Un aspetto interessante del Giappone, anche se non ho ancora capito se mi affascina o mi disturba, è la facilità con cui qualunque prodotto diventa serializzabile. Noi chiaramente parliamo di cinema, ma si tratta di un fenomeno straordinariamente trasversale che tira in mezzo qualunque cosa dai cartoni ai videogiochi alle pubblicità dei cereali per la prima colazione. E non per fare il sociologo della domenica, visto anche che voi questo articolo lo leggerete di lunedì, ma è evidente che da un approccio di questo tipo deriva anche un modo di fruire completamente diverso dal nostro.
Se da noi, per esempio, generalizzando un bel po’ e comunque circoscrivendo agli ultimi anni, sembra che il sequel possa imboccare solo due strade — la prima quella delle megaproduzioni, delle saghe in non meno di 3 parti, pianificate con anni di anticipo, per cui gli attori firmano col sangue e gli studios non si alzano neanche dal letto se non sono sicuri di guadagnarci cento volte tanto quello che hanno speso; la seconda, all’estremo opposto, quella dei DTV fatti in fretta e furia, seguiti poverissimi che, citando un vecchio articolo del capo, assomigliano più che altro a dei plagi autorizzati, con attori meno belli o meno famosi e budget ridicolmente inferiori — 2 strade, dicevo, che nonostante le macroscopiche differenze portano entrambe regolarmente a un dibattito intitolato “a Hollywood pensano solo ai soldi e non hanno l’anima”, in Giappone, posto magico e misterioso in cui tutti conoscono le arti marziali e posseggono cuscini a forma di personaggio femminile di un cartone animato, un autore tra i più famosi, particolari e spendibili a livello internazionale come Takashi Miike può fare un film su commissione e il suo sequel, a 2 anni di distanza, come se fosse la cosa più naturale del mondo, senza che nessuno gli si attacchi alla giugulare accusandolo di essere un mercenario (“mercenario” nella concezione inspiegabilmente non-positiva di chi non aspetta The Expendables II come la terza venuta di Cristo).
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titolo di lavorazione: Che cazzo ti guardi 2
Crows Zero 2 procede senza soluzione di continuità da dove Crows Zero si era interrotto, quasi i due capitoli fossero un film unico che era toccato dividere perché stava male farlo durare 4 ore e mezza, e non si prende il minimo disturbo a fare il riassuntone delle puntate precedenti (pratica noiosa ma in questi casi abbastanza fisiologica) o anche solo spiegare subplot aperti due anni prima e qui dati per assodati: te li ricordi, bene, non te li ricordi, bene uguale. (Perché, per esempio, sia così importante sconfiggere il gigante col cappuccio o perché tutti si preoccupino per la salute di Tokio, quello che nel finale combatte usando le protezioni da rugby, sono cose facilmente intuibili; giusto la storia dell’ex yakuza che vive in clandestinità è un attimino “…eh?” per chi non ha visto o non si ricorda per filo e per segno il primo film, ma si tratta di una storyline allungabrodo che si può ignorare con gioia adesso come allora.)
I personaggi sono ovviamente gli stessi così come gli attori che li interpretano, dal primo all’ultimo, tutti ancora abbastanza credibili nei loro ruoli di teppistelli liceali, merito del trucco, degli straordinari tagli di capelli da giovinastri senza valori e del fattore anti-invecchiamento di cui dispongono tutti i giapponesi. Giusto Serizawa — l’avversario finale del film scorso — mi è parso un po’ ingrassato ma EHI, dopo anni di dawson casting posso mandare giù ben di peggio.
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Foto di classe: chi non ne ha una così
Per quanto riguarda la “trama” (virgolette d’obbligo) si è andato a pescare l’unico aspetto del genere “liceali che si menano” era stato lasciato fuori nel primo Crows, la rivalità tra scuole: scopriamo infatti, durante un flashback che passa durante la sigla (sì, c’è ancora la sigla ed è sempre la stessa canzone, ulteriore implicita conferma che ci troviamo di fronte a una serie più che a un sequel), che da anni è in corso uno scazzo tra il liceo dei protagonisti e quello della strada di fronte, leggermente inasprito dal fatto che uno dei “nostri” ha ucciso a coltellate uno dei loro, infrangendo il sacro codice d’onore dei liceali che si menano per cui va bene tutto, ma se porti un coltello a una rissa sei proprio uno stronzo. Il resto si scrive da solo: per quanto la guerra per determinare il nuovo “re” dell’istituto non si sia ancora conclusa, le varie fazioni dovranno mettere da parte le rivalità e unire il propri tagli di capelli per affrontare il nemico comune: i pelati.
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“Fottuti pelati del liceo avversario!”
Né migliore né peggiore del primo, Crows Zero 2 ha tutti i limiti che si potevano riscontrare nel capitolo precedente aggravati dal fatto che magari, in due anni, si poteva fare qualcosa anche per limarli; per dire:
- i dialoghi sono costituiti quasi unicamente di frasi fatte;
- i personaggi sono ancora definiti dalla loro pettinatura (gli sbalzi d’umore del protagonista, Genji, sono scanditi dal fatto che si lega e si scioglie i capelli);
- c’è ancora la tipa che non serve a niente e canta a metà film;
- la mano di Miike si sente ancora meno che nel film precedente;
- 2 ore e un quarto sono effettivamente troppe;
- Genji e Serizawa non si baciano neanche stavolta.
D’altra parte, l’intera saga è un giocattolone che non fa mistero della sua totale e compiaciuta cerelessness, confezionato su misura per i fan di un genere ben preciso, fan che su queste pagine non scarseggiano affatto e che non voglio frustrare con puttanate tecniche che magari mi tengo per quando Miike farà qualcosa di più personale. Due cose deve portare a casa, e le porta egregiamente: bislacchi e cretinissimi i nuovi personaggi introdotti, cioè i cattivi del liceo avversario (fresco di visione, sono ancora indeciso se il mio preferito è il capo così fissato coi “veri uomini” che a un certo punto sente il bisogno di specificare non è che io sia gay o qualcosa del genere, il pirla che se na va in giro con l’ombrellino ma in realtà è fortissimo o il cantante J-Pop finito sul set perché il suo agente ce lo ha messo senza chiederglielo e tira UN SOLO calcio in tutto il film), ottimi e ben coreografati i combattimenti, soprattutto quelli di massa, che sono un po’ il marchio di fabbrica del franchise, e in special modo lo scontro finale negli angusti corridoi di un liceo in rovina, con struttura “a videogioco” in cui i nostri devono scalare l’edificio per arrivare al boss che li aspetta sul tetto.
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“Minchia rigà, quante bbotte!”
Piaciuto il primo? Un giorno che avete voglia di rivederlo invece di rivederlo guardatevi questo, non ve ne pentirete e sentirete appena la differenza. Vi sentite audaci? Guardateli tutti e due uno di seguito all’altro. Di Miike vi è piaciuto di più 13 assassini? E riguardatevi 13 assassini, che cazzo volete da me.
DVD-quote suggerita:
“Serizawa è un po’ ingrassato ma per il resto tutto ok.”
Quantum Tarantino, i400calci.com
SIGLA:
httpv://www.youtube.com/watch?v=78Q7ZaX2Ja4
(a 0:29 Serizawa si mette in bocca un wuster, troppo facile)
Non ho ancora letto la recensione – procedo ora – però mi preme dire subito che il titolo è GENIALE.
visti uno dietro l’altro domenica….non ne sono uscito benissimo…voto 10 alla vecchia che vende i pantaloni alle 4 de notte….
Stasera uno e due senza passare dal via
ho trovato qualche serata libera e me li sono guardati entrambi
se non fosse tutto così serioso, a parte qualche sketch che fa ridere solo i jappi, e per la durata, davvero troppo lunghi, ne sarei uscito decisamente più contento, però mi accontento comunque, perchè le botte ed il finale del secondo salvano tutto!
ma quello coi capelli ricci, rossicci e con le borse agli occhi è un gaijin
è una novità?
awesome
farà lo sfigato