il che può essere un bene. Il che può essere un male. Oppure può pure essere peggio nel momento in cui ti rendi anche conto che quel tipo che una volta al liceo hai sentito pronunciare le parole “I giapponesi fanno i film tipo The Ring perché gli fanno paura i capelli davanti agli occhi” potrebbe essere la persona che oggi i film li gira. O li produce.
Una riflessione che in questo momento è diventata più che impellente, visto che non mi spiego altrimenti – perché davvero non me lo spiego – come mai, ormai, qualunque dannatissimo horror ad alto tasso di splatter sia per forza una commedia. Non me lo spiego se non immaginandomi che a forza di sentirsi ripetere il mantra “a me piace lo splatter perché fa ridere” hanno iniziato a crederci davvero. Che lo splatter debba fare ridere. Non sapendo, costoro, che in realtà quella frase era un messaggio in codice, usato durante quella battaglia sanguinosa che era il corteggiamento post-adolescenziale sul campo di sabati sera così mesti che anche il Jack Daniels acquisiva fascino per paragone, e che, se accuratamente tradotto, suonava più o meno come “A me fa tanta paura il pupazzo dello zio Tibia”.
Certo voi potrete obiettare che la splatter comedy non è invenzione degli ultimi anni e che “E L’Armata delle Tenebre?” e “Gli Schizzacervelli?”. E avreste ragione se non fosse che, oggi come oggi, nulla è rimasto di tutto il resto. Ora, io non pretendo necessariamente un Mermaid in a Manhole ma un Hellraiser, per dire, o volendo virare sull’ironia anche un The Dentist mi basterebbe. Invece no: solo gomitini, violenza grafica ma spesso fuori camera e scene che sembrano uscite dai primi minuti di The Doom Generation di Araki.
Ovviamente The Funhouse Massacre non fa eccezione a questa regola, con l’aggravante che ormai le barzellette che iniziano con “Ci sono un gruppo di matti in un solo posto che fanno cose matte e sangue sangue sangue” ormai suona pure parecchio frusta. Dopo aver infatti visto gli “horror heroes” di Smothered, dopo quelli che verranno in Death House, dopo la -YAhWN- Suicide Squad della DC Comics (ma su questo torneremo) ora è il turno dei Serial Killer che fanno team per massacrare una manciata di persone all’interno di un parco a tema dedicato proprio ai serial killer. Vi ricorda qualcosa tutto questo? A me sì. Ma proprio tanto.
E sempre in tema di “omaggi” (e riprendendo il discorso DC Comics): il film si apre con una giornalista di nome “Ms. Quinn” che libera un team di assassini (il cannibale, il violento e grosso, il fascinoso coi baffetti, il nano con la passione per la tassidermia e il personaggio carismatico dalle sopracciglia alte e il naso adunco) salvo poi rivelarsi anche lei una serial killer che veste con il trucco clownesco e con una vistosa capigliatura con i codini.
Ora, mi chiedo: si può? Cioè… davvero?
Per il resto: il film dura poco, più o meno 80 minuti (esattamente, guarda caso, gli stessi di Death End) pochissimi dei quali riempiti da Robert Englund. Il che conferma il quinto postulato del film pezzente: su una locandina, la dimensione dell’attore riconoscibile nel cast è inversamente proporzionale al numero di scene girate dall’attore stesso. Nel caso di Englund ci attestiamo su un buon 85% della locandina.
Fate voi le debite proporzioni. Per quanto riguarda il resto del film, che dire? Bah. In linea con il tipo di pellicola, il cast è in perenne e sciatto over-acting (anche se, curricula alla mano, sembrerebbe che possano fare tutti molto di più), i personaggi messi in scena sono appena accennati e privi di un qualunque spessore (io me lo aspetto, ma c’è chi ne fa tranquillamente a meno) e in generale la sensazione che si ha è che quel rigonfiamento che hai sulla guancia non sia il tongue-in-cheek delle battute di cui il film è zeppo ma qualcosa di diverso. Ma sempre del film. Si salvano, ma solo per il loro essere volutamente esagerati, gli effetti speciali prostetici di Robert Kurtzman, nostra vecchia conoscenza dai tempi de L’Armata delle Tenebre (guarda un po’).
Per il resto, The Funhouse Massacre è un prodotto come tanti altri simili a lui, con un tasso di ispirazione che rasenta lo zero. Guardarlo non vi farà perdere la pazienza. Ma il tempo, quello, è tutto un altro paio di maniche.
DVD-Quote:
“Su una locandina, la dimensione dell’attore riconoscibile nel cast è inversamente proporzionale al numero di scene girate dall’attore stesso”
Bongiorno Miike, i400calci.com
Troppa verità nel passaggio sui coetanei diventati produttori culturali, troppa e ineluttabile verità. E bentornato Miike!
Se ho ben capito pure il prossimo di Rob Zombie avrà una trama molto simile.
Ma lui almeno garantisce serietà e cupità.
In realtà nella locandina su IMDB Englund seppur separato dal gruppo di maniaci, ha la stessa grandezza, anzi forse è anche in scala minore. In ogni caso io dai tempi della barzelletta “ci sono un italiano, un tedesco etcetc…” ci sono rimasto sotto, quindi “ci sono un clown, un cannibale, un dentista…” potrei anche guardarlo…
Un uomo entra in un caffè….Splash!
(Bisogna ricordare gli incubi, splash)