Solitamente funziona che il capo ci lancia bigliettini con i titoli dei film da sotto la porta e noi eseguiamo gli ordini senza battere ciglio. In faccia non lo vediamo mai, perché lui è il capo e in faccia non vuole essere guardato e dice che i nostri occhi gli sciupano la pelle. Gli dò ragione, ogni volta che mi guardo allo specchio ho la stessa impressione, anche se nel mio caso dev’essere colpa dei 10 giorni di prigionia in ufficio più che del mio sguardo riflesso. Comunque un giorno me ne sono trovato uno lunghissimo con scritto una roba tipo “Senti, Rec e Quarantena mi sono piaciuti perché il primo è bello e il secondo è uguale identico solo che parlano in una lingua che si capisce, ma guardare Rec 2 è stato come fare snu snu con pinzatrice. Scrivimi un pezzo su Quarantine 2 e fa’ paragoni a raffica dove Rec 2 perde miseramente e fa snu snu con pinzatrice, ché quel che è di Cesare va dato a me” e io gli ho tipo risposto su pergamena che “no, guarda, a me Quarantine m’è piaciuto per un cazzo proprio perché identico allo spagnolo e se mi devo far piacere un clone tanto vale apprezzare Rec 2 che almeno manda avanti un concetto senza ricominciare tutto da capo. Quarantine 2 te lo faccio lo stesso che nonostante tutto ne parlano bene, ma non ti aspettare che ceda allo snu snu con pinzatrice”. Detto questo ho rischiato il licenziamento e la frusta visto che noi schia redattori non possiamo rispondere al capo se non in termini di genuflessa adorazione, ma come sapete io, Jean-Claude Amerigo Van Gogh, sono hardcore, ascolto i Black Flag e ho tatuato R.A.S.H. su tutte le dita, combatto il potere e non mi sottometto, faccio casino con il sindacato nani e cose così, quindi sono riuscito a rimanere in redazione, fiero e invincibile. Ora, se il capo ha finito le paia di scarpe da lucidare, vorrei cominciare la recensione vera e propria. Più o meno.
Allora, Quarantine 2: Terminal è il sequel di un remake e se devo scegliere tra questo e un remake scelgo questo perché è più facile si allontani dal progetto originale e prenda una strada quasi tutta sua. Va detto che i remake come Quarantine o Let Me In non li sopporto, li trovo inutili e privi di significato. Magari sono pure belli e ben girati ma per me restano dei plagi camuffati, ben vengano quindi operazioni di riconquista dell’originalità guidate da chissà qual barlume di speranza. Qui il cambiamento più importante è l’abbandono del finto amatoriale in favore di una regia regolare, una specie di schiaffo al brand su cui la serie originale ha costruito la sua fama e una netta presa di posizione sul dove voler andare. Alla cabina di pilotaggio ci sta John Pogue, uno che ha scritto cose come The Skulls e Ghost Ship (va da sé), mentre i passeggeri sono una banda di anonimi sconosciuti che forse manco sono attori ma veri passeggeri portati lì con l’inganno. Tipo Cavie di Palahniuk ma senza tante pretese.
La trama in breve è che un branco di persone stereotipate prendono un aereo di qualche scrausa linea commerciale e tutto va liscio finché il panza qua sopra non viene morso da un criceto (ma era un criceto? Dan dan daaaan; Ahem), sclera e cerca di mangiare tutti, si atterra d’emergenza e l’hangar in cui si sono infilati viene messo sotto quarantena. Chi si salverà? Tutti? Le hostess? I piloti? Il ragazzino sbruffone? La vecchia gattara? Il nero che morirebbe piuttosto che il computer sull’aereo? Il maestro bello e bravo? La coppia di turisti europei che non fa altro che limonare duro? Il maschio che si crede un sacco alfa? Oppure il vecchio paralizzato accompagnato dalla dottoressa? Chi lo sa (io), ma state certi che dopo cinque minuti spererete che tutti muoiano in preda alle peggiori torture, perché sono i classici passeggeri fastidiosi di uno scomodo volo economico, quelli che vi ritroverete vicino qualunque sia la vostra destinazione, igiene, altezza, sesso, colore. Alla fine si finisce per simpatizzare per chiunque abbia portato quei criceti rabbiosi sull’aereo, perché non è quello che farebbero tutti? Un bel massacro sull’aereo e si vola in pace senza essersi sporcati le mani. Semplice, efficace, divertente da guardare. Fossi in voi metterei su un business.
Tornando al film, l’azione si divide in due parti: 25 minuti sull’aereo, la restante ora nell’hangar e la prima è meglio della seconda. Per i primi 12 minuti non succede niente di importante, solo gente che starnutisce, di continuo, con un sacco di inquadrature su nasi e fazzoletti così da confonderci le idee su chi possa essere il primo a uscir di testa come se non sapessimo che ci vuole ben altro che un raffreddore. In questo frangente vengono presentati i personaggi e certe cosette fanno ridere per davvero anche se si fa presto a capire che la sceneggiatura sia circa un disastro e che non se ne ricaverà alcun dialogo decente. Ma in fin dei conti anche gli altri erano così e l’azione è quella che conta, infatti quando il panza sclera ed inizia a correre per l’areo tutto diventa bello e ben girato, con una discreta sensazione claustrofobica ad abbellire lo spargimento di sangue e liquidi orali. Non ho capito se certe scenette siano volutamente esilaranti o soltanto ridicole, perché ad esempio il vecchio paralizzato sbattuto di qua e di là con la dottoressa che cerca di tenerlo fermo o il panza infetto che praticamente si limona duro la mascherina della hostess mi hanno fatto ridere di gusto. Ora, se avessero girato tutto il film dentro l’aereo sarei stato felice, il potenziale per un film bello per davvero c’era tutto, però ovviamente il titolo è Quarantena e non si può mettere in quarantena in aereo in volo (o forse sì?), bisogna farlo atterrare e allora tanto vale spostare l’azione in un altro luogo senza rischiare di fare la muffa. Il risultato è una specie di gorgonzola.
Il problema è che una volta lì dentro la prevedibilità inizia a far da padrona e la vicenda evolve un po’ con il pilota automatico fino al gran spiegone sull’origine del virus. Non è una situazione trita e ritrita come potrebbe essere una capanna nel bosco piena di ventenni infoiati, ma è talmente limitata nei possibili sviluppi da non riuscire ad andare avanti senza trovarci lì ad aspettare sulla porta impazienti. Fortunatamente si riprende nel quarto d’ora finale dove un buon ritmo e una conclusione se non altro interessante ne alzano il livello da “forse è una sola” a “no dai non è una sola”. Per gli effetti speciali i soldi sono pochi ma almeno un paio di infetti sono proprio belli e ogni tanto ci vengono regalati dettagli gore e simili piuttosto inaspettati tipo il primo piano di una puntura sotto l’occhio da cui sembra uscire roba gialla che secondo me non è trucco ma tipo catarro, una di quelle cose che ha fatto Miike una volta e tutti hanno chiuso gli occhi (Kiri-Kiri-Kiri). Piccoli tocchi di classe che fanno capire come la buona volontà di fare un bel horror ci sia tutta ma che, tra mezzi e sceneggiatura, più di così proprio non si possa fare. Proprio per questo mi è piaciuto più del primo, per l’intenzione, come detto prima, di andare oltre il remake e prendere una strada completamente nuova, anche a costo di prendere della gran facciate sui muri. Preferisco questo ad una copia che di originale non ha proprio nulla.
DVD-quote:
“Tanta buona volontà, ratti incazzati e comicità involontaria.”
Jean-Claude Van Gogh, i400calci.com
Tanto vale vedersi direttamente questo anzichè il primo (che è uguale a rec), fra l’altro prende comunque una strada interessante.
Ma infatti il bello era quello. Hanno messo in produzione questo e Rec 2 contemporaneamente, con ognuno che non poteva sapere cosa avrebbe fatto l’altro, ed era interessante vedere cos’avrebbero combinato, la diversa mentalita’ tra Hollywood e Spagna, ecc… Aldila’ della differenza di ispirazione tra “ci sono: POSSESSIONI DEMONIACHE” e “ci sono: CRICETI AVARIATI”, mi stupisce che la versione USA abbia azzardato rinunciare ai filmati ritrovati nonostante la lezione di Blair Witch 2.
Adesso le recupero ma solo perché a Miami ho conosciuto il direttore della fotografia del film (Matthew Irving), che tra l’altro ha lavorato anche con Marione Van Peebles nei suoi nuovi abiti da regista nel film Things Fall Apart. Infatti raccontava di come in tre, lui, Marione e 50 Cent giravano a fare alcune riprese di contorno con la 5D come dei regaz qualunque.
A me rec era piaciuto, molto. Il secondo molto, meno. Quarantine ammetto di non averlo visto ma mi piace l’idea di questo secondo….
Ci sarebbero due filmucci molto carini: We need to talk about kevin, dove il bimbo è IL MALE, ma un male così cattivo che il bimbo di omen è uno della pubblicità pampers…
E poi In Time, dove il solo fatto che Olivia Wilde sia la mamma di Justin Timberlake lo rende appetibile