Sangue sugli occhiali: Cut di Amir Naderi
Il giovane cineasta/cinefilo Shuji è un moderno samurai che rischia la vita per il cinema. Prende i miti del vecchio cinema d’autore troppo alla lettera, vive nella realtà ciò che normalmente succede solo sullo schermo; urla per strada il suo messaggio “Basta col cinema di merda! Facciamo dei bei film!” come un profeta visionario, ma anziché farlo per il Cristo lo fa per il Cinema. In entrambi i casi la parola chiave è “passione”. I problemi iniziano quando la Yakuza gli fa sapere che suo fratello aveva chiesto un prestito enorme affinché Shuji riuscisse a girare un film; il debito non è stato ripagato; il fratello è stato ammazzato; ora il debito ricade su Shuji. Il quale, essendo un personaggio di spessore e follia herzoghiane, decide di ripagarlo facendosi prendere a pugni in un cesso pubblico: il pubblico paga una quota per pugno e Shuji incassa (in due sensi), insomma viene pagato a cartella come i giornalisti (ecco, qui intravedo un buon metaforone ma lascio stare).
La gente comune appena sente profumo di sangue si trasforma in bestia, prende Shuji come valvola di sfogo per sadismi repressi, lo pesta senza pietà mentre lui resiste urlando i titoli dei suoi film preferiti; la sera, Shuji rincasa coperto di lividi e lascia che l’amato proiettore lo lenisca con un’ondata di immagini di vecchi film proiettate sul corpo martoriato: sono scene bellissime, soprattutto quella di una mano che scrive ideogrammi in rosso su una carta candida, e da lì sulla pancia del protagonista.
I pugni non sono sempre del tutto realistici e soprattutto i lividi e gli effetti sono un po’ estetizzati, però la sequenza finale dei “100 pugni x 100 film” è intensissima e la temerarietà assurda della storia prende il sopravvento. Già, perchè Shuji fa tutto ciò non tanto per salvarsi la vita, ma per essere poi in grado di chiedere un altro prestito gigantesco e girare il suo agognato capolavoro. Non è chiaro se questa sia la sua idea fin dall’inizio o se gli venga durante la gragnuola di pugni che si becca – forse i pugni lo facciano andare via di testa del tutto e che non si renda conto di quel che sta chiedendo, oppure se ne rende conto benissimo e sa che per il suo prossimo film dovrà morire. Non a caso un suo amico, a inizio film, lo paragona a Yukio Mishima. La giovane e delicata Yoko, che gestisce i “clienti”, se ne innamora sottovoce; tutti lo stimano, persino il capo yakuza che è preso decisamente in contropiede. E noi, pubblico affamato di arte e di sangue, come possiamo essere da meno?
Coerentemente, il film si chiude sull’urlo “Action!”, inteso sia come ordine (diegetico) sul set di Shuji, sia come parola d’ordine (extradiegetica) per la rinascita del Cinema, sia come generale esortazione al rischio, alla lotta, all’idealismo. Shuji (Hidetoshi Nishijima, la star di Dolls) è una figura grandissima nella sua caparbietà e follia, personaggio anelante al superomismo, la cui dimensione mitica, epica, è distillata in un concentrato di follia, passione e sangue. Alla fine della caterva definitiva di pugni appare l’ideogramma che significa “niente”, già visto sulla tomba di Yasujiro Ozu dove Shuji si reca in pellegrinaggio: è l’annientamento del senso dell’individuo proprio nel momento in cui vince la lotta sovrumana.
Il regista di Cut è il cinefilissimo iraniano Amir Naderi, autore di vari film di culto sia in patria sia in America, nessuno dei quali è fatto per questo sito; ovviamente se avete voglia di approfondire, meglio per voi! Prima e dopo la proiezione ufficiale, Naderi in sala corre aizzando la folla, blatera felice, manda affanculo un sacco di gente (si capisce solo la sillaba “fuck”), si comporta esattamente come il suo protagonista ma col triplo degli anni. Un eroe. Il titolo Cut, dice Naderi, si riferisce non solo all’arte del montaggio e ai tagli che Shuji si fa in faccia, ma anche al bisogno di “cut the crap” dal cinema odierno – e in effetti questo film, benché lungo, è paradossalmente essenziale e secco. Una visione salubre.
DVD-quote: “I 400 Pugni, anzi molti di più!”
Sangue dal passato: Tormented – The Rabbit Horror 3D di Takashi Shimizu
Qui devo ammettere che sono di parte. Come spesso capita a vari recensori dei 400 Calci, vedi l’ultima lacrima versata da Luotto sulla sua giovinezza perduta, stavolta anche io sono stata colpita al cuore da un déja-vu dell’infanzia; la giovane protagonista Kiriko ha perso la voce dopo un ignoto trauma infantile. Per consolarla, il padre illustratore depressissimo fabbrica per lei un meraviglioso libro pop-up sul mito della Sirenetta. Ma io ne avevo uno molto simile! E guarda un po’ tutti quegli ammenicoli da femminuccia sugli scaffali della cameretta – li avevo anche io! Giusto per dire che a me di Skeletor ‘mportava ‘na sega, ma se mi davano in mano un bottone decorato con le pailettes iridescenti mi veniva il batticuore e inventavo storie lisergiche a base di avventure, animali magici, sacrifici umani, spade che trapassavano giovani eroine, teste che scoppiavano. Tutto questo c’è in Tormented, ergo non può non piacermi.
Sicché abbiamo Kiriko che vive col padre triste e col fratellino Daigo, che a occhio e croce sembra starci dentro. E invece un giorno Daigo uccide un coniglio ferito, e da allora è ossessionato da un gigantesco coniglio di peluche che lo trasporta in un mondo magico, che da incantevole si rivela sanguinario. L’ennesima variazione sul tema di Harvey? Più o meno. Non spoilero nulla, immaginatevi una sequela di colpi di scena, conigliazzi a go go, piani temporali incrociati (no, non è Donnie Darko!) una scala a chiocciola di Hitchcockiana memoria, una bella chiazza di sangue, e tanto metacinema. State qui che adesso vi spiego.
È arrivato il tempo della maturità per Takashi Shimizu, tempo di riflettere, fare un bilancio del proprio progresso e anche un po’ di autocritica. Non a caso in Tormented appaiono sia la figura chiave della sua carriera, ovvero la ragazza col viso nascosto dai lunghissimi capelli neri che ha rotto le pal fatto scuola da Ju-on in poi, sia il set di The Shock Labyrinth (il suo precedente, e deludente, film in 3D) che rimane bello inquietante. Addirittura i due protagonisti vanno al cinema proprio a vedere The Shock Labyrinth, dove guarda caso compare un coniglietto bianco di peluche che piglia il piccolo Daigo e lo risucchia nello schermo.
Insomma, è vero auto-meta-cinema, ma più coerente e meno presuntuoso del solito, che dimostra la volontà di Shimizu di continuare a migliorare piuttosto che riposare sugli allori del successo.
Se The Shock Labyrinth risultava fallimentare nel tentare un linguaggio (quello del 3D) con cui il regista non aveva ancora dimestichezza, questa sua nuova opera lo perfeziona e risulta molto efficace nell’imbastire una storia complessa, angosciante, ma se vogliamo anche tenera. E soprattutto senza grossi buchi di sceneggiatura, considerato il fatto che la storia è in realtà un gioco di scatole cinesi fra realtà e fantasia.
DVD-quote: “I Conigli Rosa Uccidono – sì, ma anche quelli bianchi”
Ammazza che tette Cicciolina!
hai spoilerato tutto cut, ti pare normalo?
@vaaal: guarda, se il film fosse la trama durerebbe 5 minuti. invece dura due ore e mezza (questo non l’avevo spoilerato se no abbandonavate tutti la rece). believe me, vai a vederlo. vedrai che con tutte le botte che ci sono ti dimentichi che ci sia un prima, un dopo, un perché.
“spade che trapassavano giovani eroine”
metaforone is in the air
A me Cut sembra il Film Definitivo sul Cinema. O come minimo il mio tipo di metaforone preferito.
Interlocutore ipotetico: “Parla di uno che deve prendersi un sacco di pizze in faccia come simbolo di…”
Nanni: “A posto cosi’, venduto.”
[corre a rivedersi quel vecchio episodio di Adrenaline sulla scultura vivente]
Siii! durante la proiezione di Cut speravo che qualcuno di voi fosse in sala!
Ottimo Cicciolina, e splendida rece.
E oltre alla mitica sequenza finale dei 100 pugni x 100 film aggiungo una scena che mi ha fatto cappottare: Shuji che per reggersi in piedi, volto tumefatto ma addominali mai così tirati, dopo l’ennesima cartola grida: “Aaah, questo film fa schifo!”
@toby: guarda, per tutto il festival io e i miei amichetti quando vedevamo un brutto film uscivamo pestando i piedi e urlando “Film di merdaaaaa! Picchiatemiiii!” che momenti meravigliosi…
@l’anonimabraxas: assolutamente sì. se ripenso alle mie fantasie infantili e a certi racconti fantasy che scrivevo, mi verrebbe voglia di darli in pasto a Simon Thaur.
@Sapo: non hai torto nemmeno tu. Io ci convivo dalla pubertà e non ci faccio più caso, gli altri sì.
Ovviamente è un complimento, ci vuole un mondo pieno di Ciccioline, Ciccioline e ortopedici! (con tutto quel peso sulla schiena…)
@Sapo: anche di fazza non è messa niente male
ma guarda un pò, una delle rare volte che parlate di film orientali e non mi trovo d’accordo con nessuna delle due rece, piuttosto i due film giappi che cicciolina ha lasciato fuori (himizu e kotoko) erano molto più interessanti.
Cut ha l’idea di base interessante e l’analisi che hai fatto ci sta, ma in fondo sono 2 ore e un quarto su un tipo che prende pugni, voglio dire, il film gira intorno ad un unico concetto (sincero ma anche piuttosto ingenuo) e la ripetitività delle immagini è al limite del sopportabile, alla fine almeno si salva con la trovata dei 100 film.
Tormented invece mi ha fatto abbastanza cagare. I temi e lo stile sono molto simili al precedente the shock labyrinth e ormai shimizu ha rotto le pelotas con i suoi “psyco-horror”. l’unica cosa che gli riconosco è la volontà di sperimentare e cercare di sfruttare il 3D come pochi stanno facendo al mondo e la scena del 6D da te citata rimane nella – breve – storia di questo formato
@EDA: grandissimo! Ti è piaciuto Himizu! Se scorri indietro queste pagine, vedrai che io stessa sono una fan assurda di Sono Sion. Il problema è che Himizu, a parte la testa spaccata col ciocco di cemento, non è un film adatto a questo sito – e mi dispiace davvero, ma dovendo fare una cernita dei film che ho visto, gli altri mi sembravano più attinenti alla nostra politica. Kotoko invece, ahimé, l’ho perso :-(((((((((((((((((( ma appena lo becco ne scrivo di sicuro. Del fatto che non ti sia piaciuto Naderi non discuto, è in effetti un film che ha diviso molto i pareri, ma va bene così. Ciao!
Sono Sion sarà ospite al Torino Film Festival di quest’anno nella sezione “Rapporto Confidenziale”, la stessa inaugurata da Nicolas Winding Refn nel 2009.
Se volete conoscerlo di persona, è una buona occasione.
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