André Øvredal è uno di quei nomi che fa stranissimo non avere ancora visto associati a un film Marvel, o DC, o più genericamente a qualcosa che abbia a che fare con il supereroismo. È il profilo perfetto: giovane (-ish), creativo e promettente, bravissimo a lavorare con quattro soldi e due cingomme, e poi norvegese, quindi sicuramente timido umile e rispettoso delle regole – un perfetto soldatino con quel tocco esotico che fa tanto Taika Waititi ma con le renne, con peraltro un curriculum di tutto rispetto che spazia dal found footage con i mostri all’horror con i cadaveri che si chiamano come un disco dei Converge fino al film con regazzini in biciclo.
André Øvredal è anche uno di quei nomi che evidentemente ci tiene un sacco a venire associato almeno una volta in carriera al supereroismo – una? AH! Ma che dico una, il suo Mortal, uscito a febbraio nel disinteresse generale e da allora non cagato in alcun modo per mesi fino al momento in cui ho deciso di rendergli giustizia, è sOlO l’iNiZiO! È una storia di superpoteri virata alla norvegese anche in termini di riferimenti culturali, che si prende il suo bel tempo per presentare i personaggi e farli interagire in maniere più o meno interessanti… e poi, sul più bello, quando è il momento di esplodere e decidere finalmente cosa vuole fare da grande, Mortal finisce, così, ex abrupto, che si traduce “alla brutta” credo. E così quella che fino a quel momento era una simpatica cover di un film di Cronenberg si interrompe prima di
SIGLA!
Spero Øvredal non me ne voglia, gli Amon Amarth sono svedesi e non sono neanche questo granché, ma mi sembrava esagerato tirare in ballo la Norvegia che conta per questo aborto di film – non nel senso che sia brutto ma nell’accezione più letterale del termine, un film la cui esistenza viene terminata prima ancora che abbia avuto occasione di sbocciare, un progetto interessante fino a pochi secondi dalla fine e che diventa poi sinceramente inspiegabile se non nell’ottica di un sequel, e di un altro sequel, e di un altro sequel ancora, e che palle però, mi lamento sempre che non c’è più gente che scrive storie nuove e quando arriva un tizio che ci prova poi viene fuori che l’ha fatto copiando i fratelli maggiori e più blasonati preferendo puntare sulla franchise-izzazione (o “creazione di un universo espanso”) e non sul confezionare una bella storiella che inizi e finisca come dovrebbero fare le cazzo di storielle mannaggia a voi e alle origin story.
Mortal si apre, com’è ovvio che sia, in un fiordo; poi sopra un fiordo, con un drone, poi sopra lo stesso fiordo ma in elicottero, e insomma in generale Øvredal ci tiene alle sue riprese aeree e a far capire fin da subito che siamo in Norvegia, la terra dei fiordi e dei paesaggi mozzafiato pieni di montagne innevate, rogge zampillanti tra l’erba e socialdemocrazia. Nei paraggi di questo fiordo si aggira una creatura bizzarra, un “americano”, di nome Eric, che ha antenati norvegesi e che si è dunque recato nella terra dei suoi avi per cercare di riallacciare i contatti con la famiglia. Mal gliene incolse! Arrivato alla fattoria dei suoi avi, a Eric è venuta tutta una sindrome strana per cui ha cominciato a star male e urlare e tenersi la testa e alla fine l’intero edificio ha preso fuoco!
Eric ha dei poteri, questo è chiaro fin da subito, com’è chiaro che il modello usato da Øvredal per raccontare la sua storia è quello cronenberghiano alla Scanners, quello già usato quattro anni fa da The Mind’s Eye, alla faccia delle dichiarazioni dell’autore che assimilavano Mortal a X-Men e a Chronicle (forse nella speranza che il film gli portasse la stessa occasione di dirigere un cinecomic “ufficiale” avuta al tempo da Josh Trank): c’è un tizio che ha un potere e non sa come controllarlo, e c’è una persona che lo aiuterà a farlo. E sullo sfondo c’è la polizia, ovviamente, e ci sono gli yankee nella figura di un’ambasciatrice le cui intenzioni verso Eric non sono mai del tutto chiare.
Mortal è quindi più un percorso di crescita e di presa di consapevolezza dei propri poteri che una tradizionale avventura supereroistica – è quello che di solito succede nel primo atto di un cinecomic, spalmato su un intero film. Al cuore di tutto c’è il rapporto tra Eric e la Jennifer Lawrence dei fiordi, Christine, la psicologa bionda dagli occhi blu cielo, che si infatua di questo tizio con la faccia da cantautore indie (cosa che peraltro Nat Wolff fa davvero nella sua vita, sempre che accettiate l’etichetta “indie” per la sua musica) e capisce all’istante come approcciarlo e aiutarlo a tenere sotto controllo i suoi poteri.
Perché ecco, non dimenticatevene: la storia dei poteri è molto importante, e in costante evoluzione. Tra una panoramica del fiordo e un primo piano di Nat Wolff sofferente o degli occhi azzurrissimi di Riccioli d’Oro (non so se è chiaro che Øvredal ha fatto prima di tutto un film di fazze e primissimi piani), c’è anche spazio per capire meglio questa storia di Eric che dà fuoco alla gente con il pensiero e può evocare i temporali quando s’incazza. Uhm, un tizio di origini norvegesi che scopre di poter controllare i fulmini: quale sarà il sottile riferimento nascosto da Øvredal dietro questo immaginario suggestivo e impenetrabile? Purtroppo, ogni volta che Mortal ci fa vedere Eric che fa un passo avanti lungo la strada del capire di essere Thor, i suoi limiti emergono prepotenti: primo fra tutti una CGI che non come definire se non “scrausa”, e poi il vizio di Øvredal di nascondere gli effetti più spettacolari della distruzione evocata da Eric dietro inquadrature strettissime sulla sua faccia sofferente – una soluzione dettata con ogni probabilità dalla considerazione che quando poi il campo si allarga lo spettacolo è rovinato dalla succitata CGI scrausa, per cui Mortal si ritrova ogni volta in un vicolo cieco creativo dal quale deve uscire puntando tutto sul Lato Umano™ e trascurando un po’ quell’aspetto visivo che invece in Trollhunter e Scary Stories era così preminente e ben riuscito.
Sia chiaro che non sto odiando Øvredal, il cui tocco si riconosce qui e là; è che qui gli mancava proprio la ciccia da innestare sull’ossatura di quella che è una origin story che non ha alcun cazzo di senso di esistere se non nell’ottica di almeno un altro paio di capitoli (OK sì forse un po’ lo sto odiando). E non vale neanche barare e citare capolavori dalla struttura analoga, che ne so, Darkman: il film di Raimi era appunto un film, non un arco narrativo incompleto la cui conclusione scoprirete la prossima settimana su questo canale.
Sto solo dicendo che si può anche girare una origin story senza per questo trasformarla nel pilot di un’inesistente serie TV con episodi da un’ora e quaranta e troncarlo sul più bello lasciandolo senza una vera conclusione.
Quote suggerita
«La risposta norvegese a… Guarda anche il secondo film per scoprire la fine di questa quote!»
(Stanlio
Vero che gli Amon amarth sono campioni nel menaggio del torrone, però l’esordio e “Twilight of the gods” restano due disconi.
Questo film è “Ragnarok (la serie Netflix), the film”?
“Twilight of the Thunder God”- “Twilight of the Gods” è dei Bathory (altro livello).
Quindi sostanzialmente questo film è il primo e non definitivo pilot della serie TV “Ragnarok” di Netflix? :D
Peccato perché pensavo, grazie a “Scary stories” (che non era un capolavoro, ma aveva una confezione da blockbuster con tanto di produzione di del Toro; era insomma una pellicola curata e a suo modo divertente), che Hollywood avesse già in serbo per Øvredal qualche compitino importante.
Proprio perché ha dimostrato che se ci sono i soldi riesce a fare qualcosa di buono, potrebbe anche fare una fine migliore di Trank, qualora gli affidassero un film Marvel o DC. E probabilmente avverrà prima o poi, come è successo a Sandberg con Shazam!: nel frattempo leggo da IMDB che dopo ‘sta roba dovrebbero arrivare il sequel del citato “Scary stories” e un altro film su una certa nave da romanzo gotico. Stiamo a vedere che succede
Troll Hunter miglior film ripescato dagli abissi dell’internet degli ultimi 10 anni ..e con distacco
Non confondiamo la cioccolata..
crossover con brightburn d’obbligo
so che non centra nulla ma ho un appello da farvi.
avete ( e avete fatto bene ) recensito THE BROKEN KEY e non mi recensite Creators The Past???
in entrambi i film viene mostrata la meravigliosa Sacra di San Michele.
un po il discorso che feci per “the broken key” ma sto film è meglio
io vivo in piemonte e sono piemontese
non posso che parlare bene di un film di fantascienza che sostiene ( sempre pensato ) che gli Arancieri di ivrea sono alieni.
Perchè gli arancieri di Ivrea sono Alieni!!!!
come per the broken key sto film ha il pregio di radunare dei veri miti
un po sconclusionato come film ma appunto ( IN ATTESA DEL SEQUEL ) vale la pena di andarlo a vedere
guardatelo fino alla fine
la dedica finale agli alieni vale da solo il biglietto!!
BOB
L’ho trovato pessimo.
Dai un tono finto grounded a una vicenda che include Thor e poi i due protagonisti si innammmorano perché sì e la polizia scorta un assassino reo confesso a una fattoria sempre perché sì.
“Quella dell’ambasciata” completa il quadro della sciatteria della scrittura al potere, che fa pure passare in secondo piano il finale tronco.
No vabbè appena visto..ma cosa ho visto? Episodio 1×01, non un film.
Ci sarà mai un episodio 1×02?