Introduzione di Nanni Cobretti
Ve l’avevo promesso che avremmo approfondito il discorso su Thirst, ultima fatica dello stimatissimo Chan-Wook Park. Quale migliore occasione per far esordire il nostro nuovo redattore, uno che tra l’altro in queste cose ci sguazza come un calamaro mutante sotto i ponti del fiume Han?
Signore e signori, è con orgoglio che vi presento Luotto Preminger!
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Ci sono pochissime cose più emozionanti che leggere le parole “a chanwook park film” all’inizio dei titoli di testa di Thirst.
Alcuni certamente obietteranno, affermando stizziti che vi sono in realtà molte esperienze più commoventi, come ad esempio accompagnare la propria figlia all’altare, o aiutare un piccolo sfortunato a superare una grave malattia alle gambe e vederlo finalmente vincere una gara di corsa tra gli applausi della folla, o adottare un trovatello e leggere la gioia nei suoi occhi mentre gli viene regalata la speranza di una vita migliore. Cose così. Ebbene, a tutti costoro io dico: bastardi senza cuore. Non c’è niente, NIENTE di più emozionante che leggere le parole “a chanwook park film” all’inizio dei titoli di testa di Thirst.
Sì, ammetto che aspettavo Thirst con una certa impazienza. Poi l’ho visto, e mi sono trovato spiazzato. Per dire: la reazione immediata che prevedevo di avere alla fine del film (uscire dal cinema e mettermi spontaneamente a correre per la città come in un film di Frank Capra, salutando i passanti e diffondendo gioia, bontà e amore per il Cinema Bellissimo) non l’ho affatto avuta. Al contrario, sono rimasto lì imbambolato senza riuscire a dire altro che “spiazzato” per una ventina di minuti.

Sympathy for il Pilates
Ormai avrete capito che la parola d’ordine, con Thirst, è: spiazzamento. Mi spingo a dire che Thirst è il film più “a sé stante” nella filmografia di Park, una filmografia che, ricordiamo, è incisa su tavole di pietra e donata agli spettatori da un roveto ardente. Insomma, non c’era davvero nulla che facesse presagire che Thirst sarebbe stato un film così, girato in questo modo. Perché stavolta Park sembrava aver tirato fuori il suo soggetto più pirotecnico e dissacrante, se vogliamo più “pop” (è comunque una storia horror di vampiri che scopano, porca miseria), e non poteva cadere in un momento più felice, e non potevamo essere più curiosi di vedere come l’avrebbe smontato: bene, volete sapere come lo smonta? Lo disintegra, negando allo spettatore qualunque piacere, togliendogli costantemente e coscientemente il tappeto da sotto i piedi in tutti i modi, e quasi mai in una direzione che dia soddisfazione immediata. Non si può essere più anti-pop di così. Thirst è un film che si descrive a ossimori. È il film di Park più lento, catatonico, rigoroso, quello in cui il registone indulge meno nei giochi di prestigio stilistici che sotto sotto tanto ci piacevano; eppure è anche il suo film più azzardato, più assurdo, più TUTTI MATTI QUESTI GIAPPI nel far convivere alto e basso, nero e bianco, magro e grasso. Non c’è una-scena-una che sia scritta e girata come uno se l’aspetterebbe: il ritmo si calcifica quando ci immagineremmo accelerazioni ed enfasi, le ellissi ci fregano quando chiederemmo spiegazioni, l’effetto è sempre mostrato prima della causa e ci destabilizza, e lo humour è talmente nero e subdolo e a tradimento che, giuro, non siamo nemmeno sicuri di come dovremmo reagire. Cosa gli vuoi dire a uno che, quando arriva il picco tragico del dramma psicologico della coppia maledetta e disperata, prende e lo tratta come un film di Pasquale Festa Campanile?
Tutto questo per ribadire la parola d’ordine: spiazzamento.

Sympathy for il Photocall
Dare un giudizio su Thirst non è per nulla facile. Premesso che non sarebbe un brutto film nemmeno se lo proiettassero per sbaglio con l’audio di Into The Wild, esso è però lambiccato, sfuggente, pieno zeppo di ROBA. E ha, sopra ogni cosa, un problema: che tutto questo gioco a nascondino con lo spettatore, tutta questa ricerca di uno stile sovvertitore e imprevedibile, lungi dall’essere gratuita esibizione di stile, determina l’ effetto imperdonabile di distogliere dai personaggi. Non riesco a capire se il problema stia proprio in fase di scrittura o di messa in scena, o se sia solo un problema mio, ma il prete nudo Song Kang-ho (com’è che non l’ho ancora nominato??) non cattura, non dilania, non coinvolge. Il suo dilemma resta suo, non ci appartiene; e per quanto zompi dai palazzi, lecchi ascelle e ciucci sangue, non è lui a restarci nella memoria. Song è bravissimo, è il più bravo di tutti, qui dimagrisce, ringiovanisce, chiava, fa vedere il pirullo, procede lungo il film restituendo sul suo faccione tutto lo spiazzamento di cui sopra. Ma il suo personaggio non funziona a dovere, attraversa il film in balia degli eventi: il che è certo coerente con la sua vicenda, ma fino a un certo punto. E Thirst rimane un oggetto curioso e bello, ma dal nucleo poco solido. Per fortuna c’è Kim Ok-vin, che sarà sì un’attrice più gigiona, ma cazzo, almeno dà una scossa di vita: è lei l’anima pulsante, carnale, sempre mezza nuda a leccare le cose. È solo nelle scene a due che i personaggi prendono corpo, sia quando bombano (e che belle scene di bombate!), sia quando si picchiano fortissimo, sia quando saltano tra i palazzi, sia quando si tagliuzzano e si succhiano e si contorcono. Ecco, qui sì che ci si stringe il cuore. Qui sì che si toccano le vette di passione, sia pure spiazzante e inaspettata. Farti abbassare la guardia, colpirti a tradimento: se il film fosse riuscito a fare sempre così, come fa in due/tre scene nodali di coppia, finale incluso, mi avrebbero dovuto portar fuori in barella. E invece no. E la colpa è solo sua (del film). Però l’ho già detto che lei è sempre mezza nuda a leccare le cose? Thirst è, molto coerentemente, un film in cui si lecca un sacco. D’ora in poi la mia mente andrà sempre a Thirst ogniqualvolta qualcuno mi dirà “pensa a un film in cui si lecca”. Thirst = leccare. Chiaro che non può essere brutto un film così.

Sympathy for Mr. Benda
E chiara soprattutto un’altra cosa: che Thirst è un horror di vampiri tanto quanto Quarto Potere è un thriller di slitte. Non è che Park prenda le convenzioni del genere vampiresco e le distrugga: le convenzioni del genere vampiresco Park le ha al massimo viste passare dal treno per un mezzo secondo qualche anno fa. Questo è un film che fa IL CAZZO CHE VUOLE. È forse l’opera di Park più desiderata, certo quella che ha avuto la gestazione più lunga, di sicuro la più difettosa, e si sa che le opere personali e difettose di grandissimi autori, alla lunga, hanno ragione loro. Questo film nasce per essere un gioiello incompreso, grezzo, difettoso, un grumo cristallino che a distanza di giorni è ancora lì, in profondità, e germina. Un vampirone col pisello di fuori è per sempre.
E c’è anche una gag con le scoregge.
DVD quote suggerita:
“Un corso accelerato di LINGUA coreana. Ah ah! L’avete capita? Se non l’avete capita, c’è anche una gag con le scoregge”.
Luotto Preminger, i400calci.com
Ti amo Luotto.
Luotto forever.
la citazione di donato mitola è geniale.
Luotto uno di noi.
Forse il personaggio del prete non “rimane” perché è un anonimo muso giallo. So tutti uguali questi! Vedrai che quando faranno il remake USA con Di Caprio ti starà più sympathy. Ovviamente sto scherzando. Bella rece cmq.
Ahem, dove stanno i giappi in questo film parecchio koreano?
A.
Arisio, “Tutti matti questi giappi” è la classica frase stereotipata che esce dalla bocca dello spettatore inesperto che fa di tutto il cinema orientale un fascio.
E Thirst è un film che di questo tipo di frasi ne farà pronunciare molte, vedrai.
@Luotto: gomen nasai, dude…sara’ che mia moglie, giapponesissima, si becca sempre della cin-ciun-cia cinesina…..e si inkazza come una pantera….la frase stereotipata la vedo meglio con cinesi e/o gialli al posto di giappi, ma sto facendo la punta ai kazzi…… in ogni caso sara’ la sinfonia degli stereotipi, concordo.
Stavo per scrivere una cosa ma poi mi sono reso conto che non stava al gioco di ruolo a cui stai giocando. Però dico bello, meno bello, ma bello.
Improvvisamente mi è venuta sete di leccare.
Benvenuto Luotto!
Ottima rece, aspetto la gag con le scoregge
MAESTRO.
io non ci credo che esistano diverse razze di giappi.
@Wim: No,no, ce ne sono due: i gialli e Chow Yun Fat. (scherzo, eh..)
supermega rece QUOTE!!!!