Prefazione di Nanni Cobretti
Non crederete che io me ne stia lì a guardare Best Worst Movie che tenta di gettare discredito su uno dei nostri più stimati professionisti così, con le mani in mano? Ammettetelo, lo credevate. Maledetti.
E invece no: ho immediatamente sguinzagliato Casanova Wong Kar-Wai, il quale ha rintracciato Claudio Fragasso in persona e ha condotto questa approfondita intervista in cui viene finalmente fuori la verità su Troll 2. E intendo la verità vera, non quella più divertente che fa vendere i documentari e le magliette dei documentari.
E alla fine la verità, piuttosto ovvia, è che i film brutti sono altri. To’, ad esempio, il primo che mi viene in mente: The Girlfriend Experience.
E comunque finché si era lì è stata un’occasione per discutere più in generale sulla difficoltà di fare un horror italiano, allora come oggi.
Ma ecco cosa ci ha raccontato…
(N.B.: Casanova mi ha cassato la prima domanda, che era “come va”)

Al centro, Claudio Fragasso. Ai lati, gente che intimorisce.
Come nacque il progetto Goblins, poi ri-titolato dai distributori Troll 2?
Il film nasce da un incontro con Aristide Massaccesi, meglio noto come Joe D’Amato. Chiamò me e Rossella [Drudi, moglie di Claudio e conosciuta su territorio americano con lo pseudonimo di Sara Asproon. ndA], che era la mia sceneggiatrice, e ci chiese di fare un film horror senza sangue – che equivale a dire fare un western senza pistole. Ma sai, era il 1989, un periodo particolare in cui lo splatter e il gore non andavano più di moda e si rischiava anche di finire censurati… Per cui, sforzandoci un po’, è venuta fuori quest’idea: mostriciattoli dei boschi che trasformano le persone in piante per poi poterle mangiare. Una sorta di “vampiro cannibale vegetariano”. E grazie a questa idea siamo riusciti a fare il film senza far vedere nemmeno una goccia di sangue. Tutto quello che si vede è fatto con il verde della clorofilla, una sostituzione che già di per sé è un’idea… In più si sono aggiunte altre cose, altre idee, che hanno fatto scoppiare il fenomeno. Vedi, io c’ho pensato a lungo, soprattutto durante i miei recenti viaggi in America, e ho tentato di analizzare il perché di questo fenomeno. Alla fine penso che Troll 2 sia un film talmente ingenuo, talmente semplice, talmente puro, talmente vero… che la gente l’ha premiato.
Quali sono le circostanze che vi portarono a girare nello Utah e, soprattutto, ad arruolare attori dilettanti sul posto anche per i ruoli principali?
Beh, per un mero discorso economico. Nello Utah puoi girare senza avere tra i piedi le Union [i sindacati, ndA], quindi non avevavmo problemi sindacali di nessun tipo. Per Aristide è stata una delle prima esperienze in America. Pensa che si era comprato un camion dove infilava di tutto, dalle rampe alle cineprese… tutto quanto. E si girava così. Era una cosa abbastanza pioneristica. Ma fu un’esperienza talmente piacevole, talmente interessante, che poi continuammo a lavorare con lui. Abbiamo fatto allo stesso modo La Casa 5, e tante altre cose. C’è stato un periodo, dagli ’80 alla metà dei ’90, in cui Aristide lavorava in America come produttore esecutivo per delle società estere, o italiane che lavoravano all’estero, e le cose funzionavano. Noi giravamo dei film del tutto simili a quelli americani, ma con la metà del loro budget. E quindi li vendevamo un po’ ovunque, in tutto il mondo. E la cosa ha funzionato fino a quando gli americani hanno capito… sai, gli americani sono lenti a capire, ma una volta che ci arrivano sono implacabili… e quando anche loro hanno abbassato i budget, non c’è stata più concorrenza.
Quant’era il budget di Troll 2?
Penso intorno a quattro / cinquecento milioni di lire. Direi 250 mila euro di oggi.
Come mai decidesti di usare uno pseudonimo nuovo, Draco [o Drake] Floyd, invece di Clyde Anderson con cui avevi già firmato diversi altri horror e “sequel apocrifi”?
Cambiai nome perché il produttore del film era lo stesso con cui avevo girato Monster Dog, un film con Alice Cooper…
Ah certo! Grandissimo film!
Beh, questo lo dici tu… Comunque, Monster Dog non andò benissimo, per cui non volevo che lui capisse che il regista ero sempre io.
Quanto onestamente eri soddisfatto del risultato finale tenendo conto di tutti questi evidenti limiti di partenza dell’operazione?
Mah… il film alla fine è meno presuntuoso di molti altri miei film, come Monster Dog, che chissà che volevano fare. È più semplice e in qualche modo forse più centrato. Penso sia più riuscito proprio grazie alla sua semplicità e al suo giocare intorno alla commedia, una sorta di “funny horror movie”. Tutti i personaggi sono estremizzati: pensa alla strega, al reverendo, al nonno o al papà… Sono fatti apposta per far ridere. Di sequenze di tensione vera non è che ce ne siano molte in realtà. Negli Stati Uniti, lo paragonano – ahimè penso ingiustamente – al Rocky Horror Picture Show. Pensa: nelle sale dove fanno Rocky Horror, solitamente prima proiettano Troll 2 o viceversa. E il pubblico in sala partecipa attivamente alla visione. Per esempio, quando la strega trasforma uno dei personaggi in pop corn, la gente butta i pop corn contro lo schermo. Ridono, scherzano, ballano, cantano le canzoni del film… è una cosa allucinante.

Una scena tratta da Avatar di James Cameron
Tu Best Worst Movie non l’hai ancora visto…
No, devo incontrare ancora Michael… ultimamante sono stato un po’ impicciato. Michael continua a dirmi di andare negli USA che c’è la possibilità di fare Troll 3 [il progetto è stato annunciato come Troll 2 – Part 2, ndA], però sinceramente non ho nè la voglia, nè il tempo nè l’età per fare una cosa del genere. Certo, può succedere di tutto, ma io ormai mi sono abituato in un certo modo. Milano-Palermo: Il Ritorno ha avuto un grande successo, e adesso ho fatto questo film – Le Ultime 56 Ore – che è un film molto particolare, e in più sto progettando un nuovo film che è una specie di western. Diciamo che sono molto impegnato. E poi penso che Troll 2 sia una cosa irripetibile. Non voglio dire che lo dovrei fare con lo stesso budget, ma quasi. È un film che ha certe prerogative, che deve essere fatto con un certo spirito, altrimenti si rischia di perdere il senso stesso dell’operazione. Dovrei riprendere quasi lo stesso cast, una cosa del genere… Pensa: per farlo, il sindaco di Salt Lake City mi ha offerto 500 mila dollari di budget esentasse – metodo che da loro funziona, da noi no – ma non me la sono sentita.
C’è qualche accusa in particolare che ti è stata rivolta a cui ci tieni a rispondere dando la tua versione dei fatti? Mi riferisco ad esempio all’episodio in cui te la prendi con gli attori che raccontano pubblicamente, forse esagerando, la situazione di disorganizzazione durante le riprese…
No, ma sai cosa? È che quelli erano quattro cazzari! Prendi quello che fa il contadino. È venuto, ha fatto esattamente quello che gli ho detto di fare, e adesso dice in giro che io non parlavo una parola di inglese e che nessuno capiva niente… Ma che cacchio stai addì? Quello faceva esattamente quello che volevo io… Sai cosa: quando è nato il fenomeno io non c’ero, quindi se la sono sono un po’ cantata e giocata come volevano loro, anche per avere un minimo di ritorno pubblicitario. Quando poi sono arrivato io e loro dicevano cazzate, io giustamente mi incazzavo. Voglio dire: in Troll 2 non c’è stato niente di improvvisato o di dettato dal caso. È stata una produzione molto dura. Gli attori li ho scelti dopo avere incontrato un sacco di gente, e alla fine penso di aver fatto il meglio con quello che avevo a disposizione.
Verso la fine del documentario tu dici più o meno, parafrasando: “Un film deve essere in grado di procurare emozioni, e non importa quali, perché è soggettivo. Un film è sbagliato solo se lascia indifferenti. E se Troll 2, dopo vent’anni, porta ancora tutta questa gente a guardarlo e riguardarlo a ripetizione, evidentemente è un successo.” Noi dei 400 calci diciamo che esistono solo due tipi di film, quelli belli e quelli noiosi, e Troll 2 è tutt’altro che noioso. Cosa ne pensi?
Purtroppo guarda, siamo in Italia, e il film si divide in mille categorie… In verità quello che dite è giusto, i film si dividono in due grandi categorie: il film brutto e il film bello. E il film è bello quando ti crea delle emozioni, ti lascia addosso qualcosa, anche se magari te ne accorgi col tempo. Però da noi, che siamo insignificanti rispetto all’America, le divisioni sono tante. E quindi ti arriva tutto questo materiale, vedi ad esempio a Venezia, che secondo me è un disastro, perlomeno dal punto di vista delle spese rispetto alle attese. Un film come Baarìa, un film come Il grande sogno, si vede che sono delle “palle”…
Diciamo che il trailer basta e avanza…
Però purtroppo da noi regnano tutte ‘ste menate… “il regista che ha fatto Romanzo Criminale“, o “il regista premio Oscar”… poi magari ti ritrovi con un film a piccolissimo budget che ti dà un’emozione forte, mentre questi ti lasciano del tutto indifferente. Poi però ti ricordo che il pubblico è spietato, eh? Quindi alla fine, aldilà di tutto quello che potete dire voi o che posso dire io, è lui che giudica, e se gli ha preso che il film non gli interessa non lo va a vedere. E anch’io sulle mie povere spalle l’ho dovuto vivere alcune volte. Quando fai un film in cui non credi, ti giuro, è difficilissimo che ti vada bene.
Tanti altri film ultimamente hanno trovato inaspettato successo perché considerati particolarmente non riusciti (Manos, The Room, Gigli, quelli di Uwe Boll, ecc…), e ci sono migliaia di appassionati e collezionisti al mondo con questo tipo di sensibilità… cosa ne pensi di questo fenomeno moderno del “culto del film brutto”?
Mah, il film brutto… in realtà se un film non ha proprio niente da dire è difficile che regga. Nel tempo si creano delle strane situazioni. Ad esempio noi in Italia abbiamo cominciato a rivalutare, e non è la prima volta, degli attori, dei film o delle situazioni che esistono da dieci o vent’anni. Basta guardare Totò e ti rendi conto della deficienza del critico italiano medio che è un supponente, un saccente, uno che deve poter dire la sua. Delle volte è anche in difficoltà perché non riesce a capire il “tempo” del film. A volte ci sono dei film che con il tempo si rivalutano, perché magari un regista, un artista, si è messo lì in tutta sincerità, ha creduto in un’operazione, l’ha realizzata, e ne è risultato qualcosa che ha precorso i tempi… Basta vedere, che ne so, i grandi. Orson Welles faceva dei film che lì per lì gli stroncavano e poi risultavano geniali.
Vi sta tornando qualcosa in tasca di questo improvviso successo, o a guadagnare sono soprattutto Michael Stephenson e George Hardy [regista e protagonista di Best Worst Movie]?
No no a guadagnare è soltanto quel micragnoso di Michael, lui è mormone [ride, ndA]… No, è che questo credo sia un film prodotto dalla MGM, loro hanno i diritti, io non prendo una lira che è una. Troll 2 invece pensa, mi è arrivata questa email in cui mi dicono che in America ha incassato dei soldi, e forse c’è n’è anche per me. Ma lì sai è molto complicata la storia, perché noi qui in Italia abbiamo la SIAE che ci svena, invece in America ci sono diverse associazioni di artisti… Insomma, credo di avere un migliaio di dollari da dover recuperare.

La strega che trasforma la gente in pop corn.
Ultimamente hai girato molti polizieschi, e ora stai facendo un simil-western. Ma l’horror?
Per l’horror guarda, lascio fare i giovani. Io ho avuto delle occasioni, ad esempio ho seguito La maschera di cera ma non l’ho fatto perché non mi piaceva la sceneggiatura. L’horror è una grande scommessa. Gli spagnoli ad esempio ci sono riusciti perché con i film della Filmax – sembra un gioco di parole – la loro dimensione spagnola scompare e diventano film internazionali.
Tipo quelli di Yuzna?
Sì, perché sono entrati in un’altra logica. La logica dell’horror, come si sono accorti anche i francesi, è una logica internazionale, non nazionale. Noi dovremmo riuscire a toglierci una sorta, come dire, di tendenza ad essere italiani, mi spiego? Riuscire a fare un film horror ambientato in Italia che neghi in qualche maniera l’italianità è una cosa complicata.
Imago Mortis l’hai visto?
Sì sì l’ho visto… ma no, a livello di visionarietà ci siamo. Alcuni di questi ragazzi li ho conosciuti, tipo quello che ha fatto Smile [Francesco Gasperoni, ndA]. Sono ragazzi che tendono ad americanizzarsi, e secondo me sbagliano, nel senso che a quel punto tanto vale che te ne vai in America e te lo giri là. Poi là la prima cosa che ti dicono è che non devi usare il nome italiano, che altrimenti la gente non lo va a vedere per principio. Ad esempio ieri ero alle poste e ho sentito uno che diceva “ah ma questo Smile e’ un film italiano, immaginati un horror italiano che cazzata”… capito? E’ una forma mentis che ti dice, aldilà dei fans e di quelli che ci credono, che nell’immaginario collettivo italiano noi l’horror non siamo in grado di farlo. Pur avendone fatti tantissimi! Perché negli anni ’70-’80 ne facevamo quasi più noi che gli americani, e molti erano davvero molto belli.
Io ho un’idea di principio che è in totale contrasto con altri: io dico che più se ne fanno e più c’è la possibilità che ne vengano fatti bene. Meno se ne fanno e più si sta a giudicare il singolo film. Ne devi fare tanti, la gente ci deve credere. Ma noi abbiamo questa sorta di provincialismo autocensorio che ci porta a fare dei film che in realtà sono ibridi, che non sono nè una cosa nè l’altra. O tu punti molto sulla sceneggiatura e riesci a internazionalizzare pur stando sul territorio italiano… non so, trovi una storia eccezionale, tipo un nuovo Blair Witch Project, una cosa proprio fuori da tutti i canoni, oppure è inutile. Quando Besson ha prodotto i suoi film in Francia lo ha fatto a livello americano, ed è per questo che avevano successo, capito? Devo ancora vedere quello di Zampaglione [Shadow, ndA] che mi hanno detto che non è male…
Confermo.
Se ci fosse riuscito, magari. Sono tentativi che andrebbero premiati già in partenza perché sono difficili, ti ci devi spremere il cervello sopra. Ad esempio c’è un libro molto bello che ha scritto Rossella, si chiama Prendimi e uccidimi, ed è una storia ambientata a Torino, con personaggi italiani in un contesto italiano, ma che ha una dimensione internazionale. Però è un film che costa. E quando abbiamo capito che il budget superava 4 milioni di euro il produttore si è tirato indietro. È che io non potevo farlo diversamente. Ha cominciato a scendere, a tagliare, tagliare, tagliare… e il film sarebbe venuto fuori una schifezza. Eppure ci sono dei film che si possono fare, ad esempio un film come [REC], che in Italia è difficilissimo da produrre anche se i presupposti ci sarebbero tutti. Cazzo ci vuole, è una telecamera sola, perché non farlo?
[a questo punto ringrazio Claudio e scambio due parole anche con la moglie Rossella, sceneggiatrice di Troll 2]

Il sangue verde. Qua non ammetto risate, è spettacolare.
Noi avevamo presentato Best Worst Movie tempo fa sui 400 calci e proprio tu eri venuta a commentare…
Sì, sono io l’internauta… è che mi ero spolmonata e non ne potevo più di rispondere per l’ennesima volta alle varie critiche che avevo letto, e ci tengo tanto a chiarire che non era un horror venuto comico perché ridicolo. Ho fatto mille interviste sia con Los Angeles che con il Guardian a Londra, perché si sono resi conto di questo fenomeno che ha meravigliato anche noi. Tutto è partito da Aristide Massacesi, che per noi è stato il Roger Corman italiano, una persona che non si ricorda mai ma che meriterebbe tanto. Siamo proprio in tanti ad aver esordito grazie a lui, anche gente come Michele Soavi. E la verità è che lui aveva questa maschera – una sola, che è la cosa che fa ridere – che era stata usata nel primo Troll, che noi non abbiamo mai visto e non abbiamo voluto vedere apposta perché tanto non doveva essere un seguito di quel film. E ci disse “io ho questa maschera e ci ho speso tanti soldi: inventati una storia in cui non ci dev’essere sangue, che dev’essere per bambini ma dev’essere horror”. E io risposi “ma che stai addì?!?”
E quindi da qui l’idea del sangue verde…
Alla fine che t’inventi? Il posto era stupendo, perché è lì dove Robert Redford fa il festival [il Sundance, ndA], ma stiamo parlando dell’89 e c’erano dei divieti. E quindi è piaciuta l’idea dei goblin vegetariani visti come specie di vampiri. Poi ci ho messo un po’ di tutto: i druidi, i miei antenati, Stonehenge – che gli Americani non sanno neanche cos’è, siamo a livelli di ignoranza pazzesca – e poi Claudio ha fatto recitare tutti quanti volutamente sopra le righe. I dialoghi in inglese li abbiamo scritti noi. Però dentro c’è anche qualche cosa di serio, il discorso generazionale, la perdita del nonno, la crescita… ci sono tante cose nascoste sotto per i più attenti. Comunque in generale siamo contenti che sia successa questa cosa incredibile.
—
E qui, passo e chiudo.
Ringraziamo infinitamente Claudio e Rossella per la bella chiaccherata.
E voi recuperate subito Troll 2, disgrazie che non siete altro.
Applausi.
Ma c’è ancora seriamente qualcuno che pensa che l’horror italiano possa essere una cazzata?!
Dopo H2ODIO?!
non posso crederci…
Ha ha ha…