Prefazione di Nanni Cobretti
Sta per finire il decennio! Lo sapevate? Davvero lo sapevate già? E chi ve l’ha detto?? Siete troppo informati, dev’essere merito dell’internet.
Bando alle ciance: a noi di fare le classifiche non ci va. O magari ci va anche, perché no. Diciamo solo che non vogliamo sentirci obbligati. Cazzo volete. E allora abbiamo deciso che 1) sì, celebreremo la fine del decennio ma 2) lo faremo ognuno di noi della magnifica enorme professionalissima redazione singolarmente come meglio crede, classifiche o discorsi che siano, in cui affronteremo taluni aspetti di questi “cazzo di anni Zero” (come in quella famosa canzone di Vasco Bronson, meglio noto come “Il giustiziere della centrale elettrica”) che secondo noi hanno senso.
Via col pezzo di oggi:
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I vecchi nati negli anni Settanta/Ottanta sono cresciuti sapendo che esistevano cose chiamate “sequel”, che queste cose si agganciavano ad altre cose venute prima, e che raccontavano cose successe dopo quelle altre cose. E la vita continuava. Eravamo felici e senza pretese, come nani di gesso nel giardino dell’Eden.
Gli anni Zero invece hanno cercato mille nuovi modi per venderci i capitoli 2. Questi mi sembrano i più rilevanti, nel bene e nel male.
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Riportando tutto a casa.
Non è stato il primo, ma il suo successo ha spianato la strada al filone (e ha aperto discussioni sulla moralità di inquadrare stretto il culo di Jessica Biel prima di un omicidio): Non aprite quella porta 2.0 ha cacciato nel nostro vocabolario la parola reboot. Cioè il rifacimento di un classico o semi-classico, che mette nuovi personaggi in uno scenario familiare, con la pretesa di ripartire da zero e poi generare capitoli collegati solo a se stesso. Quando va bene fa conoscere cose belle e importanti a una nuova generazione di pubblico. Quando va così così è un modo temporaneamente più simpatico di dire remake. Quando va malino i giovani non imparano un cazzo e i vecchi escono dal cinema sapendo che per Alexandre Aja Le colline hanno gli occhi è “una storia di coraggio e sopravvivenza”. Quando va male arriva Michael Bay. Grazie a Dio almeno su Il buio si avvicina dovrebbe aver mollato l’osso. Perché “assomiglia troppo a Twilight”, però.
So long fried rice, hallo fried chicken.
The Ring ha funzionato per l’effetto novità, per come sabotava certe aspettative in tema fantasmi e perché saccheggiava le cose migliori di trenta altri film che non si chiamavano “Ringu”. Perciò qualunque roba fosse mai stata proiettata in un angolo della Micronesia è stata adattata per il mercato americano – ma solo parzialmente adattata, sperando di trattenere un po’ dell’originale. Risultato: migliaia di giappi obbligati a farsi la cresta o i colpi di sole per non essere confusi tra loro e sceneggiatori che facevano i salti mortali per spiegare gli anda e rianda di trame concepite al di fuori della “nostra” logica (e con porte aperte in faccia alla sospensione dell’incredulità tipo Sarah Michelle Gellar assistente sociale a Tokyo). Poi la gente ha deciso che di donne con i capelli davanti alla faccia e bambini-gatto se n’era visti abbastanza e i produttori hanno iniziato a puntare sull’Europa del Nord (buona fortuna). Se Scorsese si è fatto mangiare in testa da Andrew Lau comunque c’è stato qualcosa di profondamente impari nella procedura.
Malcolm X 2: la commercializzazione.
Cedere al tuo produttore i diritti dello sfruttamento su titolo e personaggi può sembrare una clausola accettabile, se di mestiere fai film per quella che Nanni Cobretti chiama “gente con gli occhiali”, e allora pensi “ma sì, guardiamo avanti, tanto questa storia è auto-conclusiva”. Sbagliato. Se il tuo film ha incassato mezza lira, qualcuno cercherà di cavarne fuori un altro quarto di lira: se il protagonista è MORTO SCHIANTATO, si va giù di prequel o di spin-off. Ma c’è sempre bisogno di imbastire qualche legame con l’originale. Legami che forse ci sarebbero sembrati accettabili per uno spaccatutto con tette e mannaie, e dimostrano la loro fragilità e inseriti in un contesto wannabe intellettuale e “diverso”. S. Darko è il caso più macro, ma non il solo. Al cinema non esistono cose tipo un unico fiocco di neve. (E ringraziate che nessuno ha ancora girato Fight Club 2: I Am Jack’s Unquenchable Need To Make Sense.)
Con una mano sul volante e l’altra su Wikipedia.
Non sono mai riuscita ad appassionarmi alle pseudo-scopiazzate della Asylum, ma in fondo di situazioni simili la serie C ne ha sempre viste. Gli stunt-movies invece sono figli di questo decennio: film che in senso stretto non rifanno nient’altro, però esistono solo per ricostruire con affetto (e nei dettagli) un’atmosfera o un sapore del passato. E là dove gli anni ’90 sceglievano la parodia, gli anni Zero ci hanno portato operazioni serissime come The House Of The Devil. Una tendenza che non si è fermata anche quando l’esplosione del DVD ha reso accessibili gli articoli originali: il gioco si autoalimenta, in un’unica lunga partita a com’era-com’è. Punti extra vanno ai film mal rieditati per litigi su chi ha i diritti o difficoltà con le royalties della colonna sonora, e quindi destinati a una notorietà smisurata proprio perché vivono quasi soltanto nella tradizione orale. (Voi l’avete mai visto La notte della cometa? Però sapete cos’è, vero? E se domani qualcuno dicesse “per il mio film mi sono ispirato molto a La notte della cometa”, non correreste a vederlo?)
Il rifacimento d’autore che interessa solo all’autore.
Se qualcuno dice che Psycho di Gus Van Sant fa cagare è segno che non ha mai visto The Wicker Man. Giustamente incluso in ogni lista del tipo “ZOMG worst movie ever”, il film che ha ucciso cinque carriere con un calcio volante è forse più noto come generatore involontario di meme (“Not the bees!”, “HOW DID IT GET BURNT HOW’D IT BURN HOW’D IT BUUUURN”, però anche la bambina falciata dal camion a ripetizione meritava) rispetto ai risultati che ha ottenuto. Ma qualcosina l’ha portato a casa: ad esempio, ha dimostrato che “potere del marchio” e “approccio revisionista al soggetto” raramente vanno d’accordo. In tutti i modi, l’abitudine di affidare vecchi materiali presunto-bassi a nuovi registi presunto-alti credendo di dare loro una patina più rispettabile ormai è qui per restare. (Una dritta per il futuro: restare insoddisfatti dalla recitazione di Nicolas Cage è come accogliere nel proprio tinello un negro con in mano una lancia e il piede su una tigre e poi lamentarsi perché ha fatto cadere il portacenere di Murano.)
E’ tutto finito, anzi no, anzi manco per il cazzo.
Prima di Saw credevamo di sapere fino a che punto si potesse allungare un brodo. Bene. Con una struttura di base che ha già dato parecchie piste a General Hospital e la possibilità di riaprire i fili in ogni luogo e momento, perché vi ricordate il poliziotto che si vedeva al minuto 31 del terzo capitolo, ecco, bambini, saltiamo avanti di cinque anni, dovete sapere che in realtà lui, la saga si è meritata la fama di coniglietto Duracell del genere. Ha anche ottime possibilità di sopravvivere a tutti noi, ma è un altro discorso.
L’ho fatto per il LOAL.
Werner Herzog presenta: Il Cattivo Tenente 2.
E non ho altro da dire su questa faccenda.
Se lo costruisci, il fan arriverà.
Il mese scorso nelle sale americane è uscito The Boondock Saints 2: All Saints Day. Il primo capitolo aveva trovato una nuova vita online, generando, tra le altre cose, un feroce documentario/dietro le quinte (che in proporzione ha incassato più del film), una linea di gadget (partita dal sito ufficiale e arrivata nei centri commerciali) e un lavoro part-time come conferenzieri per regista e attori. Dove sta la differenza rispetto agli altri “casi” baciati dal DVD? Nel fatto che per anni, con la tenacia del nobile panarone, la causa del sequel è stata portata avanti esclusivamente dal regista, dimostrandosi la più vera e toccante saga degli anni Zero. E a nessuno interessa davvero se il punto di partenza non era niente di che. La macchina non si può fermare, e il suo nome è vorrei vedere il dopo anche se non conosco il prima. Il prossimo passo – e credo che ci arriveremo negli anni Dieci, sul serio – è il sequel on demand.
E ora, tanti auguri da Sean Patrick Flanery:
httpvh://www.youtube.com/watch?v=ccRLSuZV40o
(Grazie a Violetta e Nicolino, che hanno stanato parecchi dei miei refusi)
ehy… vi rovino ogni piano, il decenio finisce il 31-12-2010 :D
qui a donostia il nuovo decennio arriverà più tardi che da voi…
@Nicola: perchè fammi capire gli anni ottanta sono finiti il 31/12/1990?
se conti gli anni dal 2000 al 2009 fai dieci, quindi fa un decennio.
Ma forse stavi scherzando, e io ho bisogno di una vacanza…
Nicola avrebbe ragione ma a noi popolani piace che la decade finisca con il …9
Ehi, a me e’ arrivata una lettera in carta bollata dal Comune con scritto “Si avvisa la Gentile Redazione della Testata Giornalistica in oggetto che il 31/12/2009 e’ prevista scadenza del decennio. Si prega di compilare relative classifiche di merito entro la suddetta data e registrarle (via posta, posta elettronica, fax o telefono) all’Uffico Top Ten – secondo piano, corridoio B. Presentare valido documento identificativo (no patente).” Io mi fido, piuttosto spero che valga anche la mia soluzione alternativa…
@Ratto negletto: No il problema è che il nuovo millenio in teoria sarebbe iniziato il 2001, quindi dovrebbe chiudersi il primo decennio nel 2010. (chiedi a google lui sa perchè :D)
Poi c’è la solita storia per cui le decine iniziano da 1 e non da 0! Ma io in matematica ho sempre avuto il debito :\
Tecnicamente ha ragione Nicola, praticamente gli anni zero finiscono quando la data la scrivi 01/01/’10.
E comunque ormai non ho voglia di aspettare un altro anno per questi articoli =D
A livello “entertainment” cmq questo primo giro di 2000 non mi ha convinto granché. Insomma, ti saprei incorniciare perfettamente gli anni ’70 ’80 ’90
e le loro differenze musicali, filmiche o videoduliche ma faccio molta fatica ad elencare i tratti distintivi di questo 2000-2010.
Ok, sto commentando un blog dall’iPhone… ma ci avevano promesso automobili anti-gravitazionali…
Che voto vogliamo dare a sto primo millennio insomma?
Gli anni zero, in una sola parola:
CRANK.
@CRANK
Ong-Bak
Il primo Saw non era affatto malaccio
rimescolava i soliti ingredienti ma tirare fuori una nuova variazione sul solito tema della vendetta: jigsaw è un ottimo personaggio
poi la serie è andata in vacca, ma il primo film funziona eccome, ed è un’ opera originale.
Non butterei via tutto l’horror del decennio (i primi due di rob Zombie ricordiamoci)
Sarà che come genere è troppo codificato, non è più possibile inventare niente, nè tantomeno raccontare qualcosa, è come se fosse solo un gioco da cinefili
@gigi
Ricordiamo anche l’invasione dei real-tv movie ripresi in soggettiva con una webcam e spacciati come riprese amatoriali. Partiti dalla strega di Blair, un anno prima del 2000, ora hanno (quasi) rotto le balle.
P.S.
Personalmente trovo troppo FACILE anche sfornare OGGI i b-movie blaxploitation trash pulp dal look rovinato. Negli anni 70 erano così per forza di cose, rifatti oggi con la scusa dell’omaggio mi puzzano comunque di finto. Dite ben vengano Machete, Black Dynamite e altre mille Tarantinate? Ok…
Gigi + Cleaned : il real-tv movie è stato tenuto fuori da questo gioco, anche se ci poteva rientrare, proprio perché non è una “novità” legata ai franchise (Strega di Blair 2 permettendo). Ho fatto lo stesso con la buffa pratica dell’auto-remake (i Pang che rifanno Bangkok Dangerous, Haneke e Funny Games USA…), uno perché non ho mai visto “Funny Games USA”, due perché ho scoperto che di auto-remake i registi ne hanno sempre girati, un po’ alla chetichella:
http://en.wikipedia.org/wiki/Three_Coins_in_the_Fountain_%281954_film%29
Ehi, aspetta un attimo, Boondock Saints è una figata!
Niente di che un par de palle…
Non temere, l’ovvio post su BDS II terrà conto dei suoi piccoli fanz.
grazie, adesso sono più tranquillo.
in nomine patris…
Ho navigato più di tre ore su internet, ma non avevo ancora trovato un articolo così interessante.
Se tutti i blog avessero articoli fatti così bene, il web sarebbe
decisamente più interessante da leggere. Un caro saluto.