“Non avevo ancora 13 anni la prima volta che vidi un essere umano morto.
Fu nell’estate del 1959, molto tempo fa.
Ma solo misurando il tempo in termini di anni“.
Gordie Lachance
Sono un po’ in ansia. Vi spiego perché, amici. Stephen King è il mio scrittore preferito. Dico in assoluto nella vita, eh? Ci pensavo l’anno scorso quando sono andato a comprare Fine Turno, l’ultimo capitolo della trilogia di Mr. Mercedes, il giorno della sua uscita, come un fanboy qualunque: Stephen è tra le persone con cui ho uno dei rapporti più lunghi della mia intera esistenza. Ha battuto sulla distanza amici fraterni, fidanzate con cui mi ero scambiato promesse di amore eterno, compagnie con cui ho passato metà della mia vita… Lui c’è sempre. L’ ho scoperto che ero ragazzino, me ne sono follemente innamorato, non mi ha MAI deluso, non l’ho MAI abbandonato. Come molti di voi che state leggendo questo sito, sono cresciuto con i suoi romanzi, ho tentato di copiarne lo stile letterario quando (per due minuti) ho desiderato fare lo scrittore, ho l’immaginario pieno zeppo di cose sue e, sadly, ho visto gran parte dei film tratti dai suoi libri. Succede sempre allo stesso modo: pensi sia la volta buona, vai in sala carico di aspettative, esci bestemmiando accristo. Ora le cose sembrano aver preso una piega leggermente differente (approfitto per segnalarvi, tra le varie cose buone uscite solo nel 2017, la prima stagione tratta proprio da Mr. Mercedes, creata da David E. Kelly e con due ottimi Brendan Gleeson e Harry Treadaway come protagonisti), ma un tempo vedere la scritta “tratto dal libro di Stephen King” sulla locandina era una garanzia di film demmerda. Sì, certo, le grandi eccezioni che conosciamo tutti… ma parliamo appunto di eccezioni. La gran parte della produzione è monnezza.
Per questo motivo mi trovo un po’ in difficoltà. Perché quando abbiamo deciso di fare questo piccolo specialino dedicato ai nostri film preferiti tratti dal nostro migliore amico Stephen, gira che ti rigira, mi sono ritrovato a proporre un pezzo su Stand By Me che, va bene che è innegabilmente un bel film, ma è anche tra quelli meno calciabili in assoluto. Insomma, non vorrei passare per quello che evidentemente sono: una mammoletta. Una mammoletta dalla lacrima facile che si ricorda di una proiezione di questo film organizzata dalla scuola un pomeriggio di tanti anni fa. Anzi, tantissimi, visto che ero alle elementari. Ricordo anche che riuscì, non so per quale strano motivo, a trovare il coraggio di sedermi di fianco a quella che mi piaceva, Cinzia, a cui scassai il cazzo tutto il tempo. Ogni volta che partiva il tema del film, scritto da Jack Nitzsche sulle note della canzone di Ben E. King, mi giravo verso di lei per dirle: “Ah, questa è la canzone che da il titolo al film! È bellissima!”, poi non cantavano e io ci rimanevo male. Ci tengo a precisare che poi con Cinzia mi ci sono fidanzato alle medie, ma non ci ho mai limonato (all’epoca il traguardo massimo raggiungibile con una ragazza) perché invece di prenderla e baciarla sotto casa come lei si aspettava, glielo chiesi. “Posso baciarti?”. Mi rispose “NO!” e due giorni dopo mi lasciò. Bè, cara la mia Cinzia, io adesso scrivo per i400Calci mentre tu so che ti sei sposata e hai pure dei bambini. WHO’S LAUGHING NOW, EH?
Stand by Me – Ricordo di un’Estate racconta la storia di quattro amici dodicenni che scappano di casa per attraversare l’Oregon. Vogliono andare a vedere il corpo di Ray Brower, un loro coetaneo a quanto pare morto colpito da un treno. Il film è tratto dal racconto The Body, nella versione italiana L’Autunno dell’Innocenza – Il Corpo, compreso in Stagioni Diverse, seconda raccolta di racconti pubblicata dal Re nel 1982. Al suo interno King, sfruttando il fatto che il protagonista Gordie Lachance (che parla in flashback in prima persona) vuole diventare uno scrittore, è riuscito a infilare due suoi vecchi racconti brevi. Parliamo di Stud City, pubblicato per la prima volta nel 1969 per la rivista Ubris, è The Revenge of Lard Ass Hogan, edito da The Maine Review nel 1975. Allo stesso modo, quest’ultimo è presente anche nel film. Il 1982 è un anno piuttosto difficile per King: durante la notte scrive Stagioni Diverse, durante il giorno riesce a chiudere L’Uomo in Fuga con lo pseudonimo di Richard Bachman (sì: ci ha pensato Nanni) e il primo romanzo della saga de La Torre Nera, L’Ultimo Cavaliere. Certo, il nostro è sempre stato prolifico ma dietro a questa megaiperattività c’è il solito problema della drogaina. Se avete letto il suo bellissimo On Writing: Autobiografia di un Mestiere, sapete che solo l’anno prima Stephen ha scritto Cujo… e non se lo ricorda minimamente. Cioè, non so se avete capito: questo stava talmente fatto che ha scritto un intero libro e non ne ha memoria. Questo per darvi un po’ il quadro della situazione psicologica dell’autore. Ok, oggi quando pensiamo a Stand By Me, il film, ci viene in mente la faccia paciosa di quelle quattro canaglie, i colori del foliage del Maine (anche se il film è ambientato in un’immaginaria Castle Rock spostata per l’occasione in Oregon), le canzoni felicione del 1959 tipo Lollipop delle Chordettes… ma dietro c’era uno strafatto di alcool, cocaina, valium e altre prelibatezze. Cose che evidentemente lasciano il segno.
Il paradosso è questo: The Body, il racconto, è considerato quasi un’eccezione nella produzione classica di King. Si tratta di un racconto senza nulla di sovrannaturale, un coming-of-age dolce e malinconico… Ed è anche vero. Ma dietro a quella facciata color pastello c’è un abisso nero di amarezza, dolore e orrore. I protagonisti del libri sono quattro ragazzini dal destino segnato a causa di genitori terribili, abusi fisici e psicologici, fratelli violenti e criminali (non a caso uno dei “grandi”, Ace “Asso” Merrill, comparirà poi definitivamente mutato in pazzo criminale in Cose Preziose). Attorno a loro c’è un mondo evidentemente sbagliato, che si rifiuta di accettare le proprie colpe. Un mondo in cui un ragazzino innocente che esce di casa per raccogliere mirtilli, finisce arrotato da un treno e il suo cadavere rimane a marcire in mezzo agli alberi, nell’attesa di essere scoperto da qualcuno che si vuole fare bello con lui. Un mondo in cui tutti finiranno male: chi una coltellata in gola, chi un un incidente stradale del cazzo, chi in un incendio dopo una festa, chi cocainomane e comandato dal Demonio in persona in un altro libro…
E come funziona il passaggio dalla carta stampata al grande schermo? Funziona bene. Certo, c’è un po’ meno di “pessimismo e fastidio” (e alcune differenze che possiamo lasciare ai filologi), ma la sceneggiatura della coppia Raynold Gideon e Bruce A. Evans, gli stessi che avevano messo la loro firma sullo script di Starman di John Carpenter, e la regia semplice e classica di Rob Reiner riescono a far rimanere il film sospeso in una sorta di limbo. Da una parte c’è il lato funny: le battute sboccate dei ragazzini che giocano a “paghi la mossa”, insultano le rispettive madri, parlano dei personaggi di Walt Disney o delle tette della presentatrice tv. Dall’altra c’è il malessere: il sogno di Gordie in cui il padre gli dice che sarebbe dovuto morire lui piuttosto che il fratello, la violenza della provincia sonnolenta, la cattiveria dei prepotenti che vogliono schiacciare i deboli, quella minaccia finale da parte dei cattivi che non riesce a farti godere quello che poteva essere un happy end… e un’inquadratura sul corpo di un dodicenne morto talmente prova di pathos e scarna da risultare ancora oggi fastidiosa e perturbante.
Insomma, Stand By Me è il mio film preferito tratto dai libri di Stephen King perché ha la giusta percentuale di Fattore Stranger Things, caratteristica filmica con cui vogliamo intendere quei film adolescenziali di metà anni ’80 con protagonisti ragazzini alle prese con avventure pazzeschissime. Perché quando l’ho visto per la prima volta mi ha spaccato il cervello in due (in quanti qui hanno scippato il saluto “sfrega”? In quanti dopo aver fatto il bagno controllano di non avere una sanguisuga sul pisello?) e perché col tempo, questa piccola storiella di provincia, ha assunto significati sempre più profondi e amari. Come i ragazzini che sorpassano con le loro biciclette la jeep di Gordie vecchio a inizio film. O come questa foto ingiallita dal tempo.
Due parole sul cast. Il film è raccontato in un lungo flashback da Gordie che è interpretato nella sua versione adulta da Richard Dreyfuss e nella sua versione dodicenne da Will Wheaton. I suoi migliori amici, i migliori che abbiamo mai avuto, sono: Jerry “Il mio amico Ultraman” O’Connell in versione ciccia, Corey “Mouth dei Goonies” Feldman e River “morto troppo giovane” Phoenix. I ragazzi sono tutti perfetti. Leggendo un po’ di resoconti dal set viene fuori che Rob Reiner, oltre ad aver avuto un grande intuito nell’azzeccare tutte le facce e le personalità, ha voluto far diventare realmente amici i suoi attori. La cosa si vede e l’alchimia tra di loro è commovente. Tra i grandi spunta il granitico Marshall “Kato” Bell nella parte del padre stronzo di Gordie, John Cusack nella parte del fratello morto, Kiefer Sutherland nella parte di Asso e Bradley Gregg, il protagonista di Classe 1999, nella parte di Eyeball “Caramello” Chambers. Tutti perfetti.
DVD-Quote:
“Non ho mai più visto film come quelli che ho visto a 12 anni.
Gesù, ma chi li ha visti?”
Casanova Wong Kar-Wai, i400calci.com
Io ancora aspetto una recensione dove smonti quell’aborto cinematografico de La Torre Nera…così, per farmi due risate.
Eh si.
Si può dire solo “Eh si”.
Bellissima recensione. Davvero.
Un altro classico della mia giovinezza… visto millemila volte eppure e’ sempre fresco ed emozionante: concordo con la rece, la forza sta nel cast affiatatissimo e in quel senso di malinconia che rende gia’ condannate le esistenze dei quattro ragazzi. Io ci ho sempre visto molto Fellini (passando per American Graffiti) piu’ che King, comuque ottimo pezzo.
Penso nella top 20 dei miei film prefe. Rece sentitissima.
Classico film che quando passa in tv NON si può mancare, nonostante il groppo alla gola e i lacrimoni nel finale.
questa mammoletta però mi ha convinto a riprendere in mano king. bel pezzo.
Amo King amo questo film.
L’unico, vero, reale orrore della vita.
Diventare adulti.
di tanto in tanto
Altro che mammoletta.
Chi tra libro e film non si fa prendere da un misto di nostalgia, emozione, groppo in gola e sudore agli occhi, dubito sia umano…
(possibile test alternativo per Terminator/mutaforma/rettiliani massoni)
intanto mi commuovo,
più avanti proverò a lasciare un vero commento.
+1
per me Stagioni Diverse si piazza almeno sul podio della produzione Kinghiana. Tra Un ragazzo Sveglio (reso non male da Brian Singer, mi pare), Shawshank Redemption (va beh lasciamo un po’ perdere il film), Stand by me… (oddio qual era l’ultimo?)
l’ultimo è The breathing method, dimenticabile e infatti lo hai dimenticato.
Fan DA SEMPRE di King ma questo film forse è stato l’unico che abbia visto senza leggere mai il libro.
Quando conobbi il film andavo alle medie e me ne innamorai perdutamente, ai limiti dell’ossessione: per un periodo lo guardavo ogni giorno. Sì, ho scritto giusto: -ogni giorno-.
Tralasciando il fatto che la bambina di allora era perdutamente innamorata di Chris/River e Gordie/Will, era proprio la storia ad entrarmi nel cuore. Sognavo, già allora, di avere degli amici così.
Purtroppo non li ho mai avuti, nè così nè come Stranger Things o IT.
Ma questo, forse, ha contribuito ad accentuare quella vena malinconica di Stand By Me.
A me ‘le ali della libertà’ non è mai dispiaciuto. Anzi, è uno di quei film che, magari senza cercarlo, ho visto 3 o 4 volte. Non ha un guizzo neanche a pagarlo, ma intrattiene benissimo
Da anni il più votato su IMDB, forse recentemente ha perso il primo posto. Chissà perché.
Sapevo che l’uscita del Pagliaccio avrebbe portato a questo…un “ciclo” di speciali sugli altri film tratti dai libri del Re.
Ho aspettato e sperato di leggere il nome del film che più mi emoziona ogni volta che lo guardo, anche oggi.
Sì, l’ho riguardato appena finito di leggere.
Saranno gli attori o l’affezione legata ai ricordi di un’estate con la mia cricca di dodicenni…ma il film NON è invecchiato di un giorno da quando lo vidi la prima volta.
Hai ragionissima quando scrivendone dici che la storia, col tempo, ha assunto significati sempre più profondi e amari…la fratellanza che si genera a quell’età, il dolore che si prova sapendo che un amico non c’è più e ,qualche volta, incrociando quei pochi ragazzini ancora rimasti a girare in bicicletta per la città, la nostalgia che ti viene ripensando ai tuoi “vecchi tempi”.
“Non ho più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni…”
Grazie per il pezzo!
Da Stagioni diverse hanno tratto LE ALI DELLA LIBERTA’, L’ALLIEVO e STAND BY ME. Dall’ultimo, LA TECNICA DI RESPIRAZIONE, non hanno ricavato ancora nulla. E leggendolo si capisce anche il perche’. Peccato perche’ e’ veramente commovente, nonostante la storia sia terribile. Verrebbe un gran film.
Film che mi ha sempre detto poco, ma che sia lui ad avere il “Fattore Stranger Things” non si può leggere.
Ma si me lo riguardo..
Mamma mia quanti ricordi!
Il film per eccellenza sulla perdita dell’innocenza e sull’amicizia infantile.
Ho sempre sognato avere una gang di amiche e amici cosi da piccola per colpa di questo film.
E ho sempre avuto paura di finire accoltellata/in carcere/vietnam come i personaggi di questo film poi da grandi.
Per ora sono ancora sulla retta via
io controllo ancora le sanguisughe sul pisello quando faccio il bagno. E di solito ci sono.