È successo che una dozzina di giorni fa ho parcheggiato la mia astronave a Londra per partecipare a un’estemporanea maratona di #berneunpaio: ho trovato una città che ha preso molto sul serio il concetto di “decorazioni natalizie luminose”, piena di gente che festeggiava il Natale come se non ci fosse un domani. Letteralmente, tra l’altro.
Ma comunque. La settimana seguente, appena tornata da Londra, per uno strano caso del destino, pensa te la coincidenza, ho visto tre film ambientati a Londra: Macchine mortali, Mary Poppins Returns e Final Score. Certo, non esattamente la Londra in cui ero appena stata. In Macchine mortali è una Londra-mega cingolato che attraversa i continenti come un gigantesco carro armato divorando altre piccole città-stato indifese, esattamente come farebbe una sottile metafora del colonialismo imperialista. In Mary Poppins Returns è una Londra-fondale di cartonato in CGI per far da palcoscenico all’esatto tipo di film che non recensiremo mai. In Final Score è una Londra in cui lo stadio del West Ham ha cessi pulitissimi e un pubblico educato, composto e poco rumoroso.
Macchine mortali, Mary Poppins Returns e Final Score condividono inoltre la scomoda caratteristica di non essere esattamente dei campioni d’originalità. Il primo ne parliamo in separata sede, il secondo è Mary Poppins: Il risveglio dell’ombrello, il terzo è Die Hard in uno stadio, e non lo dico io in segno di derisione o disprezzo, lo dicono con fiera tracotanza e dandosi di gomito gli stessi che l’hanno realizzato (cioè gli sceneggiatori – i fratelli Lynch e Jonathan Frank – e il regista Scott Mann; incidentalmente, tutta la questione è talmente poco originale che anche gli autori del film hanno il nome di qualcun altro). Il film è stato concepito, realizzato e promosso come “Die Hard allo stadio con Dave Bautista al posto di Bruce Willis”; che non è necessariamente una cattiva idea, intendiamoci (a scanso di equivoci: io sono uscita da Il risveglio della Forza appagata, felice e grata a J.J. Abrams, che contando i suoi milioni di dollari mi faceva l’occhiolino dicendo “Niente di che, Xena”), ma ti mette nella scomoda posizione di dover convincere a ogni scena lo spettatore sveglio che no, non era meglio allora rimettere su direttamente il Blu-ray di Die Hard.
Ci riesce, Scott Mann, un regista che porta nel nome il peso di due giganti della storia del cinema (e sapete perfettamente a quale Scott mi riferisco), che ha esordito con un bell’action molto apprezzato, ma all’opera seconda è subito inciampato nella merda? Scopriamolo insieme.
Tutto comincia a Sokovia: a quanto pare, prima che la sua capitale venisse staccata dal suolo e sollevata nel cielo da un mega potentissimo robot tutto pazzo, lo staterello ex sovietico è stato sconvolto da una rivoluzione armata, guidata da due crudeli fratelli tutti pazzi. 15 anni dopo, a Londra sbarca Dave Bautista (se questo film esiste davvero nello stesso universo degli Avengers, come l’esistenza di Sokovia ci suggerisce, allora si tratta probabilmente del gemello terrestre di Drax, e il fatto che si chiami Knox è una chiara conferma), un ex soldato americano che odia la regina, il tè, la birra, la pioggia e il calcio, ma attraversa regolarmente l’oceano per andare a trovare la moglie e la figlia di un ex collega e amico fraterno, morto in missione per colpa sua. Si sente talmente in colpa, Dave Bautista, da metter da parte l’odio per il pallone e decidere di portare la “nipotina” – una simpatica giovane chavvona, al cui confronto Kelly di Misfits era piccola lady – a vedere l’ultima partita giocata dal West Ham nello storico Boleyn Ground. Guarda caso, la partita in questione si gioca contro la squadra di Sokovia, i Dynamo qualcosa. Guarda caso, una ventina di spietati terroristi russi (ma abbastanza premurosi da comunicare comunque sempre tra loro in inglese) prende possesso dello stadio all’insaputa sia del mondo esterno sia dei tifosi, sigilla gli ingressi e inizia ad armeggiare con discrete quantità di C-4. Guarda caso, troveranno sulla propria strada l’uomo sbagliato al posto giusto (o viceversa), insomma Dave Bautista grossissimo e incazzato, determinato soprattutto a difendere la sua baby-chav e, già che passa di lì, salvare 30 mila vite umane.
Nel momento in cui Bautista getta un cadavere dal tetto per attirare l’attenzione e convincere gli sbirri di non essere un pazzo mitomane e che l’arena è davvero ostaggio dei terroristi, è più che mai chiaro che Final Score non ci proverà nemmeno a essere qualcosa di diverso da “Die Hard allo stadio”, e che anzi gli sceneggiatori si appoggeranno pesantemente alla struttura narrativa del capolavoro di John McTiernan, dinamiche tra i personaggi comprese (protagonista ha tra gli ostaggi un suo caro, che vuole salvare più di ogni cosa, ma che è anche il suo punto debole; protagonista interagisce via radio con due esponenti delle forze dell’ordine: uno vagamente simpa e comprensivo, l’altro uno stronzo che non capisce un cazzo, etc. etc.). Arrivati a quel punto è anche già chiaro a tutti che Scott Mann dovrebbe restituire, per onestà intellettuale, entrambi i suoi nomi all’anagrafe: non è che sia incapace, ma è al massimo funzionale, e la sua direzione non aiuta in alcun modo a elevare un materiale che, essendo così derivativo, avrebbe disperatamente bisogno di qualcosa – qualunque cosa – che lo distingua dal resto del cestone degli straight-to-video.
Ciò detto, non sta scritto da nessuna parte che una cosa prevedibile non possa essere divertente. Ed ecco per voi una lista (non) ragionata e (assolutamente) parziale di quel che mi ha divertito in Final Score (si allungherebbe con gli spoiler, ma quelli al massimo li facciamo nei commenti):
- Il fatto che, per farci provare un minimo di necessaria preoccupazione per Dave Bautista, abbiano dovuto cercare un tizio molto più grosso di Dave Bautista. E che l’abbiano trovato (nel bodybuilder Martyn Ford).
- L’inseguimento in moto. Dentro lo stadio, ovviamente. Con mega salto da decine di metri incluso. Capisco perfettamente la logica: cosa puoi aggiungere a un film perfetto come Die Hard? Un inseguimento in moto non è una risposta peggiore di altre.
- La bella scazzottata in cucina con utilizzo creativo della friggitrice.
- Il fatto che il film sia davvero più o meno in tempo reale, quasi corrispondente ai 90 minuti di una partita.
- La tipa super cattivissima – lo si evince facilmente dalla prima inquadratura che ce la presenta in impeccabili smokey eyes – e pericolosissima che si esprime solo a bestemmie, minacce e calci rotanti mi incuriosiva, così sono andata a guardarle l’IMDb e ho scoperto che vive in Italia e in curriculum ha – giuro – Carabinieri, Il commissario Montalbano, Provaci ancora prof, Don Gnocchi – L’angelo dei bimbi e La farfalla granata.
- La sconsiderata incoscienza con cui Final Score approccia il potenzialmente scivolosissimo tema “terrorismo”, e nello specifico “terrorismo in uno stadio”, appena tre anni dopo (ma il film è stato annunciato a febbraio 2016, quindi appena tre mesi dopo) gli attacchi di Parigi che coinvolgevano lo Stade de France. Con tanto di spalla comica etnicamente codificata che fa battute sul proprio aspetto mediorientale e (spoiler) urla Allah Akbar.
- La presenza di Pierce Brosnan. Che sta sulla locandina, capite, quindi a metà film, non vedendolo apparire, ho cominciato a preoccuparmi, magari gli era successo qualcosa, magari si era sentito male, magari stavo guardando il film sbagliato. Poi però arriva, e si produce in una delle migliori interpretazioni di “attore celebre che è qui solo per i soldi” della storia recente, facendosi letteralmente accompagnare da Bautista da una scena all’altra, e infine regalando un intenso monologo-metaforone sulle galline.
- Dave Bautista, e qui sono seria. Alla fine se non ho avuto voglia di morire neanche per un secondo guardando Final Score, il merito è tutto suo. Che ovviamente sa di non poter fare Bruce Willis, e quindi fa esattamente l’opposto, fa l’eroe pacato e taciturno, poche parole e tanti fatti, dove fatti significa ovviamente pugni. Certo, poi funziona molto meglio quando corre ribaltando a bracciate gli avversari, piuttosto che quando deve prodursi in urla di dolorosa rabbia con grande intensità drammatica, ma se vi stavate chiedendo “Dave Bautista può reggere un film da protagonista?”, secondo me ce la fa sì, dai.
Come potete facilmente capire, non tutti i punti della lista qui sopra corrispondono alla categoria “intrattenimento consapevole e volontario”, ma – esattamente come gli autori di Final Score – non ho intenzione di star qui a sottilizzare. Però, ecco, piccola nota personale: se qualcuno a un certo punto nel mondo, Londra o non Londra, avesse voglia di fare un film che non sia già un altro film, ecco, io non mi lamenterei.
In conclusione, chiederanno ora i miei piccoli lettori: non era meglio dunque rimetter su direttamente il Blu-ray di Die Hard? AHAHAHAHAHAHAHAAHAH, vi ho fregati, era una domanda trabocchetto, perché la risposta è ovviamente “ALWAYS” e vale per TUTTI I FILM.
Dvd quote suggerita:
“Yippee-ki-yay, mate”
Xena Rowlands, i400calci.com
Quindi questo e` il futuro di Bautista dopo il quasi sicuro licenziamento dalla Marvel?
quindi mi tengo caro caro il mio trappola di cristallo
Rimedia in parte allo sgarbo dell’ultimo Die Hard, quando ci presentarono il muscolosissimo cattivo salvo farlo crepare malamente senza boss fight?
Straight to video action, i film x mio padre :) !
Io passo e attendo la rece di Macchine Mortali..
Il russo cattivo è uno dei pupazzi soldato di Small Soldier che Putin ha trasformato in una persona vera
Martyn Ford era già apparso su queste pagine ma non ricordo bene per quale film (Boyka?) e la didascalia sotto la sua foto era “Un disegno di Tetsuo Hara” – definizione che trovo ancora appropriatissima.
Sì, era Boyka
http://www.i400calci.com/2017/08/undisputed-4-boyka-scott-adkins-si-riprende-trono/
E sticazzi — diranno subito i miei piccoli lettori.
Non mi toccate Alexandra Dinu
Capri è stato un massacro
é la trilogia di die hard la trilogia più calcista di sempre? ai poster l’ardua sentenza (quelli dopo non esistono)
Vedo ora la tag sul nome Scott Mann.
Meravigliosa.
Recensione strafica che ti redime dall’aver recensito Ocean’s eight.
Brava!
Martyn Ford è tipo il fratello maggiore di Dwayne Johnson che lo difende quando viene bullizzato.
Visto ieri notte con bimbo e signora…promosso a pieni voti!
Quanto vorrei un film del genere al mese in sala (anche se questo non creso sia uscito al cinema da noi).
Ora mi cerco il Blu Ray su Amazon!