Col cazzo che nel 1993 ci si era dimenticati di Bruce Lee.
Le arti marziali erano diventate un fenomeno che sia lo sport che il cinema avevano continuato ad alimentare e sviluppare in più direzioni: negli USA era esploso Chuck Norris e la ninja-mania, seguita da Steven Seagal e Jean-Claude Van Damme; a Hong Kong i suoi vecchi record avevano retto fino all’arrivo di Jackie Chan.
È un buon momento per dare una rinfrescata e Rob Cohen, produttore di grande esperienza (Scuola di mostri, L’implacabile, Il serpente e l’arcobaleno, altre cosette), covava questo sogno da tempo e si era procurato i diritti della biografia scritta da Linda Lee, vedova di Bruce, e quella scritta da Robert Clouse, regista di I tre dell’Operazione Drago.
Dopo un’intro sintetica, Dragon si concentra sull’arrivo di Bruce negli USA, e racconta la sua ascesa da povero immigrato cinese a leggenda immortale, trovando la classica parabola del self-made man in una storia in cui l’America è puntualmente terra dei sogni e obiettivo ultimo ma, negli anni ’60, non ancora pronta allo specifico, ultra-ambizioso sogno di Lee che la lavora ai fianchi, la aggira, riprende la rincorsa da fuori e infine la conquista.
Trattasi della classica agiografia hollywoodiana che tende a piegare e amplificare ogni momento della vita del suo protagonista per farlo rientrare nello schema del grande racconto epico e succhiare ogni emozione possibile da ogni sequenza, con l’obiettivo di diventare il classico film da spararsi dopo un pranzone con tutta la famiglia.
I punti chiave ci sono, ma quasi nessuno è andato ovviamente nel modo in cui la sceneggiatura lo dipinge. In un contesto in cui qualsiasi cosa è un pretesto per infilare una rissa che faccia da punto e virgola tra un paragrafo e l’altro, è quindi buffo che la più apparentemente inverosimile sia l’unica realmente documentata: Bruce accettò davvero la sfida di un rappresentante della comunità cinese, Wong Jack Man, per il diritto di insegnare le arti marziali agli occidentali. Sull’esito dell’incontro le versioni si sprecano, e il film si diverte a mischiarle: Linda Lee racconta nel suo libro che Bruce massacrò l’avversario e lo mise in fuga dopo meno di un minuto, ma non era personalmente presente all’incontro; Wong Jack Man sostiene che lo scontro avvenne in seguito a un’aperta sfida di Lee durante una delle sue dimostrazioni pubbliche, proseguì per una buona mezzora e si risolse in sostanziale pareggio, ma ha ovviamente tutti gli interessi a rigirarla in questo modo, e trovare un cazzaro nel mondo delle arti marziali è come trovare un tamarro alla fila per Fast & Furious. Il film accoglie l’aneddoto di Linda ma dipinge uno scontro incerto e drammatico come nel racocnto di Wong, per poi attaccare l’aneddoto di Wong alla dimostrazione che Lee tenne a Long Beach nel ’64 (la sua più famosa, ma durante la quale non sfidò nessuno) e far durare lo scontro meno di un minuto come nell’aneddoto di Linda. Dove entrambi sembrano convergere è nel fatto che Lee uscì dal match con Wong comunque insoddisfatto, e ciò lo portò ad approfondire ulteriormente la filosofia dietro a quel suo personale metodo non-metodo che avrebbe chiamato Jeet Kune Do. E di sicuro, a differenza di ciò che mostra il film, non fu in quell’occasione che subì il grave infortunio alla schiena che lo tenne lontano dagli allenamenti per lungo tempo – incidente che gli accadde in realtà durante una normale sessione in palestra.
C’è un accento posto sui problemi di razzismo, tramite provocazioni gratuite a cui Bruce risponde “Io sono americano!”, un efficace momento in cui i fidanzatini Lee impallidiscono di fronte a Mickey Rooney che fa il giappo da barzelletta in Colazione da Tiffany e un accenno alla questione spinosa Kung Fu, serie da lui ideata ma poi affidata a David Carradine truccato da orientale. Ma ci si concentra più che altro su Bruce Lee uomo, una macchina dalle ambizioni coraggiose, le idee chiare e l’energia infinita. Si accenna senza approfondire al suo lato filosofico, mostrando la creazione del Tao del Jeet Kune Do senza addentrarsi nei perché e per come. Si sintetizza il suo successo cinematografico con una scena in cui lo portano in trionfo dopo la prima di Il furore della Cina colpisce ancora. Non si ha paura di mostrare un Lee intenso e furioso anche nei litigi domestici, e nei momenti di dubbio si trova una scusa per una rissa in più.
Per volontà di Linda si decide infine di ignorare le circostanze misteriose della sua precoce morte, chiudendo il film con la sua dichiarazione “preferisco ricordare come ha vissuto”. E per fare questo, e contemporaneamente dare un’apparenza di finale compiuto alla storia, Dragon prende spunto dal vero aneddoto per cui il padre di Lee aveva dato a Bruce un nome cinese da donna, Li Jun Fan, per motivi superstiziosi, e inventa l’idea di un demone che ogni tanto lo tormenta nei suoi incubi più vividi. È un metaforone lasciato volutamente vago, che fornisce uno straccio di chiusura emozionale alla storia lasciando a intendere che Bruce sconfigga il demone – pagando con la propria vita – prima che esso attacchi il figlio Brandon. Il destino però è tragicamente beffardo: Brandon muore colpito da una pistola di scena caricata a proiettili veri il 31 marzo 1993 sul set di Il corvo; Dragon era programmato per uscire – e uscirà – appena il 7 maggio dello stesso anno. La distanza è talmente ravvicinata – e la modalità talmente simile alla scena dell’attentato al personaggio di Lee in L’ultimo combattimento di Chen – da agghiacciare.
Tutto sommato, nell’insieme delle agiografie hollywoodiane, Dragon è un prodotto piacevole e decoroso che, grazie alla passione di Rob Cohen e alla supervisione di Linda Lee, lascia i compromessi su livelli di distorsione accettabilie, aldilà di tutti gli inevitabili tradimenti, riesce a comunicare un certo rispetto di fondo per Bruce Lee uomo e figura ispiratrice, sorvolando sui dettagli prettamente tecnico/filosofici per interessare il più ampio target di non appassionati che si era proposto. Quello di Dragon non è “Bruce Lee l’innovatore” o “Bruce Lee il guerriero”, o meglio: lo è nella misura in cui questi aspetti contribuiscono a formare la figura qui ritenuta più importante di “Bruce Lee l’educativo self-made man, il cinese che ha conquistato il sogno americano a colpi di ambizione, determinazione e calci in faccia anche quando il sogno americano sembrava essere precluso ai cinesi”. E questo, in un contesto in cui Rob Cohen confeziona un prodotto ben curato in cui è chiaro che le omissioni sono frutto di scelte sensate e non di superficialità, tutto sommato mi sta bene.
Quello che non mi sta bene, maledizione, sono i combattimenti.
Qui Cohen cala le braghe al 100%, e ciò che ci propone è roba che con Bruce Lee non ha nulla a che fare ma che se non altro te lo fa capire fin dal minuto 1, quando Bruce affronta dei bulli a colpi di doppi calci volanti e salti mortali all’indietro. È qui che ogni somiglianza e rispetto per la fonte va a farsi benedire in favore di un circo alla Jackie Chan fatto di inutili atletismi e acrobazie e match che il nostro vince ogni volta con “emozionante” fatica invece che con la superiorità pratico-filosofica che una descrizione del Jeet Kune Do meriterebbe. Sia chiaro: nel loro genere, considerando che il protagonista Jason Scott Lee (non parente e platealmente hawaiiano) è un attore che ha imparato il kung fu apposta per il film e riesce a camuffarlo in modo ammirevole, sono tutt’altro che brutti: la rissa dietro al ristorante cinese sulle immortali note di Green Onion regala in particolare qualche stunt piacevolmente doloroso, e quella sul set del Furore della Cina trova una spettacolare applicazione pratica del one inch punch nelle scene in cui rompe i blocchi di ghiaccio, ma si tratta di tradimento stilistico quasi totale là dove il resto del film si sforzava di trovare compromessi ben più rispettosi.
A divorarsi definitivamente il film però, oltre a un grintosissimo Jason Scott Lee che intelligentemente interiorizza una sua personale versione di Bruce Lee senza rifugiarsi nella fredda imitazione pura, è l’epica colonna sonora di Randy Edelman, enfatica e piena di melodie che ti si attaccano immediatamente al cervello, quell’anno seconda soltanto al Jurassic Park di John Williams e non a caso, in quanto meno famosa, riutilizzata in seguito in svariati trailer provvisori della Universal.
Si segnalano le comparsate di Van Williams, il Calabrone Verde originale, nel ruolo del, uhm, regista del Calabrone Verde, di Rob Cohen stesso nel ruolo di Robert Clouse e di Shannon Lee, l’altra figlia di Bruce, nel ruolo della cantante al party hollywoodiano.
A questo turno niente di imprescindibile da segnalare, a meno che non vogliate approfittarne per introdurre la figura di Bruce Lee a vostra nonna.
DVD-quote:
“Tutto sommato accettabile”
Nanni Cobretti, i400Calci.com
Probabilmente è il film con maggiori passaggi televisivi in Italia…tutto sommato e’ ben fatto.
Perdonate la domanda cretina ma ci tengo a conoscere l’opinione di altri fan di lee…SE non fosse scomparso così prematuramente secondi voi che strada avrebbe preso? Che carriera avrebbe seguito? Sia a livello artistico che personale…Tolti ovviamente special guest in film del Taranta o di bob ma anche in exp ecc…
Ragazzi,a me il film è piaciuto.
Faccio notare che bruce è stato un grande,la verità sulla sua morte c’è l’hanno sempre tenuta nascosta,la moglie per prima.
A queste persone dico,che anche a distanza la verità verrà fuori,ma sapete
perché,la verità trionfa sempre.
Per la domanda,rispondo che bruce era un perfezionista,sono sicuro aveva altri progetti film,in testa.
Poi che si sia inventato il JKD,ma ragazzi se lo poteva permettere,non capisco lo sdegno di lo condannava per questo.
Questi sono i lati della CINA,che mi piacciono,non certo lo stato dittatoriale
odierno.
Saluti,peppino.
@Past: Per me avrebbe continuato la sua strada come attore e sarebbe stato ucciso per strangolamento durante le riprese di un nuovo film dai malefici CAVI PER SALTI SPETTACOLARI qualche anno dopo…
@past: grazie per la bellissima domanda.
Per Lee una parte importante dell’attrattiva del mezzo cinema era, oltre a fama e soldi, la possibilità di diffondere la propria filosofia. Per me avrebbe proseguito in ruoli da protagonista con input creativo invasivo e, a carriera in fisiologico ribasso, avrebbe creato per sé un ruolo simile a quello che si era scritto per Kung Fu e proseguito in TV e DTV stile Chuck Norris / Steven Seagal privilegiando la libertà espressiva alla diffusione e al prestigio.
Anche a me non è dispiaciuto. Pur con tutti i limiti nei combattimenti e soprattutto nell’impostazione è comunque un film gradevole, dalla morale risaputa ma che è abbastanza onesto da dichiarare fra le righe le proprie intenzioni.
Il genere agiografico qui sembra imposto dal fatto che uno dei soggetti coinvolti è la moglie Linda che in ogni scena in cui è coinvolta sta a fare vedere quanto fosse tosta e coraggiosa. Una specie di riproposizione del detto “dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna”. Cosa che è vera, ma che forse non c’è bisogno di dire ogni dieci minuti.
Mi sarebbe piaciuto trovare almeno qui più esplicito l’amore per la verità che aveva Lee, non solo il suo sogno americano da spiattellare in faccia allo spettatore. Tanto è vero che le parti migliori sono quelle ambientate fuori dall’America in cui si vede che vivere con un uomo ambizioso come Bruce Lee non era solo slinguazzarsi per casa con un fisicato dall’anima gentile. Quei litigi, quel deludere il figlio non fanno di Lee un mostro ma pur senza voler dare una rilettura al suo mito, almeno provano a rendere una persona con i suoi ovvi difetti. Saranno stati messi apposta, ma hanno comunque significato e in mancanza del lato filosofico non resta che o bere o affogare. Quello che assolutamente non ha significato è il demone, che ogni volta che entra in scena fa un disastro con l’atmosfera del film. Il suo combattimento è pure una merda fra l’altro.
In tutto questo forse il momento più azzeccato di tutti arriva quando Bruce e Linda vanno al cinema a vedere Colazione da Tiffany. In quelle parti c’è tutto il razzismo di una società che ancora non riusciva a rendersi conto che sarebbe stata la prima ad essere travolta dal punto di vista etnico. Ma voglio dire nulla di grave, con gli Italiani tuttora va pure peggio.
Le musiche trascinano sul serio e credo che siano state usate pure per Forrest Gump. Cosa che comunque da la giusta idea di dove vada messo il DVD nella videoteca di casa.
C’è molto ammore e poco JKD (del resto è la versione della moglie…) ma nonostante TUTTO la “confezione” mi gasa e lo riguardo sempre con piacere: alla fine non è che la serie TV cinese fosse meno romanzata. La bellissima colonna sonora ce l’ho originale su CD e anche io spezzo una lancia a favore del Jason Scott Lee attore, che fa quello che può con il fight (compensarono con le capriole perché lui ha background da ginnasta). Se non erro fu scelto per il ruolo dopo il forfait di Brandon.
@Pillole
Completamente in disaccordo sulla trovata del demone/attacco d’ansia. Mi piace tantissimo.
@pillole: sottoscrivo ogni virgola. Dispiace che per venire incontro a un target ampio/generico abbiano scelto un aspetto di Lee universale ma riduttivo, ma a Dragon gli si può dire tutto tranne che sia la solita stronzata pigra da Life Channel.
@cleaned: ma infatti una cosa che apprezzo molto della regia di Cohen è che lasci che Jason Scott Lee faccia la sua personale incarnazione di Bruce cogliendone i tratti salienti e integrando a sentimento/spontaneità piuttosto che ammazzarne il carisma ingabbiandolo in manierismi forzati.
concordo su tutto con l’articolo. che comunque ogni volta che passa in tv io me lo guardo.
il film é furbo perché con la scusa di mostrare il lato umano di lee (vicissitudini amorose/lavorative) racconta come ancora una volta, e sempre, l’america sia il luogo ideale per chiunque abbia delle capacità.
E sì perché da un lato mostra tutta la diffidenza dell’uomo comune verso drizzt do… Ehm, volevo dire un “cinese blavo a saltale” ma anche che bruce può conquistare sì la sua patria ma no il mondo se non s’affida all’america.
Ed infatti il successo arriva solo dopo il film americano.
Per questo il film é un mero pretesto per sfruttare la biografia di un uomo bravo a fare qualcosa per pubblicizzare l’america.
Poi che mostrino lee anche nel privato non può farmi che piacere. E come giustamente dice nanni il bilanciamento tra mosse spettacolari e noiose situazioni familiari aiuta a digerire meglio queste ultime.
Il merito secondo me va solo al jason. Carriera da ballerino, é lui che riesce a farti capire che stai guardando la vita di lee romanzata.
Una delle mie biopic preferite
Dragon per me è inguardabile. Ci ho provato molte volte, ma proprio no. Bruce Lee culturista piacione non si può vedere. Oltre alla tecnica di combattimento io di Bruce amavo anche, e molto, la faccia.
Lee aveva la faccia da siciliano, da piccolo gangster anni 30. Con tratti orientali. Ma era un giovane gangster ciciliano. Ed era bravissimo, dico proprio come attore, a rendere questa cicilianità. Immaginarlo con gessato, cappello e mitraglietta anni ’30 non è difficile. Non per me.
Ecco, l’attorucolo di Dragon ne è la negazione.
Poi, piccolo dettaglio: i combattimenti non finiscono mai e non sanno di un cazzo.
Cosa avrebbe fatto Bruce “da grande” ? Il presidente della Repubblica Popolare Cinese. E se sapete a cosa mi riferisco, sapete anche che non lo dico scherzando.
sto agghiacciando
Molti dicono di rivedere ancora il film ad ogni passaggio televisivo,e questo la dice tutta. Se il film “tiene” ancora nonostante sia uscito nel 1993 vuol dire che il prodotto tutto sommato è buono.Interprete non combattente e non somigliante ma bravo attore,discreta regia,discreto script,bella musica,confezione complessiva gradevole. La storia poteva essere piu’realistica? Ma in fondo chi conosce davvero la verità dei fatti? Certo almeno il finale poteva essere piu’corrispondente alla cronaca “ufficializzata” dai report delle autorità locali,ma se la volontà della vedova è stata quella di dribblare la relazione del nostro eroe con Betty Ting Pei,non possiamo biasimarla piu’di tanto. Circa i demoni voto anch’io a favore. I momenti di “estraneazione” di Bruce e le sue impari lotte con gli oscuri guerrieri interiori sono scene che si ricordano a lungo.
Circa la carriera del piccolo drago “se” non avesse assunto la pillolina di ecquagesic,sono sicuro. Enter the dragon sarebbe stato un successo comunque.Un trampolino definitivo. Gli interessamenti di Carlo Ponti e di altri produttori per grossi progetti erano già realtà. La parte ahimè da cattivo in un futuro 007 era roba scontata (L’uomo dalla pistola d’oro,girato in oriente ad esempio). Difficile pensare a lui come una meteora. Il “magnetismo” e il carisma del piccolo drago non son cose che notiamo solo noi aficionados. Se i suoi film degli esordi,inguardabili cagate girate in pochi giorni e senza una lira,dopo quasi mezzo secolo e innumerevoli repliche fanno il pieno degli spettatori nelle serate estive italiche e non solo(ovunque sia stato celebrato il quarantennale della morte si è verificato un successo),un motivo ci sarà. Per la “maturità” mi immagino una carriera da regista. Intelligenza e fantasia non gli mancavano,molto presto ha cominciato con i primi esperimenti dell’Urlo di Chen e di Games,per non parlare di soggetti e sceneggiature,ed aveva appena trent’anni…
E poi un’osservazione personale sul figlio. Brandon non aveva nulla a che spartire col padre eppure…Il corvo,secondo me era proprio un bel film. Azzeccato in pieno. Sarebbe stato un piccolo successo comunque. L’occasione perfino per lui di trovare una personale dimensione.Insomma perfino il pargolo,un futuro nel cinema,(secondo mio umile parere) lo avrebbe avuto a prescindere dalla prematura morte che ovviamente lo ha destinato a imprevista immortalità.
P.S. Non finisce mica qui lo specialone? Che dobbiamo fare,raccogliere le firme?
@wang yu: e’ un po’ forzato dire che il film dribbli semplicemente Betty Ting Pei quando in realta’ si conclude a meta’ delle riprese di Enter the Dragon e dribbla la morte in blocco, tranne che per la breve inquadratura sulla lapide nel sogno finale.
Per il resto: grazie mille per la stima, lo Speciale va in pausa cosi’ per un po’ tiro fiato scrivendo anche di altro, ma giuro che lo riprendo.
@Nanni Sei stato troppo buono con Dragon …per me e’ un cesso …
Nanni,grazie a te per lo specialone.Indubbiamente sei il miglior “svisceratore” di fatti marziali e Brusliistici. E non solo. Circa Dragon ripeto un concetto già espresso tempo fà,è un buon film,ma oggi credo sia arrivato il momento di un piu’moderno e definitivo biopic. Un filmone sulla sua vita,fatto come si deve, il nostro eroe oggi lo meriterebbe proprio.
Si si riposati pure dalle fatiche. Ti concediamo otto giorni però,il 19 esce The grandmaster…. nonsòsemispiego…..
A proposito,i pareri al momento(come sempre)sono discordanti. Lo hai già visto? Giorni fa in vacanza in Francia ho notato che già ne vendevano il dvd,ma senza la versione italiana non l’ho preso.
Sembra che nel finale ci sia un pensierino anche per l’ultimo grande allievo del grandmaster. E questo già giustificherebbe che la recensione,che obbligatoriamente ci aspettiamo da te,venga inserita a postilla,appendice,post-scriptum,dello speciale in questione.
Su queste pagine il giorno 20 allora!
In questo trailer B c’è una misteriosa sequenza eliminata (non presente neppure negli extra DVD) che mi ha sempre incuriosito. Ai tempi io e la nonna l’associammo (erroneamente) alla questione infortunio-schiena…
http://www.youtube.com/watch?v=NGXnZJaEFcc
@Wang Yu Ehm, non so come dirtelo, ma forse avrai un’amara sopresa… anzi amarissima (e forse persino doppia), fossi in te mi preparerei una tanichetta di saké- Ti sta per arrivare un side kick alla Brucenanni ;)
Da un lato è un film che si fa vedere, classicone americano, dall’altro poteva essere meglio sopratutto perchè parla di una persona e, in teoria, del suo pensiero che ha dato alla luce una nuova fprma di arte marziale.
Io capisco che si vogliono romanzare ed anche semplificare -allo scopo di render più fruibile ed anche godibile in toto- una biografia ed una filosofia ma qui c’è un eccesso, anche di invenzioni come il problema alla schiena e quel demone che raffigurerebbe uno stato d’animo (ma davvero? Sembrava intendere altro, che so la morte che ti sta attaccata al collo) o la sfida stessa.
Per quanto mi riguarda preferisco il documentario (nn quello mandato da Dmax) che riesce a far comprendere la filosofia di Bruce comunque e a mostrare il suo lavoro cinematografico, specie quello del suo ultimo film.
Dragon, si, è carino ma lo posso anche perdere quando va in onda.
Lapidario: 1) Dragon è un buon film – 2) l’attrice che interpreta la moglie di Bruce Lee è molo ma molto piu’figa di Linda.
Ehm…
“Wong Jack Man sostiene che lo scontro avvenne in seguito a un’aperta sfida di Lee durante una delle sue dimostrazioni pubbliche, proseguì per una buona mezzora e si risolse in sostanziale pareggio, ma ha ovviamente tutti gli interessi a rigirarla in questo modo, e trovare un cazzaro nel mondo delle arti marziali è come trovare un tamarro alla fila per Fast & Furious. ”
Questo però può valere anche al contrario, eh.
Visto che Lee parla di vittoria, ma testimoni non ce ne sono, e se ce ne sono sono personaggi tipo: la moglie (ah che però non c’era) allievi o suoi amici (molto attendibili, mi dicono…) …
@michael: era appunto quello che sottointendevo evidenziando anche che la moglie non c’era
E allora i buoni vincono, i cattivi perdono e come sempre Cobretti domina.
Circa Wong Jack Man la domanda nasce spontanea: ma se ci fosse qualcuno su questa terra che potesse dimostrare con testimoni,di avere atterrato un mito planetario come il piccolo drago,non sarebbe uscito già prepotentemente fuori con articoli,interviste,biografie e sbruffonate varie? Alla fine a quanto pare,nemmeno in quell’universo cazzaro di controfigure,comparse e figuranti di Hong Kong qualcuno ha mai affermato di averlo messo al tappeto.
@enter the ciccion: beh no, Wong Jack Man lo afferma, e il trucco sta appunto nel fatto che non riesce a dimostrarlo in modo assoluto.
Se qualcuno avesse voglia (io no) potrebbe al riguardo leggersi l’intero eBook dedicato alla questione:
http://www.amazon.co.uk/Showdown-Oakland-Story-Behind-ebook/dp/B00AR0KE1I/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1378990682&sr=8-1&keywords=wong+jack+man
Ciao a tutti.
La prima volta che vidi Dragon,non ne sapevo molto, posso dire che ogni tot che passa lo vedo cn occhi diversi,forse più consapevoli.
Sicuramente per chi non sà la storia vera di Bruce non rende giustizia pienamente alla realtà dei fatti,ma dall’altra contribuisce a romanzare la figura dell’eroe.
Ted Wong, sparring partner di Bruce e amico, non ne era molto soddisfatto all’uscita del film, ma il business si sà corre dove tira il vento purtroppo.
Credo che la storia di Bruce segue lo spirito che ci ha lasciato.
Spiego meglio cosa intendo, era un uomo che ha scelto la strada dello sviluppo con fatica e duro lavoro,durissimo, e cmq sarebbe,se ci pensiamo un attimo, un pò incoerente trovare le notizie vere sul percorso cosi poco compreso ancora oggi di Bruce, in una società che ha molto poco di profondo di quel che mostra.
Ognuno, vedo che per una cosa o per l’altra, ci è arrivato tramite la propria curiosità, e forse in un certo senso, questo è quello che sarebbe più piaciuto trasmettere a Bruce… buon proseguimento a tutti.
Una visione romanzata del mito di Lee che riguardo sempre con molto piacere e, come detto, la musica lo innalza ancor più a livello epico.
Quoto @Nanni sul percorso che avrebbe intrapreso il Maestro, che tanto avrebbe ancora potuto dare a cinema e arti marziali (nonostante le voci su un suo uso di “sostanze”). -basti pensare a che figata sarebbe stato, se avesse terminato il SUO Game Of Death, ad esempio-