Ed eccoci con la parte 2 del “Togliamoci dalle balle le recensioni del FrightFest Report Show”! Che è anche l’ultima parte.
Pronti via!
Ed ecco un’altra vittima del morbo di Lasciami entrare. Muore un vecchio in un centro commerciale, e salta fuori che la sua famiglia dipendeva da lui non solo per sostegno economico, ma anche per procacciare materia prima per la loro speciale dieta cannibale. La moglie e i tre figli rimangono pertanto in confusione sul da farsi, tra incapacità cronica, grossi problemi caratteriali, conflitti interiori da Rete4, e un’attitudine generale che li rende simpatici quanto il ricevere un calcio sugli stinchi a intervalli regolari. Il problema di questa messicanata povera è che probabilmente ha pensato che ambientare tutto tra messicani poveri fosse sufficiente a rendere la vicenda interessante e attirare gli amanti dell’equo-solidale, per cui accenna a tutta una serie di metaforoni che poi abbandona o tronca con un’accetta quando suona l’allarme che segna l’ora del pezzo di violenza finale che ne giustifichi l’inclusione in un festival horror. Gran fumo negli occhi.
Classica storia di magione di campagna infestata da spiriti di streghe assassine che, grazie a Dio, invece che frantumarci i maroni costruendo attese e suspance di sticazzi, dedice di fare da subito un continuo bordello della madonna prendendo spunto da La Casa/Drag Me to Hell, una lezione che effettivamente pochi avevano replicato con dovuta passione. Il problema – il grosso problema – è che il budget è ridicolo e i CGI sono di un imbarazzante che ti viene da pensare che abbiano proiettato per errore una bozza ancora in attesa di post-produzione. Che se gli effetti necessari fossero due o tre li potresti anche perdonare, ma quando al contrario te li smitragliano in faccia a ripetizione a partire dal minuto 10 finiscono per rovinare anche le cose buone che il resto del film stava tentando di costruire. E la ballata goth-metal finale aiuta a metterci una pietra definitiva sopra senza grossi rimpianti. Peccato.
Film di zombi girato in Ghana e Burkina Faso. I fratelli Ford da piccoli sognavano di emulare Romero, e pertanto hanno scritto una sceneggiatura tradizionalissima, ma se non avessero avuto l’idea – o meglio, le palle – di girare in Burkina Faso, nessuno se li sarebbe filati. Storia inesistente, regia piatta, attori legnosi e dilettanteschi, guizzi zero, ma il Burkina Faso fa davvero brutto. I Ford schivano tutti i luoghi comuni da cartolina in un posto che già di suo non avrebbe offerto più di tanto, e questo aspetto da solo – unito ai brutti ceffi del luogo – impermea il film di un’atmosfera disagiata che raramente si era vista. Non è sufficiente a salvare il film, ma vale la pena per l’effetto novità. Domanda: “Siete soddisfatti del risultato?” Jon Ford: “Dobbiamo ancora riprenderci dalla gioia di esserne usciti vivi”.
Koreanata piuttosto stramba. La premessa è di una giovane e antipaticissima donna in carriera di Seul che, sopraffatta dallo stress, si piglia una vacanza e accontenta una pressante amica d’infanzia andandola a trovare nella sperduta isoletta di 9 (nove) abitanti in cui è sempre rimasta. Qui scopre che la trattano malissimo, ma fondamentalmente se ne fotte. E dopo quasi due ore di nulla popolate da personaggi monodimensionali, finalmente scatta la violenza, con l’amica che strippa e ammazza tutti in un ennesimo caso di “troppo poco troppo tardi”. L’unica maldestra suspance del film riguarda quindi il destino della protagonista, visto che lo sceneggiatore con la scusa della pennica pomeridiana la lascia fuori metà film, evitando con questo geniale stratagemma di approfondire l’unico personaggio potenzialmente complesso.
BONUS: The Diary of Anne Frankenstein
Trattasi di un corto di 20 minuti che Adam Green ha voluto a tutti i costi farci vedere come anteprima di un imminente progetto antologico chiamato Chillerama, che vedrà all’opera anche Joe Lynch (Wrong Turn 2), Adam Rifkin (Detroit Rock City) e Tim Sullivan (2001 Maniacs). Storiellina demenziale a metà tra Mel Brooks e il meme di Youtube su La caduta, in cui Hitler (Joel David Moore) frega i veri diari della minorenne morta più famosa del mondo, e ci trova la formula per resuscitare un molestissimo Kane Hodder in versione mostrebraica. A sprazzi si ride forte, ma l’autoindulgenza è forte in quest’uomo.
FINE!
Cioè, ma davvero il tizio si chiama Jon Ford? Come John Ford senza l’h?
Un po’ se io mi mettessi a fare l’attore di film d’azione e mi chiamassi Jaso Statham…
Cordialità
Attila
Si chiama Jonathan, “Jon” per gli amici e per chi ha voglia di scrivere meno ;)
passavo solo per dire che con tutti i limiti che si porta dietro bedevilled è la versione decente di dogville (il film più sopravvalutato che mi sia mai capitato di vedere)
Una nuova recensione di Luotto, una nuova vittoria di tutto l’internet. Uffa, questo signor Luotto comincia a stancarmi con queste vittorie a mani basse. Sembra di vedere il Barcellona
Nevermind, ho sbagliato tab come un babbo :(