Come forse saprete c’ho la scimmia del western, e spesso qui sopra i titoli assimilabili al genere me li sbrigo io. Dato il sito su cui siamo, questi titoli di solito sono il western declinato con l’action, l’horror, la fantascienza: il Weird West insomma, sottogenere di cui fa parte anche questo Dead in Tombstone.
Un trailer accattivante, due protagonisti che non passano inosservati, una premessa interessante ed un balletto di uscite rimandate portato avanti per molti mesi avevano fatto salire la scimmietta per questo film ad un bel po’ di gente più o meno appassionata al tema, scimmietta che la parte razionale del cervello bilanciava però con il contraltare di ognuno di questi lati positivi, ovvero: i trailer accattivanti non vogliono dire nulla, i due protagonisti hanno fatto ben più di una ciofeca, la premessa è interessante ma chissà se basterà per un film intero, i rinvii così lunghi di un film DTV non promettono nulla di buono. Quindi diciamo che grazie a questi controsterzi si stava in media res con il fomento. Se non fosse per un elemento, l’unico di quelli a mia disposizione che non era dotato di ambivalente beneficio del dubbio: Roel Reiné.
E qui l’entusiasmo casca, così come l’asino.
Noto al grande pubblico per essere “il regista pacco preferito” di Casanova Wong Kar-Wai e per essere capo-classifica cannonieri per la realizzazione di sequel-di-film-a-basso-costo, Roel Reiné si è formato come regista televisivo di serie che non abbiamo mai visto ed è cintura nera di spuntini fuori orario. Stavolta viene chiamato a girare non solo un non-sequel ma un film che potrebbe avere la forza necessaria per farne scaturire uno lui, di sequel.
Danny Trejo è Guerrero, un fuorilegge che, per un complotto del suo cattivo e rancoroso fratellastro Red (Hall), viene fatto fuori dalla sua banda. Finisce all’inferno, che scopriamo essere una oscura fucina di fabbro in cui il diavolo (Rourke) tortura per l’eternità i suoi ospiti a mezzo ferri arroventati. Guerrero però non ci sta e patteggia col diavolo un accordo: tornare in vita il tempo necessario per vendicarsi uccidendo i suoi ex compari di modo da offrirgli sei anime crudeli in cambio della sua. Il diavolo accetta, serenamente lo marchia a fuoco sul petto con una croce rovesciata e lo manda a fargli la spesa.
Con trame del genere, il classico “vengeance from the grave”, ci puoi andare avanti per molto tempo: sono sicure come una palla, sono agili da ampliare a piacimento, intrattengono sempre e, se ben girato e carismatico il primo episodio, assicurano facilmente il sequel ai film che le offrono.
Basta girare bene ed essere carismatici. Capito Reinè? Girare bene ed essere carismatici… Posa quel panino con le polpette di Subway che spiego ai lettori perchè non dirigerai il sequel di questo film.
Vedete: non basta ambientare le cose nel west per fare un western, nemmeno un weird western, e Dead in Tombstone soffre appunto della scarsa ispirazione e motivazione più che dello scarso budget. Potrebbe essere stato ambientato in un qualsiasi contesto in cui la legge viene applicata a fatica (una grande metropoli corrotta, il medioevo fantastico o meno, una base nell’Antartide, San Basilio) e non soffrire della trasposizione di contesto, tanto sono generici tutti gli elementi in ballo. Il basso budget non ha mai tagliato le gambe ad un buon western ed è raro che le tagli anche ad un revenge-movie, serve avere il polso del film e un po’ di predisposizione al genere per portare a casa facilmente un risultato decoroso.
Reiné non ha inclinazione per il western, è un regista di action di medio profilo anche efficace e lo dimostra per tutto il film. Lo dimostra nel bene, perché comunque l’azione spesso è divertente per quanto dozzinale coi suoi ralenti in bullet time fuori tempo massimo (che abusati smosciano però anche il ritmo di alcune sequenze) e lo dimostra nel male perché tutto il resto latita o è sciatto, con attori cani, senza caratteristi a bilanciare i cani, con una nitida e fredda fotografia che non valorizza le buone location ma mostra ivece tutti i limiti delle scenografie che a volte sembrano l’area Rio Bravo di Gardaland e infine un approccio “coatto” al western che di suo non è un difetto ma che qua risulta sforzato e innaturale perchè è evidentemente un genere non nelle corde di Roinè.
Oltre al soggetto in sé divertente e alle facce di Trejo e Rourke, gli spunti per fare molto meglio c’erano: il tempo che scorre e rende tutto più concitato, il diavolo che si diverte a barare non visto, il finale aperto che vede e rilancia la buona idea di fondo… Grave poi per me è l’aspettativa semi-delusa dell’eliminazione uno-per-uno, magari in modi fantasiosi, della banda. Cosa questa che viene suggerita nel patto col diavolo e ribadita con l’ostensione nella piazza delle bare una-per-ciascuno che aspettano di essere riempite ma che poi a conti fatti viene perlopiù disattesa in favore di un azione più routinaria e di gruppo. Poteva essere una buona mossa per dare al film un po’ di quel carattere di cui ammanca, carattere che anche nel western tradizionale e a basso costo fa la differenza tra una porcata e un classico.
Insomma: si poteva fare un piccolo cult in un sotto-genere disseminato di tantissimi titoli pessimi o dimenticabili e invece Dead in Tombstone si va ad aggiungere a questa seconda categoria, nonostante abbia qualche innegabile guizzo migliore di altri che però non lo spinge in quella ristretta cerchia di buoni film. Bastava un regista con un po’ talento per il genere e un po’ di gusto nel raccontarlo.
Per me, nonostante non sia terribile e vada bene per un pomeriggio in casa, è una delle delusioni dell’anno: speravo molto in un buon piccolo prodotto ma nel bilanciamento dei pro e dei contro avevo tenuto poco conto del paffuto e insipido Reiné.
Adesso col weird west rimane solo sperare forteforte in Bone Tomahawk, dell’esordiente Craig Zahler, con Kurt Russell di ritorno al western dai tempi di Tombstone e il bravo Timothy Olyphant di Deadwood e Justified.
DVD-Quote suggerita:
“Un occasione sprecata, ma se po’ fa”
Darth Von Trier, i400Calci.com
BONUS
Il primo utilizzo dell’effetto più pacchiano del cinema moderno, il bullet time, al suo esordio nel 1985 in un video musicale. Chiaramente metal.
httpv://www.youtube.com/watch?v=1Y-RL1YnHnw
Bene allora aspetto forte Bone Tomahawk, tra l’altro a me Danny Trejo ha anche rotto gli zebedei
Reine’ con tutti i suoi limiti comunque resta uno dei pochi che con budget ridicoli fa film che non levo dopo 20minuti, questo e il re scorpione 3 e addirittura ogni tanto piazza delle bombette come death race 2 e inferno.
#respectroelreine’
Sul film concordo un occasione persa per me dovuta maggiormente al fatto di una storia blandissima e altrettanto scontata.
Ma quanto è gonfio rourke…adesso capisco perché l’hanno fatto fuori dagli exp…cazzo in questo film se fli metti i baffetti sembra Umberto smaila!
P.s.
Grazie al santo imdb ho scoperto che stanno facendo un re scorpione 4 con un cast assurdo…il mondo e’ ancora bello!
Riveritissimi 400Calci,
in tema di consigli sul weird west vi seguo pedissequo, lo avessi fatto anche per Gallowwalker avrei evitato la condanna all’oblio di Wesley Snipes.
Mado’ il video degli Accept, mi ha fatto sbregare oltre la durata dello stesso, col cantante che sembra un incrocio di Anthony M. Hall (coincidenza eh?), Malcolm McDowell e Bombolo…
farabutto, con l’asino mi strappi sempre un sorriso
Voglio dire GRAZIE a Darth per aver rivelato la prima comparsa storica del bullet time. Me ne bullerò appagato e borioso quanto prima con gli amici.
Un pingue regista di nome Reinè dirige prodotti televisivi a cazzo di cane. Ah no?
Trovo che Dead in tombstone non sia riuscito a dare onore al genere western-horror dove invece Dead birds era riuscito quasi discretamente.
Grandissimo Reiné Ferretti.
darth con il video degli accept hai sollevato il morale sceso ai minimi dopo aver letto la recensione!
più accept meno reinè
Vediamo un po’ sto cast del Re Scorpione quatt…ROYCE GRACIE???
(sì, ok, c’è tanta altra bella gente, ma non posso che non concentrarmi su questo xD)
Forza Udo! e grazie Darth, c’ho il buonumore per il resto della serata assicurato.
la mia prima esperienza col Weird West è data in tempi non troppo recenti da un numero di Tom Strong nell’America’s Best Comics di Alan Moore, il filone è buono ma non può mancare di una buona dose di fantasia e rifugge la pigrizia come poche altre cose.