Il 12 novembre verrà consegnato a Jackie Chan un Oscar onorario alla miglior carriera di sempre.
Per celebrarlo, abbiamo deciso di dedicare questo mese ai suoi primi cinque film da regista, tra gag esilaranti, coreografie mozzafiato e storia del cinema.
Ok, amici. Con calma. Per spiegare per quale motivo The Young Master è un film fondamentale all’interno della vastissima filmografia di Jackie Chan, non possiamo fare altro che contestualizzare, puntualizzare, dare un paio di informazioni di massima su quello che stava accadendo a HK alla fine degli anni Settanta. Alcune cose fondamentali le ha già dette il pard Jean-Claude Van Gogh, per cui se avete letto il suo primo pezzo siete partiti col piede giusto. Se ancora non l’avete fatto, un link e passa la paura. Per chi vuole tutto e subito, gli elementi da tenere a mente sono tre. Primo: Bruce Lee è andato a insegnare agli angeli ad essere acqua. Secondo: l’industria cinematografica hongkonghese è ancora alla ricerca di un suo successore, una gallina dalle uova d’oro che possa garantirli gli stessi incassi. Terzo, Jackie Chan, dopo anni di gavetta come stunt dello stesso Lee, comparsa, attore e (facile immaginarselo) tuttofare, comincia a trovare una sua via personale al cinema. Diventato finalmente regista (ancora il pezzo di JCVG), intuisce che la strada da prendere è quella opposta a quella più scontata, quella che gli era stata indicata dal regista con cui aveva lavorato fino ad allora, Lo Wei, uno che s’era seduto dietro la macchina da presa insieme a Bruce per film come Dalla Cina con Furore o Il Furore della Cina Colpisce Ancora. Al fine di essere il più didascalici possibile, copio e incollo uno stralcio di un’intervista fatta da Neil Strauss, pubblicata il 30 gennaio del 1995 sul New York Times, ripresa poi dalla mai troppo citata rivista Amarcord – Il Lato Oscuro del Cinema all’interno di un piccolo speciale dedicato a Jackie Chan, compreso nel numero doppio 14/15, luglio – ottobre 1998):
Durante le riprese di Snake in The Eagle’s Shadow (1978. N.d.r), vidi un film di Bruce Lee insieme al regista (il mitologico Yuen Wo Ping, N.d.r). Decisi che a un calcio in alto di Bruce, io l’avrei dato verso il basso; se lui urlava durante i combattimenti, io avrei picchiato il mio avversario facendo un’espressione buffa. Qualunque cosa facesse lui, io avrei fatto l’opposto.
L’epoca di Bruce Lee è finita. Punto e a capo. La voce è nell’aria e i primi a tendere le orecchie sono quelli della Golden Harvest che, andando in direzione opposta rispetto agli avversari, i fratelli Shaw, cominciano a produrre film d’azione con una forte componente comica, quasi demenziale. Poi, qualcuno unisce i puntini: Jackie Chan finisce nella scuderia della Golden Harvest. Ci sono i soldi, la volontà di realizzare un filmone, un attore che ha già dato prova di essere affidabile e versatile, la sfida di trovare qualcuno da mettere sul trono del cinema di botte di HK. E Jackie se ne esce con il suo primo capolavoro vero e proprio: The Young Master: Il Ventaglio Bianco.
La storia è piuttosto semplice: Dragon (Jackie Chan), un orfano, Campione del Mondo dei Poverinos, cresce grazie al serissimo e moralmente ineccepibile Shifu di turno. Pecora nera, costantemente messo in ombra dal fratello Tiger (Wei Pai), finisce cacciato dalla Scuola per un malinteso. In realtà la colpa è proprio del perfido Tiger, che ha tradito l’onore del suo Maestro per poi darsi al malaffare. Dragon, cuore d’oro, ne prende per forza di cose le difese. La FAMIGLIA, si sa, non è cosa da poco. Riconquisterà il suo posto nel mondo, il rispetto di fronte agli occhi del suo Maestro, tentando di redimere suo fratello. Per fare questo si imbarcherà in un lungo viaggio che lo vedrà protagonista di innumerevoli avventure e duelli. Una lunga serie di equivoci, causati dal Ventaglio Bianco del titolo – oggetto posseduto da entrambi fratelli che sancisce la loro unione sanguigna, più forte di ogni convenzione – fa da motore a un film action, di base melodrammatico, costellato da molti momenti comici.
L’esordio dietro la macchina da presa di Jackie Chan, come detto, è dell’anno prima ma è qui che per la prima volta i pezzi del mosaico cominciano a trovare una loro giusta collocazione. Prendete ad esempio la prima incredibile sequenza, una roba per cui dovremmo buttare il 98% dell’action odierno. Le due scuole della città si sfidano nella famosa Lion Dance. Si tratta di uno spettacolo tradizionale cinese che tenterò di spiegare nel più semplice dei modi. Due squadre avversarie. Ogni squadre metta in campo due atleti, chiamati ad indossare la folkloristica maschera da leone. Uno davanti, nella testa e uno dietro, nelle gambe. Lo scopo della gara è compiere un intricato percorso ad ostacoli che porta a un fiore rosso. Il primo Leone che riesce a prenderlo, vince. Sembra più complesso di quello che è. In realtà è tutto qui, amici: Jackie Chan, cresciuto studiando all’Istituto di Ricerca dell’Opera Cinese, apre con una sequenza che mette in primo piano uno spettacolo popolare, trasformandolo in un pezzo di cinema da antologia. Una sequenza di combattimento incredibilmente articolata, resa ancora più difficile dalla presenza di almeno un centinaio di comparse. Le riprese alternano campi lunghi a minuscoli dettagli, unici indizi rivelatori di quello che accade sotto l’ingombrante ma esteticamente perfetto costume da leone. Per ogni azione in campo lungo, in cui vediamo combattere i due “mostri”, una reazione in primo piano (un pugno, un calcio, un muscolo che si flette) grazie alla quale lo spettatore capisce cosa ta realmente accadendo. O viceversa: azione nel dettaglio, conseguenza nel campo lungo. Non solo: durante questo incredibile duello, Jackie trova anche il tempo di inserire una vera e propria storyline con colpo di scena che sarà poi alla base dello sviluppo del film. Allo stesso tempo, già che c’è, inserisce spunti comici a non finire. Non scherzo: l’80% almeno dei colpi che vanno a segno in questo intricatissimo duello all’ultimo morso, è frutto di una gag inaspettata che ha a che fare con lo spazio circostante, con oggetti o persone che capitano in mezzo all’inquadratura. Provate a guardare questa sequenza e a immaginare lo storyboard: se non vi esplode il cervello è già qualcosa.
The Young Master ha ancora degli evidenti difetti di regia, soprattutto nelle parti melò, solitamente appesantire da un uso esasperato e forzatissimo dello zoom, ma fa passi da gigante per quanto riguarda tutto il resto. Dal punto di vista dei combattimenti c’è tutto quello che ci deve essere: ogni sequenza action è impreziosita dall’utilizzo di oggetti come sgabelli, corde, ventagli, gonne, spade, cappelli e chi più ne ha più ne metta. Ci sono travestimenti, scambi di personaggi, velocità mozzafiato, un uso contenuto del rallentì (e sempre giustificato emozionalmente, mai fine a se stesso o semplicemente estetico), gusto per l’assurdo e sprezzo del pericolo. L’utilizzo dello spazio da parte di Jackie, lo stile con cui sceglie di riprendere e montare i combattimenti sono perfetti e lasciano ancora oggi a bocca aperta per lungimiranza e chiarezza. Il suo personaggio – l’uomo comune, fallace, che parte sempre in difetto e che ne prende una cifra prima di vincere – comincia a diventare a tutto tondo. Si comincia realmente a intravedere quella somma delle parti, quel Chaplin + Keaton + Lee, che ne decreterà il successo e l’ingresso nell’Olimpo del Cinema. Oltre a tutto questo c’è una chiara consapevolezza dei propri mezzi e un’idea di intrattenimento alta e colta. Se della sequenza d’apertura abbiamo già detto, lascia piuttosto sbigottiti come un ragazzino cinese decida di inserire in un film di botte non una bensì due dirette citazioni alla Danza Serpentina di Loïe Fuller.
DVD-quote:
“Siamo già al top. E ancora non è arrivato Sammo Hung”
Casanova Wong Kar-Wai, i400Calci.com
Per me ritirano l’oscar e lo danno a Steven Segal. E ora tutti a guardarci Machete per un’interessante rilettura
insopportabile Jackie Chan… l’ho sempre odiato a livello epidermico
Come si può non amare un uomo che si soffia sulle mani dopo che ti ha sparecchiato la faccia con un pugno?
Uno stuntman glorificato. Innovatore nelle coreografie (basta vedere the raid) ma finisce lì. Non è mai diventato un icona al pari di Bruce Lee o Van Damme semplicemente perchè senza carisma. E comunque Yuen Biao gli pisciava in testa
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Ottima rubrica: non sono mai stato un ammiratore di Jackie Chan proprio per il suo approccio clownesco alle arti marziali, ma piace l’idea di contestualizzare la sua opera e darle spessore. Mi riprometto di recuperare alcuni di questi titoli.
Piccola nota: il poster del film all’inizio della rece e’ dell’edizione giapponese… considerando il rapporto tra Cina e Giappone, direi che la vostra e’ una scelta interessante :D
Io aggiungerei due paroline su Hwang In-shik, Maestro di Hapkido che ad oggi è un assurdo cintura nera 10° Dan, che interpreta l’antagonista del film.
La resa dei conti finale è uno dei più bei combattimenti di tutto il cinema di Menare di sempre. Il bello è che Jackie Chan continuerà a migliorarsi ancora e ancora.
Il combattimento finale fra jackie e Hwang in-shik è da antologia. L’ho rivisto milioni di volte studiandolo continuamente. Anche lo scontro tra loro due in Dragon Lord è sublime.
Per me Jackie Chan e Hwang In-shik non mettono su solo un combattimento finale, ma un vero e proprio cortometraggio (più di 15 minuti di mazzate).
Come per la sequenza della Lion Dance anche qui c’è una trama che si evolve, portando ad una crescita di Dragon, dove i dialoghi sono sostituiti da calci e pugni portandosi dietro tutta la filosofia di Jackie.
Ora capisco la (non poca) differenza con Jet Li. A livello di menare e coreografie credo che Jet sia a livelli massimi, ma come autore ed artista tou court, Chan e’ un masterpiece. Oscar meritatissimo!
Ok ma Jet in 3/4 della sua filmografia usava i cavi..
Mia moglie spesso mi chiede, che ne penso io di ragazzini cinesi?
Le rispondo sempremente, adottiamone uno, giusto per capire!
(Io tifo Inda, lei tifa Milan, siamo sposati dai tempi dei brufoli;)
Anche questa volta ve ne siete usciti con qualcosa di fondamentale.
Appena ho un po’ di tempo mi recupero i film di questo speciale proprio perché non mi sono mai trovato a mio agio con il lato comico di Chan, mi è sempre sembrato dell’ottimo potenziale buttato nel cesso. Invece contestualizzarlo e approfondirlo ne fa emergere la grandezza. Ora bisogna vedere i film, ma intanto leggere sta roba è un piacere e un fomento.
qui (https://www.youtube.com/watch?v=mWlcLZIibkc) a partire dal minuto 4:25 trovate la famosa scena della “Lion Dance”
Grazie per questa rubrica. Jackie Chan per me è stato troppo assente su queste pagine e ora gli dedicate dei pezzi bellissimi che mi fanno venire voglia di riscoprirlo e rivedere dopo anni questi film che affittavo alla cara e bella videoteca sotto casa (quante cose mi ha fatto scoprire..).
Le coreografie di JC sono oltre il tempo con elementi e inserti di una raffinatezza che pochi film di menare hanno.
bellissimo articolo.
segnalo un paio di typo:
– “La FAMIGLIA, si sa, non è cosa dopo” (qua forse non ho capito io?)
– “cresciuto studiano all’Istituto ”
– “mai fino a se stesso ” (ma qui forse è una citazione di Guzzanti…)
Tardivo ma.giulivo sottolineo che all’epoca c’era a Hong Kong la cosiddetta nouvelle vague locale, con tsui hark e altri giovani registi impegnati anche socialmente e.politicamente, i quali additivano young master come esempio dell’inesistenza del nuovo cinema di hk sul piano dei.contenuti. Giusto per dire che hk nn era solo kung fu è si tentavano strade nuove. Al di là della bravura di Chan che in ogni caso riprendeva un seme gettato in precedenza dal regista e attore Su Ma, dal regista coreografo Liu Chia Liang e dallo stesso Lee tutti a vario titolo pionieri della Kung fu comedy. Senza nulla togliere a Jackie.