A voi LE BASI, la rubrica in cui stabiliamo e blocchiamo le fondamenta del Cinema da Combattimento in modo da essere tutti in pari. In questo primo, imprescindibile round fisso settimanale percorriamo la filmografia di una delle colonne portanti del nostro credo, il glorioso John Milius, attraverso le opere più importanti della sua carriera, sia come regista che come sceneggiatore. Buona lezione.
Salve a tutti, bentornati a LE BASI. Come per le prime due puntate anche questa volta sarò io a parlarvi del film di oggi, ovvero Jeremiah Johnson, tradotto in italiano come “Corvo Rosso non avrai il mio scalpo!”, col punto esclamativo. Sigla!
httpv://www.youtube.com/watch?v=7FY7RWJAtJQ
Precedentemente avevamo visto gli esordi di Milius con Evel Knievel e abbiamo lungamente analizzato il suo lavoro in due riprese sull’iconico Dirty Harry: stavolta prendiamo in esame il film che sbattè il suo talento in faccia a tutti demolendo le certezze anche di chi lo vedeva come uno sceneggiatore di genere nel senso sminuente del termine. Quelli per cui insomma, come già abbiamo appuntato nella scorsa parte, Dirty Harry era un film violento, malato, pericolosamente reazionario e scritto da qualcuno altrettanto repellente.
Dopo Il caso Scorpio è tuo, L’uomo dai sette capestri (di cui parleremo nel – SPOILER – prossimo numero) ma prima del secondo episodio di Callaghan, la Warner Bros chiede a John Milius di lavorare a un soggetto western: Jeremiah Johnson, ispirato liberamente alla vita del leggendario trapper delle montagne rocciose John “Mangiafegati” Johnson.
Quella di Johnson è una figura della quale si sa pochissimo di comprovato, di cui le tante storie che ne costituiscono la leggenda sono quindi perlopiù frutto di tradizione orale e folklore. Un personaggio probabilmente più inventato che reale ma cazzo, che personaggio! Johnson avrebbe braccato uno ad uno e ammazzato, come vendetta per l’uccisione della sua compagna da parte degli indiani, ben trecento guerrieri indiani, e di aver asportato e mangiato a molti di essi il fegato come trofeo, guadagnandosi il suo cannibalico soprannome. Immagino Milius che si frega le mani, col suo sigaro in bocca, pazzo di gioia nel ricevere una commissione del genere. Il film per la Warner avrebbe dovuto essere diretto da Sam Peckinpah e interpretato da Clint Eastwood… E qui le mani me le frego pure io ad immaginare una triangolazione del genere.
La triangolazione però non avvenne: Peckinpah, noto per il suo carattere non proprio facile, litigò infatti con Eastwood in pre-produzione e il progetto saltò. Milius nel frattempo, sotto richiesta della produzione non soddisfatta dai dialoghi della prima stesura fatta assieme ad Edward Anhalt, riscrisse il soggetto una quantità di volte impensabile, e dai cinquemila dollari di compenso iniziali il suo cachet arrivò a quota ottantamila dollari. I dialoghi tornano sempre centrali quando parliamo di Milius, ad oggi sono preziosi e hanno fatto storia e scuola, ma all’epoca erano senza prezzo e completamente fuori scala: Milius scriveva su un altro pianeta, per una nuova generazione, gli studios lo avevano capito e pagavano quello che c’era da pagare.
Così il progetto, con un budget più esiguo, passa a Sydney Pollack che per intepretarlo chiama il suo amico Robert Redford con cui già aveva formato un sodalizio con il film tratto da Tennessee Williams Questa ragazza è di tutti nel 1966 e con il quale girerà in tutto sette film tra cui Come Eravamo, Il Cavaliere Elettrico, La mia Africa ma soprattutto I tre giorni del Condor, il film simbolo della paranoia nell’ era politica nixoniana degli anni settanta ed uno dei più grandi thriller di sempre. Assieme fonderanno assieme anche il Sundance Institute.
Un’escursione di tono consistente come quella dalla coppia Peckinpah-Eastwood a quella Pollack-Redford era difficile da azzardare, e immagino che per il nostro John la prima situazione sarebbe stata ideale per il film che aveva in mente. Durava parecchio di più la sceneggiatura uncut di Jeremiah Johnson: Milius dice che di quello che aveva scritto è stato girato circa la metà, ed era molto più violenta. Del resto il materiale di origine per Milius, il libro Liver Eater e il romanzo storico di Vardis Fisher Mountain Man: A Novel of Male and Female in the Early American West non erano di certo una passeggiata per prati fioriti, tutt’altro. Ma per quanto Pollack avesse già girato nel 1968 Joe Bass l’implacabile con Burt Lancaster, un western piuttosto crudo e anche questo incentrato su di una sanguinosa vendetta contro dei cacciatori di scalpi Comanche da parte del protagonista, Jeremiah Johnson era un pelo oltre nelle sue intenzioni, sia nel suo crudo realismo senza morale o lieto fine che nella violenza mostrata e raccontata. E se tanto mi dà tanto, azzardo un’ipotesi, il Jeremiah Johnson della stesura uncut di Milius era più simile alla figura del trapper John “Mangiafegati” Johnson originario: un uomo delle montagne, un ubriacone, un uomo rude e selvaggio divenuto per odio un predatore temibile come le bestie a cui dava la caccia. Pollack racconta che il personaggio originario era una specie di Paul Bunyan ma feroce, quindi privo di quel romanticismo seppure rude che invece apportò Redford al personaggio.
Tagliando quindi un po’ di crudezza e facendo molta leva sul lirismo delle immagini, Pollack dirige il film per sua stessa ammissione più visuale della sua carriera, e per farlo lo gira in location tanto belle quanto dure ed impervie. Per cercare tutti i posti necessari al succitato lirismo furono guidate ventiseimila miglia durante i sopralluoghi, tutti nello Utah montuoso più impervio. Produttivamente il film fu massacrante, ma anche fisicamente e finanziariamente, al punto che Pollack e Redford anticiparono molti soldi di tasca loro per sopperire alle carenze di budget di un film che per motivi tecnici si protrasse più del previsto, con la troupe ormai in balia della neve alta e intrappolata con i cinemobile sulle montagne. Venne tagliato anche molto dialogo, lasciando Redford in silenzio spesso e volentieri perché sempre nelle parole di Pollack, e con buona pace per i dialoghi stellari di Milius, la caratteristica più affascinante di Redford come attore sono i suoi imperscrutabili silenzi, considerazione che deve essere stata presa alla lettera per il recente All is Lost.
Jeremiah Johnson racconta di un reduce della guerra messicano-statunitense che decide di smetterla con la vita militare e di rifarsi una vita come cacciatore sulle montagne del nord-ovest. Inizialmente in preda alle difficoltà di una vita così difficile da imparare ad affrontare, riesce poi a far fronte alle avversità grazie anche all’amicizia con il veterano ed anziano trapper locale Chris “Artiglio d’Orso” Lapp che lo prende con sé e gli insegna tutto quello che sa. Dopo una prima parte di formazione man vs nature nella vena di Jack London inizia la parte tragica della storia, ovvero la difficile convinvenza dei pionieri con le tribù di nativi dell’area, in questo caso principalmente i Piedi Neri ma anche i Crow e i Teste Piatte. Se il trattamento di Pollack da una parte può far pensare che ridimensioni troppo l’impronta di Milius, dall’altra le situazioni, gli eventi, i personaggi sono assolutamente suoi così come è suo quel particolare bilanciamento tra avventura e cronaca storica.
Da appassionato di storia, quella bellica di ogni epoca e quella americana soprattutto, Milius ci mostra uno spaccato realistico della dura vita del West più impervio, lontano dall’epica stilizzata del southwest, della cavalleria di Ford e dei pistoleri dello spaghetti western, dal Texas dei rancheros e dei rangers. Racconta la vita delle montagne fatta di pericoli incombenti, della lotta costante contro gli elementi, della bellezza e assieme della pericolosità della natura, e soprattutto ci mostra con un ulteriore realismo i difficili rapporti tra le popolazioni native ed i nuovi abitanti del continente.
E qui c’è da aprire un piccolo spiegone approfondimento sulla situazione storica tra indigeni nordamericani e bianchi e poi in generale sulla rappresentazione al cinema di questa.
Il rapporto tra le popolazioni native e l’uomo bianco non è stato una guerra costante su due fronti schierati uno contro l’altro per più di due secoli. Senza fare una dispensa di storia possiamo riassumere che è stata una coabitazione sì movimentata, spesso violenta e che è finita male, ma che nel corso dei secoli ha visto anche convivenze, scambi, connivenze ed alleanze e lunghi periodi di pace. Molto spesso le intenzioni iniziali da parte dei coloni furono anche pacifiche, ma spesso i rapporti sono degenerati per banali incomprensioni date dai più svariati fattori come ad esempio l’incomunicabilità linguistica, la non comprensione di comportamenti, tradizioni ed esigenze reciproci, insomma fraintendimenti molto spesso da ambo le parti.
Il mito però che vuole il cinema western come rappresentante degli indiani esclusivamente in veste di cattivi senza volto da massacrare ad uso e consumo dell’eroe di turno per quarant’anni di pellicole, fino cioè al western revisionista degli anni ’70, è abbastanza una forzatura se non una falsità. Se è vero che a volte questa era la visione del western degli anni trenta e quaranta, abbastanza comprensibile se contestualizzata sia in un’epoca completamente diversa da oggi nella percezione comune di alcune tematiche e sia se si tiene conto dell’esigenza di narrare una storia manicheamente epica in cui ci sono solo buoni e cattivi come in tanto cinema di genere del periodo, è vero anche che via via dagli anni cinquanta in poi le cose cambiano gradualmente ma nettamente. L’ambivalenza dei rapporti con i nativi – avversari ma anche alleati a seconda del periodo – del luogo e della tribù è sempre più presente nel western così come è sempre più presentata come negativa l’ostilità razzista di alcuni bianchi verso gli indiani.
John Ford stesso, parlando del suo ultimo western, Il grande sentiero del 1964 in cui gli indiani sono protagonisti di una giusta rivolta, disse:
“Lo volevo fare da molto tempo. Ho ucciso sullo schermo più indiani di Custer, Beecher e Chivington messi assieme. Tutti vogliono sapere degli indiani, ci sono due facce di ogni medaglia e volevo raccontare questa perché ammettiamolo: li abbiamo trattati male, è una macchia sul nostro passato”
Questo per Ford era il culmine di un cammino palesemente intrapreso già dai tempi di Sentieri Selvaggi nel 1956 e addirittura con Fort Apache già nel 1948, e se prendiamo dal mucchio due western meno conosciuti come Il cacciatore di indiani del 1955, o ancora di più Far West del 1964 la cosa è assolutamente non solo evidente ma neppure marginale: è al centro del film.
Quindi va corretta l’idea diffusa che il “western revisionista”, etichetta a cui il film in esame oggi venne da subito collegato, sia un fenomeno della fine degli anni sessanta e poi dei settanta: diciamo che in quegli anni c’è stato un ulteriore salto di qualità nell’approfondimento di certe tematiche e personaggi, sia per quanto riguarda i nativi che per quanto riguarda gli altri, ma si approfondiscono cose che si erano già viste spesso per molti anni prima e Corvo Rosso non avrai il mio scalpo! è esattamente in questa orbita.
L’interazione di Johnson con gli indiani è varia, il suo pensiero verso di loro non è né unico né pregiudiziale ma frutto delle circostanze. Milius conosce molto bene sia il genere che la storia dietro il genere, sa e rappresenta in maniera più matura quell’ambivalenza nemici/alleati, fa passare la relazione tra il trapper e le tribù cricostanti attraverso diversi eventi e più sfumature in cui a volte è vittima e a volte colpevole. La sua vendetta per il terribile torto subito infatti, l’uccisione della sua sposa indiana da parte dei Crow, è a sua volta frutto di una vendetta da parte di questi perché lui ha profanato a sua insaputa un loro terreno sacro, facendoci transitare un contingente militare a cui faceva da guida. La frontiera americana non è stata un luogo né tenero né a compartimenti stagni, nella storia così come al cinema, e in ambo i casi un errore, un fraintendimento di cui sopra, poteva costarti la vita o scatenare una guerra.
Un alternarsi di pace e guerra senza reale soluzione di continuità, che attraversa l’800 della frontiera così come la vita di Jeremiah Johnson vissuta con risoluzione, entusiasmo, amore, rabbia, violenza e i tanti silenzi di chi è da solo. Silenzi che parlano però la lingua epica di Milius quanto i suoi dialoghi: i minuti di silenzio con cui si apre il film con l’arrivo di Jeremiah nella wilderness che prima lo accoglie ubertosa per le valli e poi lo sferza con la neve delle montagne, e il silenzio che chiude il film nel muto saluto di rispetto reciproco tra lui e Mano che Segna Rosso, il suo rivale Crow. Un saluto che forse è di pace perché dopo tanto sangue gli uomini di ambo le parti capiscono che la convivenza anche se sofferta è l’unico modo per sopravvivere nella natura selvaggia.
Da appassionato di western fin da bambino Jeremiah Johnson mi colpì per l’estrema coerenza delle sue situazioni e dei suoi personaggi, così virili ma senza alcun machismo, uomini veri nell’accezione migliore del termine. Ed ovviamente per i luoghi, le immagini. È un film pieno, soddisfacente, ricco, tragico e romantico, con un team creativo in splendida forma e con una resa epica che non passa per alcuna retorica: è l’epica della vita, della natura, degli Uomini contro il destino. Corvo Rosso non avrai il mio scalpo! parla così accorato e sincero della vita e degli uomini che entrò nel cuore a chiunque: agli hippie, ai militari, al pubblico, ai critici, ai giovani e ai vecchi, e arrivò a Cannes divenendo il primo film western ad essere ammesso in concorso. La rivoluzione del giovane Milius continuava inesorabile.
Il nostro assesta quindi un nuovo colpo a segno e a questo punto della sua vita, a ventisei anni, ha già scritto tre classici del cinema della sua generazione e ha regalato a tre dei più importanti attori di Hollywood (Eastwood, Redford e Newman) alcuni dei loro ruoli più celebri.
Mica male, ma è solo l’inizio di una serie positiva micidiale che durerà ancora dieci anni e che vedremo via via nelle prossime puntate.
DVD-Quote suggerita:
“Definitivo ed ispirante in tutto: dal cinema western al campeggio”
Darth Von Trier, i400Calci.com
Che meraviglia
Questa rassegna è stupenda ragazzi, continuate così.
Mi sento in obbligo di dire che Redford in questo film è servito da ispirazione per uno dei fumetti più belli che abbia mai letto: Ken Parker
Oi che bella lettura: grazie Darth.
Miglior rubrica tipo per sempre…e devono ancora arrivare diversi pezzi da 90!
darth questa rubrica mi fa volà, complimenti davvero
Al solito grandissimo darth, dopo essermi rivisto il primo dirty harry(che ricordavo molto peggio, invece è un grande film) corro a recuperare queesto.
solo un appunto:” I tre giorni del Condor, il film simbolo della paranoia nell’ era politica nixoniana degli anni settanta “. Pakula e Gordon willis avrebbero qualcosa da dire.
roba forte questa rassegna, mi piace! complimenti!
pochi film mi hanno colpito -come questo- oltre che per trama e personaggi per i luoghi in cui sono stati girati. altro che green screen! ci sono scene in cui si può percepire la fatica, la tenacia e la tecnica anche di chi sta dietro alla macchina da presa! (“troupe ormai in balia della neve alta e intrappolata con i cinemobile sulle montagne”)
Bella rece e bellissimo film.
Non ho davvero parole per descrivere il mio apprezzamento per questa monografia.
un altro pezzo di altissimo livello, come i cinque altissimi che ti meriti.
Grande, e a me il western solitamente non piace, salvo rari casi.
Capolavorone immane, naturalmente.
Molto giusto il discorso sulla rappresentazione degli indiani nel cinema.
Penso che la novità vera del western revisionista fu la rappresentazione dei bianchi.
“Corvo rosso ecc.” è diverso dai film di Ford non tanto per come mostra gli indiani, ma per come, ad esempio, mostra dei coloni cenciosi e abbruttiti fino all’ebetismo, cosa che un Ford non avrebbe mai osato fare.
È normale e giusto che in una rubrica del genere esaltiate soprattutto il ruolo di Milius… però cazzo, rendiamoci conto che a mettere in pellicola le sue sceneggiature era gente come Siegel, Huston, Pollack, Coppola ed è stato sfiorato pure un Peckinpah. E poi arriverà Milius stesso.
Cioè, ma ce lo immaginiamo le sceneggiature di un Milius odierno a chi finirebbero in mano di questi tempi?
Mi viene la depressione cinefila solo a pensarci
Grazie grazie grazie, questa rassegna è la cosa più bella del 2014. E adesso scusate ma torno a studiare che devo mettermi in pari con Le Basi.
Sapete per caso se il titolista italiano è ancora in prigione per crimini contro l’umanità? (!)
@ Benve
https://www.youtube.com/watch?v=m7hDHQKlBzo
In questo breve video Enzo G. Castellari spiega il complesso criterio (suo ma in realtà adottato da tutti) col quale all’epoca si generavano i titoli italiani.
@ tutti
Grazie ancora.
Me cojoni!
Mi unisco finalmente ai complimenti per la rubrica che è una cosa di cui davvero sentivo il bisogno vista la mia scarsa conoscenza di quel cinema.
Complimenti anche alla recensione che, come spesso capita con quelle di Darth, riesce a abbracciare anche un contesto che per me è difficilmente recuperabile. Non parlo solo di contenuti, che comunque è sempre bello avere a portata di mano, ma dei colori vividi del passato che ogni volta dipingono queste recensioni.
Il film è un capolavoro. Pochi cazzi.
SPOILER
SPOILER
Tutta la parte che affronta la vita di famiglia di Johnson è da applausi per come riesce a mostrare la dolcezza di un uomo rude, sicuramente duro, ma non cattivo o inaridito nel cuore.
Da bambino fui sconvolto dal tizio che dice candidamente di avere scambiato la donna con cui viveva da dieci anni per un fucile, e ancora oggi non mi lascia del tutto impassibile, soprattutto perché viene da un personaggio assolutamente positivo, simpatico che insegna in maniera disinteressata a Jeremiah come vivere in quell’ambiente ostile a più livelli.
Poi l’arrivo della civiltà sfascia tutto. La famiglia, compostasi in maniera assolutamente naturale come pura convivenza imbevuta di affectio maritalis (come direbbero gli antichi romani), viene separata in nome di un dovere presentato da soldati e clero. Ma ovviamente non si possono seguire due codici tanto diversi.
In questo senso io non credo che Jeremiah non sappia di stare violando una legge sacra ai padroni della terra in cui vive. Ovviamente non pensa di firmare la condanna a morte di moglie e figlio, ma fra legge (stavolta indiana, ma sempre legge) e solidarietà umana sceglie ancora una volta la solidarietà. È un’anarchico fatto e finito anche se non ha mai letto una pagina di Bakunin.
Qui il film ha un’altra sterzata, le conseguenze sono terribili, anche perché alla perdita dolorosissima della famiglia si aggiunge il fatto che avendo scatenato la vendetta contro i corvi lui lì non ci può più stare. E quelle montagne sono l’unico posto in cui può vivere uno come lui, andare via non è mai una scelta presa in seria considerazione.
In questo senso l’ultima scena è importantissima. Comunque è una chiusura ottimista di una vicenda dove lui ha perso tutto guadagnando però la consapevolezza di se. Voleva cercare se stesso e ora che l’ha trovato, anche attraverso l’ordalia del sangue e della vendetta può continuare a stare lì. In pace.
Immenso.
L’uomo dai sette capestri!!!!!!! UNo dei film più belli e folli che abbia mai vistoin vita mia! Lo adoro…
Corvo rosso non avrai il mio scalpo! e’ un titolo fighissimo.
@regaz della reda
Diverso tempo fa era uscita l’idea di un libro di recensioni…adesso non ricordo se il contesto fosse serio o meno ma comunque vi passa ancora per la capa l’idea?
Magnifico. Attendo con ansia L’uomo dai sette capestri uno dei film che mi hanno formato di più.
Grazie per fornirci Le Basi, avevo proprio bisogno di studiare. Mi accodo a tutti i complimenti fatti.
Cmq “Corvo Rosso non avrai il mio scalpo!” è tipo uno dei titoli più arroganti e fighi della storia :)
voto anche io per uno dei momenti piu` alti dei 400 calci
certo che il trittico Peckimpah-Eastwood-Milius, una stramadonna di trittico
Applauso e selva di pugni sui cammelli per Darth e per questa rubrica.Gia mi pregusto le puntate successive ma per ora mi godo Corvo Rosso,che rimane uno dei piu’ grandi western di sempre.
Al solito ottimo articolo di Darth! Finito Milius si inizia con Carpenter?
qui: http://www.multiupload.nl/MQDJZYBR4D la colonna sonora del film. Enjoy!
che film, che film. Ma ventisei anni poi e già quei tre script. E quei posti? Ma che ansia mamma mia
Mi inchino davanti al Professor Darth, che parlando di Cinema ci illumina anche sulla dura vita della Frontiera (che non è stata solo terra arida, caldo e praterie…) e circa gli uomini che l’hanno conquistata tra lacrime e sangue! Un film che mi ha subito impressionato alla prima visione da ragazzino, per molti comuni motivi citati nella rece o in altri commenti.
So, go ahead, Darth, make our days! ;)
Ricordo che lo vidi (30 years ago) nel mio liceo durante una serie di proiezioni organizzate non so se dalla scuola o dal comitato scolastico e ricordo che si partì belli ridanciani come al solito ma che quasi subito ci ritrovammo tutti sulle montagne a combattere il freddo e non volò più una mosca fino alla fine.
Western che, a partire dal titolo italico XD, mi colpì sin da ragazzino! L’ ho rivisto di recente e devo ammettere che non lo ricordavo così crudo in certi punti!
Comunque proprio bello sia narrativamente che visivamente! Paesaggi non da cartolina, ma molto suggestivi che racchiudono l’ essenza del film!
Bella la citazione a “Il massacro di forte apache” un paio di anni prima de “L’ amante indiana”.
“Questa è per le nostre lettrici, so che siete lì.”
:lol:
“Il film per la Warner avrebbe dovuto essere diretto da Sam Peckinpah e interpretato da Clint Eastwood”
Ah, però! Non sapevo che Pollack e Redford avessero girato ben 7 film assieme!
Il film mi ha ricordato “Balla con i lupi”, in molti passaggi…La frontiera selvaggia, la guerra da cui preferisce isolarsi il protagonista anche a costo di una solitudine terribile, smorzata dai protagonisti più improbabili: gli uomini e le donne, in questo film cercano di comprendersi in maniera meno romantica che in Cosner (dichiaramente a favore dei Nativi e della loro splendida cultura, spazzata via nel giro di poche generazioni di bianchi padroni, che purtroppo è andata quasi perduta e umiliata). Però in entrambi i film il protagonista è pieno di tenerezza oltre che lealtà: la moglie e il figlio muto, non se li sceglie, ma li accetta e li ama alla fine come una vera famiglia….Kevin Cosner sposta nel lupo addomesticato, e poi ucciso per burla dai soldati, il sentimento di vendetta che scoppia alla fine del film, questa volta verso i bianchi
Quindi anche Jeremiah Johnson ha un difetto, che il cinema doveva fare un film con Peckinpah e Eastwood insieme, pensare che ora la coppia Pollack e Redford ora mi sembra che siano quasi degli impostori.