Ogni volta che gli americani fanno il remake di un prodotto asiatico di successo, un cucciolo muore.
Ma non perché lo uccida Dio come una sorta di ritorsione nei confronti degli uomini che compiono un atto aberrante e contro natura o qualcosa del genere — andiamo, siete abbastanza grandi per saperlo, Dio non esiste, e se esiste non gli importa nulla di noi, altrimenti come spiegate tutti questi remake? — no, sono proprio i produttori di Hollywood che, dopo ogni riunione in cui decidono di fare il remake di qualche successo asiatico, vanno a festeggiare massacrando un cucciolo. Giuro che gliel’ho visto fare. Li eccita, fracassare la testa di un cucciolo indifeso è l’unico modo che hanno di farselo venire duro. È più forte di loro.
Dragon Ball, Bangkok Dangerous, Oldboy, Ghost in the Shell, potremmo elencarne per ore: non solo film orrendi, ma decine se non centinaia di cuccioli torturati e uccisi.
E ora è il turno di Death Note.
Chiamatemi cinico, ma all’inizio non ero così pessimista e niente affatto contrario. Certo, un altro cucciolo sarebbe morto, ma forse non sarebbe morto invano. C’era del potenziale, dietro a questo progetto, o almeno così credevo.
Tanto per cominciare, a produrre è Netflix, che non è che non abbia mai pestato una merda (anzi), ma parte con un grosso vantaggio rispetto a tante grandi case di produzione hollywoodiane ed è il fatto che conosce il suo pubblico: giovane, nel senso che ha generalmente meno di 65 anni, e appassionato, nel senso che compie ogni volta una scelta precisa e spesso estremamente settoriale su cosa guardare, che non accende la tv se non per vedere qualcosa che vuole vedere.
E come i piccoli studi che si specializzano in un genere, ma potendo spaziare fra tutti i generi esistenti, a Netflix hanno capito che è inutile diventare pazzi per fare contenti tutti: è molto più intelligente concentrare gli sforzi e gli investimenti per fare qualcosa che piaccia, ma piaccia davvero tanto, a una fetta molto precisa di pubblico. Non sempre funziona (inserire qui titolo dell’ultima cosa di Netflix che vi ha fatto vomitare, la mia è Defenders), ma il principio è quello.
Seconda cosa, dietro la macchina da presa c’è Adam Wingard, che non è ancora un regista di culto, ma è un regista bravo e un regista che ci piace. È un regista horror, ha fatto cose molto fighe e divertenti come You’re Next e The Guest, ha un ineccepibile gusto per la violenza e un punto di vista originale sui personaggi, incredibile ma vero, soprattutto quelli femminili. Anche lui almeno su una buccia di banana ci è finito, l’inutile sequel/reboot/remake di Blair Witch Project, ma ehi, se non possiamo fidarci neanche degli Adam Wingard, a chi lo mettiamo in mano un film come Godzilla VS King Kong?
La storia di Death Note, la faccio velocissima che tanto la sapete tutti, ruota attorno a un quaderno magico che se ci scrivi sopra il nome di una persona, quella persona muore. Tutto qui. Un dio della morte lo regala a un liceale giapponese tanto per vedere cosa succede e questi, come chiunque altro al suo posto, si fa prendere la mano trasformandosi in tempo zero in un serial killer con deliri di onnipotenza. Uccidi oggi e uccidi domani, ‘sta cosa attira l’attenzione delle autorità, e sulle tracce di questo assassino invisibile che si fa chiamare “Kira” (pronuncia alla giapponese di “killer”) si mette il miglior detective del mondo dopo Batman, tale “L”. Da qui in poi la storia si trasforma in una gara d’intelligenza tra Kira ed L, una partita a scacchi tra super-geni che, fondamentalmente, si parleranno addosso fino a uccidersi.
Quello che magari non sanno tutti è che in Giappone Death Note è una cosa piuttosto grossa e quando dico grossa intendo grossa grossa grossa. Un manga, una serie animata, due (tre? quattro? forse cinque) film, una serie televisiva live action e tonnellate di merchandising. È stato un successo commerciale con pochi precedenti, di sicuro il prodotto che ha definito il panorama anime-manga degli anni 2000, e, caso più unico che raro, un successo che superando barriere linguistiche e culturali è andato a colpire con la stessa identica efficacia anche l’Occidente, Europa e Stati Uniti in egual misura (che non è una cosa così scontata, visto che in fatto di robe giapponesi noi e gli emricani abbiamo gusti diversissimi).
Non è un capolavoro perché, dai, i capolavori sono altri, ma il suo successo è meritatissimo. I suoi autori sembrano aver scoperto la ricetta del racconto perfetto, che mischia con intelligenza folklore giapponese (il concetto degli dei della morte, gli shinigami), disagio giapponese (i quaderni della morte si usano davvero, solo che non funzionano) e una serie di tropi cari alla tradizione dei manga (i liceali dotati di qualità sovrumane) con un plot profondamente anglosassone (Kira e L sono in tutto e per tutto Moriarty e Sherlock Holmes); il tutto alimentato da una generica, trasversale sfiducia nelle istituzioni e una fantasia che solletica l’immaginario fascistoide di tutti noi: quella di prendere la giustizia nelle proprie mani, uccidere chi se lo merita, rendere il mondo un posto migliore.
Il discorso sull’inutilità dei remake lo facciamo tutte le volte ed è incredibile come ogni volta riusciamo a declinarlo in modo diverso, ma ecco i miei due centesimi sulla questione. Qui nessuno dice che i ragazzi di Netflix avrebbero dovuto astenersi dal rifare Death Note in nome del “rispetto nei confronti dell’opera originale”: c’era la possibilità di tirare su due spicci senza fare troppa fatica e grazie a un’idea già collaudata e loro l’hanno colta; il fatto, semplicemente, è che di tutte le cose su cui si poteva capitalizzare, un prodotto come Death Note era forse quello che aveva meno bisogno di essere “tradotto” all’occidentale, perché era già molto occidentale di suo, perché gli occidentali che potevano essere raggiunti da quel tipo di racconto erano stati già raggiunti.
Ma come, direte voi lettori più attenti, all’inizio avevi detto che ci credevi! E infatti ci credevo nonostante fosse un’idea del cazzo. Un’idea che Adam Wingard non si era scelto, ma che avrebbe potuto ribaltare in fase di realizzazione, trasformando l’ennesimo inutile remake che nessuno aveva chiesto in una rilettura nuova e alternativa, o anche solo un film abbastanza diverso da poter essere giudicato come una cosa a sé stante.
Effettivamente il Death Note americano è abbastanza diverso dall’originale da poter essere giudicato come una cosa a sé stante. Il problema è che è comunque brutto. Ha una personalità tutta sua, ma è una personalità di merda.
Wingard, che si è fatto le ossa su horror personali, piccoli e indipendenti, si trova evidentemente a disagio con un soggetto calato dall’alto, sul quale non ha voce in capitolo, ed esegue un compitino precompilato che nei suoi momenti migliori (mutilazioni, fontane di sangue e corpi che esplodono) è una roba senza infamia né lode. Non aiuta un budget risicatissimo, che lo costringe ad ambientare l’intera storia, in teoria ad ampissimo respiro e dal sapore internazionale, in quattro interni in croce manco fosse un episodio di The Big Bang Theory, in cui la maggior parte degli avvenimenti accade fuoricampo, è descritta da terzi o, agghiacciante, viene vista dai protagonisti in televisione.
Gli attori umani non è chiaro se siano degli scarsi pazzeschi o solo degli scarsi medi penalizzati da dei ruoli scritti male, mentre Ryuk, il dio della morte/demone ex machina/coro greco “interpretato” da Willem Dafoe, è un pasticciaccio di CGI poverinas che fa rimpiangere quello di gommapiuma del live action giapponese di 11 anni fa: è brutto, si integra male con l’ambiente, è quasi sempre in ombra, riducendo l’apporto di Dafoe, che pure ha prestato la propria faccia e la propria fisicità per la motion capture, a una banale lavoro di doppiaggio.
Ma il vero problema, alla fine, è esattamente quello che avete letto in giro: la sceneggiatura. Una roba imbarazzante che non vorrei neanche per il biopic del mio peggior nemico, il cui problema principale non è di non essere abbastanza “fedele” al manga originale, ma di volerlo essere troppo, finendo per cercare di stipare in un’ora e quaranta di pellicola una mitologia gigantesca e una quantità sproporzionata di eventi.
Sceneggiatura su cui deve averci messo mano veramente chiunque, compreso il tizio che consegnava le pizze, riveduta, corretta e tagliuzzata decine di volte, a giudicare da quanto poco quagliano le cose tra di loro, ma che al momento di uscire porta le firme — reggetevi forte — del tipo che ha scritto il Fantastic 4 di Trank e i due (giuro, sono servite due persone), di Immortals. Un campanello d’allarme o due questo avrebbe dovuto farlo scattare, #einvece!
E invece ecco il liceale Light Turner di Seattle, Washington, USA (nessuno sforzo verrà fatto per giustificare come possa una persona, in America, chiamarsi “Light”), forse il protagonista che ci meritavamo, ma di sicuro non quello di cui avevamo bisogno. Grazie a una serie di scelte di scrittura direi chirurgiche, capiamo fin dalle prime inquadrature che:
- è un tipo molto intelligente, perché risolve delle equazioni di secondo grado, che per il sistema scolastico americano dev’essere praticamente come mandare un uomo su Marte;
- è un tipo “sveglio”, perché vende i compiti ai compagni di scuola più trogloditi;
- è un bravo ragazzo, perché quando vede un altro studente venire bullizzato dai giocatori di football cattivi tira dritto e fa finta di niente ma poi cambia idea quando la ragazza che gli piace si mette in mezzo e allora anche lui sale di corsa sul carro delle cause perse.
- (Sulla ragazza ci torneremo dopo, ma si chiama Mia, è una cheerleader, ma è anche una ribelle: lo si capisce dal fatto che durante gli allenamenti da cheerleader fuma una sigaretta in slow motion, cosa che non si ripeterà più fino alla fine del film, ma tanto non serve perché è già stato stabilito che è una ribelle).
Subito dopo, per rendere chiare le sue motivazioni e il tema del film, vediamo Light avere delle conversazioni molto spontanee con due figure autoritarie “deludenti”: prima parla col preside della scuola, al quale chiede di fare qualcosa per il problema del bullismo e questo gli risponde una roba tipo “sono un burocrate senza spina dorsale e non me ne frega un cazzo”; più avanti parlerà col padre, che è un poliziotto, al quale chiede perché non può semplicemente uccidere i criminali, che tanto è tutto un magna magna e anche se li arrestano poi loro escono di prigione e vanno coi nostri soldi negli hotel a cinque stelle, al che il padre gli risponde “sarebbe bello ma poi dovrei disegnarmi un teschio sulla maglietta e farmi chiamare il Punitore (presto su Netflix)”.
I tempi sono maturi perché Light trovi il Death Note, faccia la conoscenza di Ryuk, provi il Death Note uccidendo un bullo (che se stiamo a cercare il pelo nell’uovo si meritava sicuramente una scarica di schiaffoni, ma magari non di essere decapitato da un tir) e poi lo usi di nuovo per uccidere l’assassino di sua madre, un pirata della strada che non si è fatto neanche un giorno di galera perché il sistema è corrotto e bla bla bla. Step successivo, praticamente senza soluzione di continuità, Light usa il Death Note per fare colpo sulle ragazze: va da Mia e le dice, non sto esagerando, “ehi, vuoi vedere il mio quaderno che uccide la gente?” e Mia, da ribelle anticonformista con lo smalto nero, trova che la cosa sia effettivamente molto figa. Light e Mia si mettono insieme.
Light e Mia usano il Death Note per uccidere su scala mondiale criminali, dittatori, gente che usa il parcheggio per disabili. Si fanno chiamare “Kira” in un abile tentativo di depistare l’FBI facendo credere di essere giapponesi (eh?!) e la popolazione si divide tra chi adora Kira come un dio e il padre di Light che pare l’unico in tutto il pianeta a trovare che ‘sta cosa di prendere la giustizia nelle proprie mani e giustiziare la gente senza processo sia un filino esagerata. Iniziano i primi screzi tra Light e Mia, perché Mia è comprensibilmente ubriaca di potere e userebbe il quaderno pure per uccidere chi spoilera Game of Thrones, Light invece è un pagliaccio e ci tiene tantissimo che la gente continui a vederli come “i buoni”.
Nel frattempo ha fatto il suo ingresso “L”, il miglior detective del mondo dopo Batman, un sedicenne vestito da ninja e la peggiore imitazione di Benedict Cumberbatch in Sherlock che si sia mai vista — e io di Sherlock ho visto anche la porn parody. L capisce in 13 secondi che Kira è Light (sbagliato: Kira è Mia, è lei che prende tutte le decisioni e manipola Light affinché faccia tutto quello che vuole; peccato che questa cosa non sembri essere stata notata da chi ha scritto il film) ed essendo che a questo punto tutti i giocatori in campo sono intelligenti strateghi e fini pensatori, le cose si risolvono a pizze in faccia, sparandosi addosso, con gli inseguimenti in auto, ma soprattutto con la sofisticata e intellettuale arte del parkour.
Si arriva al climatico finale in cui Mia e Light vanno assieme al ballo della scuola anche se ormai non si piacciono più tanto, qualcuno ricorda agli autori di Immortals e di Fantastic 4 che quello che piaceva alla gente di Death Note erano i piani intricatissimi e super machiavellici e così Light improvvisa, dal nulla, al minuto 70 di un film che fino a quel momento lo aveva descritto come uno poco meno che ritardato, un piano intricatissimo e super machiavellico. Il piano ottiene il risultato di far morire Mia, che ormai era a tutti gli effetti il cattivo del film, quindi un punto per Light, tuttavia non solo L ha la conferma dell’identità di Kira, ma lo scopre persino quel tontolone del padre di Light.
Il film finisce con Light che, piangendo, spiega letteralmente ad alta voce la morale del film, ovvero che sembra facile dividere i buoni dai cattivi e ammazzare tutti i cattivi, ma la realtà è molto più complicata di così. Nel cielo compare la scritta “grazie al cazzo” e iniziano a scorrere i titoli di coda.
Ora, vi ricordate quando dicevamo di giudicare il Death Note americano come una cosa a sé stante? Vale ancora e anzi, questi fanboy saputelli che vogliono dimostrarci che il film di Netflix è peggiore dell’originale perché non ci assomiglia, a me sembra stiano un po’ mancando il punto. Al contrario, il film di Wingard raggiunge il suo peggio proprio quando vuole, di punto in bianco, assomigliare all’originale. Perché non è la sua cosa, perché non è il suo mondo, perché, a meno che tu non sia Takashi Miike, non puoi prendere attori in carne e ossa e fargli sparare pose da manga. E soprattutto, una volta che hai stabilito delle regole, non le puoi cambiare a metà strada perché ti fa comodo.
Esempio: la premessa del Death Note originale è che tutti i personaggi coinvolti, anche i più stupidi, sono dei geni. Quella del remake pare tranquillamente essere che sono tutti deficienti. O comunque: impulsivi, imprudenti, che agiscono senza pensare, fanno cazzate. Tutto sommato, non è una scelta sbagliata a prescindere, è perfettamente in linea con l’idea occidentalissima dell’eroe tragico dominato dalle proprie passioni e, soprattutto per chi conosce a memoria la storia originale, può rivelarsi un punto di vista nuovo, interessante. Ma allora bisogna portarla fino in fondo questa intuizione! Raccontami la storia di un gruppo di persone che si trova tra le mani il potere di un dio e non sa come gestirlo, Adam, non trasformarmi Light Turner in un genio negli ultimi 20 minuti perché serve un finale pirotecnico.
Poi vabbè, potremmo discutere fino allo sfinimento su come la stessa trama, indirizzata allo stesso pubblico di adolescenti, sia stata declinata in modi così diametralmente opposti, un thriller filosofico che si interroga sul significato di “giusto” e “sbagliato” da un lato e un teen drama dall’altro. Su come i giapponesi si siano inventati un nuovo modello di (anti)eroe, il genio del male popolare perché va strabene a scuola, mentre gli americani non hanno avuto altra scelta che ripiegare sulla solita trita epica dell’outsider. Su come gli americani siano degli irrecuperabili bigotti e moralisti del cazzo, pure quando vogliono fare i trasgressivi, e non siano in grado di immaginare un protagonista che commetta azioni deplorevoli. Di come, tanto per cambiare, il ruolo di cattivo alla fine spetti alla fidanzata stronza e manipolatrice che prende tutte le decisioni, si sporca le mani e viene punita dal protagonista perché non lo ama abbastanza. Ma preferisco lasciare chiunque di voi conosca bene la serie originale con un quesito che trovo molto più urgente e attuale: a voi non ha fatto mega ridere ‘sta cosa di Light che è diventato eterosessuale?
DVD-quote:
“Death Note. That, not.”
Quantum Tarantino, i400calci.com
Troppo severo quantum. A me il film è piaciuto anche se non esente da difetti. La sceneggiatura pur mettendo insieme proprio tanta roba mi è sembrata piuttosto equilibrata e scorrevole. Wingard è sempre un signor regista, il sangue scorre, l e Kato sono due gran personaggi.
Per inciso, mi era piaciuto anche ghost in the Shell.sarò io che sbaglio…
Una bellissima recensione, che non condivido praticamente da nessun punto di vista, ma che almeno spiega la stroncatura parlando del film, a differenza della stragrande maggioranza di quelle che si leggono su internet e sono le grida di attenzione di teenager emo fuori tempo massimo a cui brucia il culo perché qualcuno si è permesso di toccare il loro fumetto preferito.
Il film non è certo un capolavoro (Wingard è ben lontano dal riuscire a partorire un capolavoro. Ci è arrivato vicinissimo con The guest, ma comunque deve farne di strada), i più grossi difetti stanno nel soggetto (una storia ridicola che giusto gli emo e i giapponesi o gli emo giapponesi potevano far diventare un cult) e nella sceneggiatura che racconta una storia che semplicemente avrebbe avuto bisogno di un respiro più ampio. Wingard però salva tutto con il suo occhio, la sua volontà di non prendersi mai troppo sul serio, e trasformando consapevolmente il materiale di origine nella sua personalissima idea di un teen drama.
Long story short, al recensore un teen drama diretto da Wingard non è piaciuto, io vorrei che tutti i teen drama da ora e fino alla fine dei tempi li dirigesse lui. Sarebbero pieni di teenager che si rifugiano sotto un tavolo al grido di “fuck, what the fuck” e si comportano da perfetti idioti. Sarebbe un mondo migliore
Ma va là… è un film di merda a partire da quanto light urla come una scream queen appene vede ryuk.
O meglio, sarà che a me tutti sti anime non hanno mai convinto del tutto. Per carità, belli e tutto quanto, ma all’ennesima inquadratura fissa su un tavolino disordinato o su un tizio di profilo con la faccia in ombra e dietro un dialogo fuori campo di 20 minuti, qualcosa scatta nel mio cervello pensando che preferirei venti minuti di a(nima)zione senza dialogo. Perché forse sono ancora un bambino dentro.
E Spesso sti Live action/remake/adattamenti riprendono alcune tematiche dando il giusto peso e rendendole più appetibili al mio ADHD
L`unico remake/adattamento hollywoodiano di un film/serie giapponese che ha funzionato davvero e` stato Ring di Gore Verbinsky, addirittura superiore all`originale. In quel caso pero`, l`operazione di trasferimento di un contesto culturale in un altro era stato azzeccato… Altri successi non mi vengono in mente e in generale moralita` e senso di giustizia in Giappone sono davvero troppo ambigui per essere tradotti manicheamente.
mmm ho sempre trovato DN sopravvalutato. Del tipo io so che tu sai che io so che tu sai che io so…
Con spiegoni interminabili atti solo a chi ha scritto il manga di far vedere quant’è intelligente.
Infatti c’erano dei buchi di trama spaventosi.
Il materiale originale era poi incredibilmente misogino in cui le donne erano delle imbecilli impressionanti il cui scopo e servire gli uomini.
Light e L non erano poi così interessanti e stereotipavano molto i canoni jappo (penso fosse il limite del proggetto) e tutti i comprotagonisti erano inetti. Ed è un peccato perché invece c’erano delle buone basi.
Molto del successo di DN si deve alla svolta che prende la storia a metà (che non posso spoilerare ma sicuramente chi conosce l’opera ha capito). Mossa non apprezzata da molti ma sicuramente importante.
In parole povere DN esiste già e basta guardare l’anime. Aveva senso fare sta poverinata sapendo che avrebbe scontentato tutti?
O davvero ci credevano?
beh, è un genere (io lo chiamo trucchi e scartatrucchi, non credo sia la definizione ufficiale) che in giappone va molto. agli autori di death note importava di vendere, non di far vedere quanto sono intelligenti, tant’è che lo/gli sceneggiatore/i si firma/no con uno pseudonimo.
su quello sfondi una porta aperta, e credo sia proprio un problema di “tsugumi oba”: l’hai letto il suo manga successivo, bakuman? lì il sottotitolo era “donne, fate silenzio che gli uomini stanno cercando di coltivare le loro ambizioni”
Tu che mi par di capire abbia dimestichezza col prodotto nelle sue varie declinazioni, ti chiedo una cosa: a sto punto sono incuriosito, ma non so se avrò mai tempo/voglia di leggere il manga, la serie anime vale la pena come surrogato?
la serie animata va benissimo. sono pure riusciti nell’incredibile impresa di rendere dinamica una storia dove praticamente la gente parla e basta.
se hai netflix c’è tutta e in italiano.
la serie animata vale una vista (per me è stato un audiolibro di sottofondo mentre lavoravo). Onestamente non mi ha invitato a leggere altre opere dell’autore. Ci sono dei buchi enormi nella trama (a me piacciono i gialli) difficili da ignorare. L’holmes di Doyle è una mary sue (o come si voglia dire il corrispettivo maschile) ma racconti e romanzi non hanno buchi narrativi. Cioè L tortura beatamente due persone per mesi e queste non si fanno problemi. Penso sia un aspetto della mentalità orientale a me totalmente estranea. Light ha delle botte di culo clamorose che il tanto criticato “plot armor” di batman gli spiccia casa
A dire il vero la serie animata non è più nel catalogo Netflix: l’hanno rimossa il giorno in cui hanno “pubblicato” il film (o forse il giorno prima, non ricordo bene).
che cosa? che stronzi! (e che mossa poco furba)
In effetti c’è chi ipotizza che volessero proprio evitare il confronto O.o
fheega mi sto guardando il film proprio perchè non ho trovato la serie (su neflisc dico)
la trovate comunque gratis su vvvvid
@L is the new Batman
dopo mesi di riflessioni, mi pare chiaro che il maschile di “Mary Sue” non possa che essere il “Brad” (immagina un giovane Paul Walker in “Pleasantville”).
è arduo tradurre in neanche 2h di film la complessa ed ambigua personalità di questi personaggi oltre che al concatenarsi di eventi da reazione a catena che si susseguono nella storia..
death note è una bomba perchè, come anche altri manga
tipo gantz, destroy and revolution, parasyte..
ha una scrittura più complessa rispetto ai loro antenati..
non c’è un solo semplice buoni contro cattivi e i colpi di scena sono sempre giganteschi ed inaspettati..
Una recensione talmente perfetta che non so davvero cosa scrivere nel commento se non: grazie.
Io quel “ravvedimento” finale di Light, che in mezzo minuto diventa machiavellico genio del male dopo essere stato non il primo della lista ma PROPRIO l’ultimo degli stronzi (semicit.) per tutto il resto del film, lo rivedo ogni notte nei miei incubi.
Concordo.
Sottolineo ulteriormente L che da personaggio cerebrale sbrocca e si comporta da matto dopo manco 5 minuti di entrata in scena
Bellissima recensione ma nemmeno io condivido stavolta. Credo che Wingard abbia mostrato ancora una volta di avere classe e stile da vendere. Il film è un perfetto “manga americano ” e l’unico difetto che gli si può imputare è che, per condensare in un’ora e mezza una serie lunga e complessa è costretto a mettere un sacco di cose, senza approfondire a dovere a volte. I tre attori principali risentono un po’ di questo. Ma nel complesso è il meglio che ci si potesse aspettare da una produzione americana, visivamente e musicalmente strepitoso, bella la storia… È il classico film fatto molto bene, che può scontentare solo i fan duri e puri del fumetto. E lo dice uno che a metà prima puntata della serie di The Preacher ha spento. Grazie a Dio (quello della morte, ovviamente) che lo hanno affidato a lui. Visto al Fright Fest, ha convinto tutti.
No no no no no no no no no. No. Va bene tutto, ma visivamente bello, NO. È tutto buio, cristo, sembra pacific rim senza i robot e i mostri
“E’ tutto buio” per criticare lo stile visivo di un film horror è un po’ pochino… mi sta benissimo che non ti sia piaciuto lo stile visivo, ma mi sembra davvero strano che sia soltanto perchè “è tutto buio”.
Che poi a guardarci bene non è mica vero che è tutto buio, è un tripudio di neon e contrasti che urla “non sono uscito vivo dagli anni ’80” ovunque.
No ragazzi la recensione è perfetta.
In pratica sono riusciti a sbagliare tutto.
Hanno cambiato i personaggi nelle loro caratteristiche fondamentali, ma hanno lasciato la trama uguale. Se il quaderno finisce in mano ad un “Turner” deve succedere quacosa di diverso rispetto all’uso fatto da un “Yagami”. I poteri di Superman in mano a Charles Manson o Ghandi darebbero origine a comportamenti diversi.
Le pose da Manga (L che si siede a cazzo di cane o mangia i dolcetti [cioè hanno spiegato perchè mangia i doci!!!]) sono davvero stucchevoli.
Vabbè, sto cercando di esprimere lo stesso concetto di Quantum, ma lo faccio peggio. Hanno cambiato qualcosa, ma senza il coraggio di creare qualcosa di nuovo finendo per partorire na roba senza capo ne coda.
P.S.
Ho odiato le urla da Scream Queen di Light, ma forse era un omaggio e io non l’ho capito…
ero pure preso bene mentre leggevo e mi son ritrovato a ragionare su possibili adattamenti riusciti di un soggetto simile (per dire, per farlo andare bastava lo consacrassi a una storia di bullismo, tema tanto attuale. Tizio reietto che pensa di essere mega intelligente e prezioso ma pestato dai bulli a scuola decide di vendicarsi col quadernino e diventa bullo a sua volta e poi lo prendono a curare Dylan Dog ma qui ne ammazza di più per la noia su FB che grazie al quadernino. Oppure lo declinavi con Dawson Creek. Che bomba sarebbe stata eh? adolescenti verbosi che parlano come 40enni che si trucidano con frasi sulla smemo).
Comunque, ero pure preso bene finchè non arrivo alle foto di quel coso punk gobbo di gommapiuma col busto ortopedico e capisci che willem dafoe si dovrebbe dare una regolata che ormai il suo aspetto luciferino è inflazionato
ho riso.
“… come gli americani siano degli irrecuperabili bigotti e moralisti del cazzo, pure quando vogliono fare i trasgressivi, e non siano in grado di immaginare un protagonista che commetta azioni moralmente deplorevoli”. In pratica quel pupazzone di Ryuk deve dare la spintarella a un Light che definire abulico sarebbe un complimento, perché questi provi il quaderno. Qui il film ha definito la sua… portata.
L’ultima cosa (vista) di Netflix che mi ha fatto vomitare: I am the pretty thing that lives in the house (è dello scorso anno). Che sia piaciuto a quella precisa fetta di pubblico?
Questa recensione è il significato stesso del termine recensione, complimenti. In questo caso era necessario fare paragoni con l’opera originale, o almeno conoscerne il contesto il minimo indispensabile, cosa che qui è stata fatta.
Lessi il manga minimo una decina d’anni fa, ma azzardo di più, e lo piantai dopo ?SPOILER? la morte di uno dei personaggi principali, poi sostituito da due meno interessanti. Ma stavo per mollare comunque.
Detto questo, da non-fan dell’opera originale, non mi sono cavato gli occhi al termine. Chiaro che non ci troviamo di fronte ad un gran film, portato avanti a stereotipi di liceali americani, mancanza di carisma (soprattutto L), forzature, e così via. Devo ammettere però che non mi sono annoiato un istante, grazie alla breve durata ed all’ottima gestione del ritmo. Ritmo elevato che potrebbe essere la causa della fretta di raccontare i personaggi, che in pochissimo tempo ribaltano i propri comportamenti al limite della schizofrenia.
Nota finale per Netflix: apprezzo lo sforzo nel produrre prodotti vostri, ma cristo investite qualche soldo in più dai, che questo Death Note pare avere qualche dollaro di budget in più di un Troma medio.
ahahhaha, non ho ancora visto il film, ma questa è una delle recensioni più belle che abbia mai letto.
io però la storia dei cuccioli non l’ho capita. Voleva essere divertente? Una provocazione?
Divertente? Una provocazione? No, è chiaramente un articolo di denuncia
Io ci ho chiaramente letto un sottotesto ambientalista pro WWF, che con un’iperbole grottesca (la classica risata verde del cabaret grottesco teutonico pre guerra) ha voluto denunziare nevvero lo sfruttamento e la mortificazione (in senso etimologico) dei cuccioli.
E invece no.
Ho letto il manga qualche anno fa dopo un lungo periodo di pressione di amici che lo adoravano. Mi decisi perché avevo iniziato Bakuman (dove comunque una delle ragazze a farsi il mazzo ci pensa) e alla fine diedi la chance a DN.
A parte l’idea già vista e rivista (Matheson, ma perfino Richard Kelly) è un manga piacevole che crolla dopo QUELLA morte – ma vabbé, letto una volta e poi dimenticato.
Insomma, questo film mi suscitava aperta indifferenza ma lo stanno stroncando tutti (e nessuno bene come te, Quantum) tanto che mi sta venendo voglia di vederlo per farmi due risate.
Non so poi se consiglierei Bakuman a qualcuno: per me è stato talmente tanto meta- e a carte scoperte che mi ha fatto passare la voglia di leggere manga per anni.
Bella recensione, ma anche per me è troppo severa, forse perché non conosco né anime né manga. A me sembra un buon film.
Va bene rivedere l’opera originale e farla propria ma lo dovevano fare prendendo Light, un sociopatico incapace di provare sentimenti per il prossimo compresa la propria famiglia e farlo diventare l’ennesimo imbranato col passato a giustificare gli omicidi iniziali per poi essere traviato dal potere? La tua rilettura è prendere un modello di protagonista raramente usato e trasformarlo nell’ennesimo clone adolescenziale visto milioni di volte?
Non vedrò mai il film, che sarà pure una merda ma un merito l’ha avuto: far nascere questa fantastica recensione.
Il manga fa cagare, la serie animata è pure peggio (pure in psycho pass si parla tanto di massimi sistemi, ma cazzo è un altro vivere), il live action jappo me lo sono schivato ma, ahimè, mi sono beccato questa merda fumante. Premettendo che gli emo devono morire tutti male, non perdonerò mai Adam Wingard per avermi fatto perdere un’ora e mezza con lo scontro ragazzino rincoglionito + troietta sadica vs negretto col cappuccetto.
io, anni fa, beccai la serie animata death note di sera su MTV e, poichè grazie ad MTV mi ero vista tutto neon genesis evangelion, decisi che ero abbastanza fidelizzata e che quindi sarebbe valsa la pena guardare anche la storia di light e elle. quando muore chi muore volevo abbandonare ma poi continuai. a distanza di anni, reputo quella serie animata un buon intrattenimento del quale conservo anche un buon ricordo ma non ho nessuna intenzione di guardare questo film in quanto le cose che mi piacevano di più della serie erano i pipponi che si facevano i due protagonisti per vincere la “gara di intelligenza” e il crescendo di maccosa con cui giustificavano il maccosa precedente. cose che, a quanto pare, mancano completamente nel film.
Capisco il voler stroncare il film (che io ho trovato assolutamente guardabile btw), ma era proprio necessario raccontare per filo e per segno tutta la storia (finale incluso) con lo stile alla honest trailer e senza manco segnalare lo SPOILER?
… mah…
DVD-QUOTE alternativa: “Wingardium Merdosa”.
Suggerisco la recensione di Caverna di Platone (che di DN ne sa parecchio), molto più equilibrata e sensata di questo brutto pezzo non all’altezza del sito
Seh, lallero…
https://www.facebook.com/sehstocazzo/
Io di Death Note ho letto tipo solo il primo numero del manga 6 anni fa e fine. Ma in generale pur avendoci provato rientro nel novero di persone con zero fascinazione verso l’universo manga/anime, anzi.
Ergo, prendendomelo come un Final Destination scemo con una regia più bella mi son divertito anche parecchio, al netto dei suoi difetti sia intrinseci come film che legati all’adattamento già snocciolati nella recensione.
P.S. Madò The Defenders, ma quanto è BRUTTO The Defenders?
…si salva soltanto Willem Dafoe che non si vede, si sente e basta. Furbo lui. Comunque hanno fatto un record, qualsiasi personaggio sullo schermo 400 calci nei denti subito, grazie. Io sono seriamente preoccupato per Adam Wingard. Non lo perdiamo per favore.
Mi sa che devo aver visto la versione PG-13 perchè a me “grazie al cazzo” scritto in cielo l’hanno censurato. Per il resto una pena inaffrontabile. Non è brutto rispetto all’anime. E’ brutto ebbasta.