Questo film parla di due tizi che si perdono vagando in macchina tra le stradine buie di campagna cercando un alberghetto in culo ai lupi, ragion per cui la recensione inizierà con un lungo paragrafo introduttivo in cui io racconto un aneddoto di me che mi perdo vagando in macchina tra le stradine buie alla ricerca di un qualche posto, probabilmente un ristorante agreste dove si mangia tanto e si spende il giusto. Sarà un paragrafo divertente, pieno di sapide osservazioni ironiche, e servirà a mettervi di buon umore con una storiella di vita vissuta in cui tutti, bene o male, ci riconosciamo. «Ah ah, è proprio vero,» direte. «Quante volte mi è capitato di perdermi tra le stradine di campagna.» I meglio disposti potranno persino affermare «Minchia grandissimo Luotto, mi sono spaccato dal ridere!»
Grazie mille. Però che ne dite se taglio corto e parlo subito del film? Facciamo come se io l’avessi scritto, questo preambolo, e voi l’aveste letto, e tutti amiconi più di prima. Vi va? Sigla!
httpv://www.youtube.com/watch?v=aFTTvDQ5Mlo
In fear è un film inglese, ma è ambientato in Irlanda.
I più affezionati di voi sapranno che ho un debole per gli horror o i thriller ambientati in paesi in cui di solito non vengono ambientati gli horror o i thriller. Ricordate? L’Islanda! L’Uruguay! Il Cile! Il Vietnam! Il Sudafrica! (Di quest’ultimo non ho mai scritto niente perché non valeva la pena e il film era una merda vera, ma ci tenevo a farvi sapere che l’ho visto).
Parliamo dunque un attimo dell’Irlanda.
Io non sono mai stato in Irlanda, ma quando passeggio per strada e qualcuno mi grida “IRLANDA” da un’auto in corsa, io penso subito, nell’ordine, a: trifogli; gente coi capelli rossi; gente coi capelli rossi, il panciotto verde e un trifoglio in bocca; gente coi capelli rossi che beve troppo e spacca i bicchieri e vomita; flussi di coscienza intraducibili; studenti italiani che vanno a fare l’Erasmus a Dublino e poi tornano con seicentoventicinque foto di prati verdi e la menano per anni col fatto che la Guinness alla spina, laggiù, è tutta un’altra cosa; ragazze che vanno ad abortire da un’altra parte perché in Irlanda non si può. Una mia amica ha fatto l’Erasmus a Dublino, si è messa per qualche mese con un irlandese e ha detto che era simpatico.
Alcune curiosità sull’Irlanda:
1) Cambiando una sola consonante, l’Irlanda diventa l’Islanda.
2) Cambiando tutte le consonanti e tutte le vocali e aggiungendo altre lettere, l’Irlanda diventa Concorezzo (provincia di Monza e Brianza).
3) Quando va ai mondiali, l’Irlanda si chiama improvvisamente EIRE.
4) La nazione dell’Irlanda viene costantemente surclassata dalla città di Imola ogni volta che c’è da chiedere una i alla Ruota della fortuna.
5) Il divertente cartone animato Sampei era ambientato in Irlanda.
6) In fear è un thriller che parla di una coppia che si perde tra i cazzo di sentierini di campagna della cazzo di Irlanda alla ricerca di un alberghetto sperduto. La buona notizia è che non si tratta del solito pedestre direct-to-video d’accatto che recensiamo in mancanza di meglio nei giorni di magra, no: dopo un’anteprima di mezzanotte al – scusate il termine – Sundance, alla fine dell’anno scorso In fear è uscito in sala nella natìa Gran Bretagna con buon successo di critica, quindi è stato distribuito anche negli USA con conseguente (e sorprendente) votone su Rottentomatoes, per chi ci crede ancora.
Insomma, è un prodottino da tenere d’occhio. E poiché “Tenere d’occhio” è il mio secondo nome, io l’ho subito recuperato per voi e tra un attimo tàc che ve ne parlo.
7) La curiosità numero 5 non era vera.
Quali sono i pregi di In fear? Perché diciamocelo, a In fear i pregi non mancano, e di questo do atto al regista Jeremy Lovering, al suo primo lungometraggio. Lovering, come si suol dire in questi casi, riesce a tener alta la tensione con soli due attori (che diventano tre nella seconda metà del film) e location ristrettissime: nella fattispecie, l’interno dell’autovettura e sparuti tratti di campagna circostante, quasi sempre inquadrata da dentro l’abitacolo e illuminata dalle bieche luci dei fanali.
In avvio, classica lenta discesa nell’incubo: strade campestri sempre più strette, buio che si avvicina, nessuno a cui chiedere, nessun autogrill che appare come per magia, coppietta che pregustava trombatona rurale e invece trova frustrazione ansia paura. In fear, per fortuna, non esce mai da questi binari: Lovering ha abbastanza buon gusto e perseveranza da confezionare un film pressoché in un unico ambiente, e pressoché in tempo reale, senza che il tutto suoni come un esercizio di stile calcolato a tavolino alla Buried. Il regista gioca bene con i pochi elementi che sceglie di avere: i fasci di luce dei fanali che fendono l’oscurità lasciando intravedere sagome inquietanti; una goccia di pioggia sul lunotto che, in una scena ottimamente fotografata, sfuma e maschera per qualche istante la visuale.
Soprattutto, Lovering sbruffoneggia con un montaggio mai banale, che moltiplica e scompagina i punti di vista in maniera molto dinamica e inattesa: penso soprattutto alla prima scena in cui lui si allontana dalla macchina e lei rimane da sola: la tensione è creata quasi soltanto giustapponendo campi lunghi, piani ravvicinatissimi e inquadrature da posizioni insolite con un montaggio disorientante (mi è rimasta impressa una rapida inquadratura da dentro la macchina, con lo sportello aperto, che in quel momento è l’ultima cosa che ti aspetteresti eppure funziona a meraviglia). Citiamolo, il montatore: Jonathan Amos. Citiamolo perché non è soltanto un bel tipetto che ha già fatto faville in Scott Pilgrim e Attack the Block, ma anche perché il suo virtuosismo è nel 50% delle scene uno dei maggiori successi del film, e nell’altro 50% sta pericolosamente sul ciglio del compiacimento fine a sé stesso (drinking game irlandese: bevetevi una pinta di Guinness ogni volta che c’è una rapida inquadratura ravvicinatissima su mezzo volto di uno dei due protagonisti riflesso nel vetro del finestrino: sentirete che rutti). D’altro canto, se considerate che Lovering ha diretto un episodio di Sherlock, capirete che quanto a sbruffonaggini di montaggio poteva andare molto, molto peggio.
Per tirare le somme del film devo per forza buttar lì qualche SPOILER, quindi occhio che nel prossimo paragrafo, dopo la foto, ci sono gli SPOILER. Se volete un breve giudizio globale SENZA SPOILER, leggete qui di seguito, poi fermatevi prima della foto. Tutto chiaro? Bene. Tiro le somme SENZA SPOILER: In fear merita una visione, è onesto, abile, formalmente interessante. Non vi cambierà la vita, i personaggi sono discretamente antipatici, i twist non imprevedibili e la scena finale è un grosso BAH. Però siamo ben sopra la media dei prodotti di questo genere e ci sono modi molto peggiori di passare una serata. Già che ci sono, confesso che il film è sì ambientato in Irlanda, ma in realtà è girato in Devon e in Cornovaglia; del resto, in fondo a questo articolo c’è una canzone dei Pogues, che facevano celtic punk e celebravano le radici irlandesi ma erano di Londra, quindi tutto quadra.
E ora, due cazzate un po’ più particolareggiate, con SPOILER di grado medio:
Pur senza entusiasmi di alcun genere, di In fear ho apprezzato la totale assenza di spiegoni. Anzi, il bello dei primi due terzi di film è proprio il modo in cui la sceneggiatura tiene noi (e i due protagonisti) all’oscuro di tutto; non capiamo neppure se gli eventi abbiano una spiegazione razionale oppure se ci sia di mezzo qualche incubo paranormale. Si intuisce una probabile causa a monte (qualcosa che è successo in un pub), ma il protagonista rimane reticente, e anche il terzo personaggio che compare a metà film si rivela un narratore decisamente inaffidabile. Quindi niente: si gira in macchina senza capire, con la paura che cresce insieme alla confusione, e si va avanti finché dura la benzina.
Peccato, allora, che verso la fine (PUR senza MAI fare troppa chiarezza su come, quando e perché, e questo è un bene) si capisca quantomeno che la faccenda ha una spiegazione razionale – se ne deduce, di conseguenza, che tutta quella sventura nei boschi non era dovuta a qualche cupa maledizione irlandese, ma semplicemente alla totale assenza di senso dell’orientamento di due pirla che sono rimasti a girare in tondo per una notte intera come i pirla che sono. Tant’è che a quel punto l’ultimissima scena, che forse voleva aggiungere un ultimo tocco di abominio inspiegato e disturbante, risulta solo una mezza baggianata.
Che poi, cari amici turisti, diciamocelo: il road trip nell’isola di smeraldo fatevelo pure, ma se siete talmente balenghi da precipitare nell’incubo non appena il tom tom perde il segnale, un po’ ve lo meritate, di trovare l’omicida psicopatico.
La morale del film è: se prenoti un albergo controlla sempre le recensioni su Booking.
Sigla finale!
httpv://www.youtube.com/watch?v=fvV5mryQF1I
DVD-quote suggerita:
«It’s a long way to Tipperary»
(Luotto Preminger, i400calci.com)
E per la locandina han avuto la stessa pensata della Bonelli per “Stria”
http://www.afnews.info/wordpress/wp-content/uploads/2011/06/Stria2011.jpg
premesso che se recensissi il backstage di porta a porta, lo guarderei subito dopo preso benissimo, il fatto che (riprendo i tuoi SPOILER) non ci siano spiegoni, almeno per buona parte del film, è l’elemento che mi ha convinto.
Per quanto mi riguarda lo spiegone può anche essere ben fatto, ma proprio non lo sopporto.
sulle tue curiosità irlandesi:
‘sta storia della guinness ha distrutto grandi amicizie. Non mi piace la guinness (sì, sono uno stronzo), cose me ne fotte che quella irlandese sia meglio! capisco ancora se mi piacesse, ma mi fa cagare, perchè dovrei volere l’originale?
fino al tuo numero 7 su sampei, avevo la stessa espressione che avevo dopo il finale della penultima puntata di games of thrones, tipo “no…davero??”
attack the block è un filmone, l’avevan passato al tff.
p.s.
avevo la bava per l’aneddotto catartico e ci son rimasto malerrimo quando non l’hai messo. mi sono un po’ sentito come un cane quando fingi di lanciare la palla
meno male c’era la curiosità numero 7 sennò stanotte non dormivo.
c’è la probabilità di trovarlo in itagliano sto film?
come pure attack the block?
e se sì, con che titoli?
@umbem: qua la mano, mio sodale! Anche a me la Guinness non pare tutta questa manna dal cielo. L’ho provata a Cork e a Londra ed era uguale, ovvero varie spanne sotto qualsiasi dark ale inglese.
@blueberry: questo in italiano ancora no.
Attack the block invece lo trovi in DVD anche su amazon.it, con l’originale titolo “Attack the block – Invasione aliena”
@blueberry
okkio che attack the block DEVE essere visto in lingua originale con sottotitoli in inglese e mi sa che l’ed italiana ha solo i sub in ita
Ratings!
Anche a me sto filmetto è piaciuto molto. Soprattutto la prima parte, con quegli accorgimenti di montaggio e la sospensione tra reale e irrazionale che dice bene il Luotto, mi ha messo una paura che gli horror mainstream coi mostri e i fantasmi che saltano fuori subito non suggeriscono manco di striscio. Per molti versi mi ha ricordato il buon vecchio Blair Witch Project, pochi soldi ma tanta bravura, che tra l’altro ho rivisto di recente e tiene ancora botta alla grande. Peccato che verso la fine svacchi un po’, comunque nel complesso roba buona davvero.
ho appena telefonato al 1337 x farmi mettere da parte una copia
ritirata la copia
che dire…concordo in gran parte con la rece.
tanti pregi in termini di tecnica e riuscita la prima parte.
ma con l’ingresso del 3° uomo tutto un po si sgonfia e delude, anche per la caratterizzazione tra il banale e l’anonimo del villain, con un unico picco all’arrivo della pisqua all’hotel che rialza per un momento il livello
al contrario di luotto mi ha infastidito il “dico/non dico” sull’aspetto paranormale perchè mè parsa una paraculata pigra alla lost per far chiudere un occhio su una serie di MACCOSA (tipo come e quando prende i vestiti della pisqua, come e quando mette il pisquo nel portabagagli, come e perchè il satellite riparte e la pisqua arriva all’hotel).
cmq quando alla fine del film rimani li sperando che ci sia la scena dopo i titoli vuol dire che qualcosa non ha funzionato.
ah…se ci fate caso quel pazzo del regista spoilera tutto il film nei titoli di testa dove lascia anche intendere che alla fine la pisqua su cappotta quando investe il farabutto.
meh Luotto, il film non l’ho visto e la rece quindi non posso approvarla o no, ma la metacomunicazione iniziale ha aperto nuovi orizzonti per la Curse of Miike.
Lassa perde.
@magari
spiegati