Anno 1992
Ci sono gli Europei, li vince la Danimarca. Oltre a questo, arriva al cinema un film che fa paura a tutti. Si intitola Il tagliaerbe, il che due anni dopo l’uscita di Edward mani di forbice mi porta a pensare che tra le due pellicole ci sia un collegamento, e che gli attrezzi da giardinaggio siano l’entità più letale in circolazione sul pianeta Terra. Quando vedo – controvoglia, non mi piaceva l’idea di spaventarmi – il film rimango stranito e lo dimentico subito: i rimandi alla cultura psichedelica, alle vasche di deprivazione sensoriale, alla pericolosa deriva del razionalismo che sfocia nello scientismo e infine nel soprannaturale mi passano sopra come acqua su una buccia di mango, la bellezza sbilenca e sbagliata della CGI mi fa rimpiangere il fatto che sul computer di casa posso giocare a roba più rigorosa e visivamente digeribile come Indiana Jones and the Fate of Atlantis, la sterzata horror che spezza il film mi lascia disorientato. Mi dimentico presto del film, almeno fino a quando, qualche anno dopo, leggo Neuromante.
Sempre anno 1992, ma anche un po’ 2014
La storia della lavorazione di Il tagliaerbe è una da trivia di IMDb, di quelle che se la racconti fanno sorridere tutti e aiutano a fare bella figura alle feste. Unita al fatto che ho rivisto il film per la prima volta l’altro giorno, praticamente a mente sgombra, dà vita a un pastrocchio di riferimenti e incomprensioni che vi andrò subito a illustrare. Va così: nel 1975, Stephen King scrive un racconto intitolato Il tagliaerbe, che nel 1978 finisce a far parte di A volte ritornano, sua raccolta talmente nota che il titolo stesso è diventato proverbiale. Nel racconto si parla di (vado a memoria del pesce rosso – extra feature!) un tizio che chiama un altro tizio a tagliargli l’erba, poi si addormenta e quando si risveglia scopre che il tagliaerbe (l’uomo) sta nudo nel prato a fare cose, mentre il tagliaerbe (macchina) lo uccide. O qualcosa di simile. Comunque, questo spunto – che non è tra i migliori di King, anzi – viene colto al volo da New Line Cinema, che decide di comprare i diritti per il titolo e di appiccicarci sopra una sceneggiatura che non c’entra nulla, intitolata Cyber God. Per questioni di marketing, la produzione chiede a King i diritti per utilizzare il suo nome sulla locandina – una cosa tipo
STEPHEN KING’S
THE LAWNMOWER MAN
NOW WITH NO LINKS AT ALL TO THE SHORT STORY OF THE SAME TITLE!
Il Re, che al tempo aveva ancora una dignità, rifiuta, nonostante gli sforzi della produzione di ingraziarselo (poi ve lo spiego).
Abbiamo quindi un racconto che si chiama Il tagliaerbe e un film che si chiama Il tagliaerbe, e il collegamento tra i due è la presenza di un tagliaerbe, il che rende Hammerheart dei Bathory l’ideale colonna sonora del film. Ancora più bizzarro è notare come il film faccia di tutto per confondere gli spettatori: dopo un’introduzione a base di SCIENZA incontriamo il protagonista della vicenda, Jobe, un giovane affascinante e assai tonto Jeff Fahey, che interpreta un tagliaerbe (l’uomo) che guida un tagliaerbe (la macchina). «Incredibile, sembra un film tratto da Stephen King!» esclamo tra me e me, che tra l’altro ci sono pochissimi centimetri, dopo questi primi minuti di visione: l’oggetto inanimato protagonista della nostra quotidianità che prende vita e diventa malevolo, il sempliciotto e lo scienziato che si alleano, l’ambientazione provinciale e innocua.
Ovviamente avevo ragione ma non nel modo in cui pensavo. Dopo aver fatto pausa e scoperto l’intrigo, ricomincio la visione e scopro una mezza bomba.
Anno 2014 e basta
Ho, per l’appunto, rivisto Il tagliaerbe, un film che, con un interessante ritardo di una decina d’anni, prova a seguire le orme di capolavori di fantapseudoscienza tipo Stati di allucinazione. Non ho idea del perché sia considerato un film che fa paura: Il tagliaerbe esplora gli studi del dottor Angelo nell’ambito della realtà virtuale, del miglioramento dell’essere umano in seguito all’assunzione di droghe nootropiche e, in ultima analisi, della possibilità di trascendere i confini fisici del nostro corpo per aprirci a una nuova dimensione, quella informatica – dimensione che si ibrida con il reale fino a sostituirlo, o quantomeno a influenzarlo.
È un pastrocchio un po’ ingenuo, contenutisticamente parlando, ma curiosamente rigoroso nel suo svolgimento: in barba all’azione a tutti i costi e ai ritmi frenetici, gran parte della pellicola è un’esplorazione della discesa agli inferi del contadinotto Jobe, quello scemo che tutti sfottono e che, bombardato di nozioni in stile Matrix, sviluppa una coscienza superiore e – e qui ci si rifà a Ken Russell – scopre negli abissi dell’inconscio la sede di un potere più grande dell’essere umano stesso. O qualcosa di simile. Diciamo che a forza di viaggiare nella realtà virtuale gli vengono i superpoteri e diventa capace di spostare le cose con il pensiero e atomizzare i cattivi. È un salto ontologico quasi insostenibile se non fosse presentato in maniera così ingenua (= magia), ma seguire passo passo il protocollo di ricerca del dottor Angelo e il riflesso che i suoi studi hanno sulla vita quotidiana dello scemo aiuta ad accettarlo.
Meno accettabile, ma per qualche motivo non incidente sulla qualità finale del prodotto, è il fatto che la realtà virtuale sia, di fatto, una scusa per far diventare Jobe un supereroe, e per mostrare i muscoli della neonata (?) CGI: Brett Leonard, regista che per il grande pubblico nasce e muore con questo film, è uno che ha sempre visto nelle nuove tecnologie una miniera d’oro di idee e denaro, oltre che le protagoniste ideali per una cautionary tale vagamente conservatrice e fuori fuoco. Fuori fuoco perché, se è vero che le ricerche di Angelo sono facilitate dall’immersione del soggetto in una realtà simulata al computer, è anche vero che il motore della mutazione sono dei banalissimi farmaci – e quindi con il senno di poi ci si chiede a cosa servisse far fluttuare Jeff Fahey in uno spazio colorato e caleidoscopico, o fargli giocare una versione in prima persona di R-Type in compagnia di un bambino meno petulante della media dei bambini dei film.
Il fatto che la CGI usata per rendere queste scene faccia sembrare Joe Razz un gioco per PS4 non aiuta, ed è un problema irrisolvibile, per quanto superabilissimo applicando un po’ di senso storico a un film nato per essere all’avanguardia ma dall’avanguardia stessa sorpassato a destra nel giro di pochi mesi.
C’è persino dell’amor carnale, nella tormentata vita della nostra cavia da giardino, con una bionda tutta sesso, e ci sono i bulli che lo sfottono e un genitore cattivo che picchia il bambino suo amico (ciao Stephen!): è per colpa di queste cose che il film, per una buona ventina di minuti, svacca, per poi tornare in carreggiata. Il punto è che Jobe, mentre scopre i propri poteri, diventa anche una persona meglio, più intelligente e più affascinante e più sicura di sé, e l’apertura delle porte della percezione lo aiuta non solo a formulare un piano d’azione (= conquistare il mondo grazie a Internet. O qualcosa di simile), ma anche a identificare le storture che gli hanno rovinato la vita fino a quel momento. E così, nel tentativo forse di ingraziarsi il Re con un paio di scene ad hoc, Il tagliaerbe si fa film dell’orrore per il tempo necessario a Jobe a massacrare tutti coloro che l’hanno trattato male. Il mostro informatico con afflati totalitari perde un quarto d’ora della sua vita a perpetrare le sue piccole vendette personali: non che siano sequenze girate male, ma oscurano i temi della ricerca, del progresso, del superare il limite della coscienza, dello stare attenti a tutto ciò che è innovazione perché non può che portare distruzione, in favore di una strizzata d’occhio a un uomo che con Il tagliaerbe non voleva avere nulla a che fare.
Sbrigate le formalità, il film ritorna in carreggiata con l’ingresso in campo di un altro giocatore irrinunciabile quando si parla di scienza e complottismo: il governo, che com’è giusto che sia vuole sfruttare Jobe per i suoi biechi scopi. A capo di tutto c’è Dean Norris nella parte di Hank Schrader un po’ più giovane: è un piacere. A sconfiggerli ci pensa Jobe, con l’utilizzo di alcune enormi api, prima di un finale capace ancora oggi che ne abbiamo visti milioni di far scorrere, questa volta sì, un brivido lungo la schiena.
Fa specie, comunque, sapere che Brett Leonard – il cui film seguente sarà Virtuosity, simpatico pasticcio a base di serial killer e nanotecnologie –, uno che ha dedicato la sua carriera a esperimenti visivi e bizzarre clip dei colori e delle immagini strane, abbia messo la firma su quella che è, a conti fatti, una pellicola profondamente conservatrice come il migliore degli horror sci-fi: la nebulosità e vaghezza delle promesse di questa misteriosa “realtà virtuale” e dei benefici effetti che potrebbe avere sull’essere umano è presto dimenticata, sostituita dalla concretezza dei cazzi amari nei quali si caccia l’umanità per aver osato sfruculiare là dove nessuno aveva mai sfruculiato prima.
(il che è, un po’ più in generale, il grosso problema della fantascienza al cinema, ma il discorso è troppo ampio per affrontarlo qui)
Resta però un film interessante, certo in ritardo di oltre dieci anni su quelle stesse intuizioni avute da William Gibson, ma parliamo comunque di una pellicola che ha incassato il triplo del suo budget e viene ricordata con affetto da tutti i figli degli anni Novanta, quelli stessi che stanno aspettando che esca il film su Neuromante per poterne parlare – e d’altra parte lo stesso Stati di allucinazione, una volta usciti dall’ambito cinematografico, era un film tematicamente vecchio reso interessante dalla trasposizione visiva di idee risalenti agli anni Cinquanta. Persino i frammenti in CGI del Tagliaerbe conservano un loro fascino grezzo e selvatico; almeno finché rimangono confinati all’ambito virtuale sono uno sguardo affascinante a quel che vent’anni fa si riteneva essere lo stato dell’arte, e strizzando gli occhi si può quasi pensare che si tratti di sequenze volutamente retrò, o quantomeno coerenti. La regia è solida, il ritmo sorprendentemente alto per un film che si svolge in gran parte in un laboratorio, Brosnan non è irritante come al solito e il carisma di Fahey cresce di pari passo con quello del suo personaggio. Non male, per essere un film nato intrinsecamente vecchio.
DVD-quote suggerita:
«Ti raserò l’aiuola»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
Minchia Joe Razz, devo aver distrutto dei pulsanti del telefono provando a giocarci.
Il film dovrei rivederlo, ne ho ricordi vaghi, avendolo visto forse solo al primo passaggio televisivo e poi basta.
Bel pezzo, ma il tagliaerba del vicino di Quorthon io sapevo fosse in “Blood on Ice”, non in “Hammerheart”.
Di Brett Leonard, oltre a Virtuosity, io ricordo anche Man-thing, che mi era piaciuto nonostante avesse fatto schifo quasi a tutti…
Un film che io e i miei amici consideriamo un mezzo cult. La fine ti lascia davvero un brivido lungo la schiena
@Q: sul sito della BBC troviamo
io l’ho visto già grandicello e restai di stucco più di un barbatrucco scambiando il tagliatore di erba per Jeffrey lee pearce. fatto che mi fece guardare il film fino in fondo.
ricordo però che mi piacque. ma forse perché sulla scia di tron
Lo voglio rivedere.
Anche perché il mio ricordo è legato essenzialmente alla fase di pubertà: lei che inizia ad ingrifarsi su di lui e gli tocca il pacco dicendo “duro” mi ha segnato per sempre
e poi fu Virtuosity e lammerda digitale.
insomma Transcendence puppa
credo che il problema de Il Tagliaerbe in effetti sia che era destinato ad essere dimenticato in fretta, sia per la tematica che per la CGI. Però con i compagni di scuola ne parlavamo come se fosse l’horror più pauroso di sempre, bei tempi…
In genere vi seguo su queste rivalutazioni, ma stavolta sconcordo abbastanza.
In che senso il film quando uscì faceva “paura a tutti”?
Io all’uscita me lo ricordo poco o per nulla cagato e (giustamente) spernacchiato dai pochi che lo cagarono. Quando lo vidì al primo passaggio in tv, un paio d’anni dopo, aveva già addosso quella fama di film loffio e sullo squallido andante che ho sempre pensato abbastanza inattaccabile.
Per quanto mi riguarda il suo unico e vago interesse si esaurisce in fretta nel testimoniare (male) quella moda per la realtà virtuale che ci fu nei primi anni 90, quando ne sembrava imminente l’avvento sulla vita di tutti noi.
Per me non ha senso neanche tentare di rivalutare la CGI “storicizzandola”: gli effetti speciali sembravano ed erano pessimi e datati già allora, anche agli occhi di un analfabeta informatico come ero io all’epoca.
Io sono davvero l’ultima persona sulla terra che guarda alla qualità degli effetti speciali per giudicare un film, ma se gli autori puntano quasi tutto solo su quello allora lo faccio.
E non credo neanche che la CGI fosse talmente folle e di cattivo gusto da fare il giro e diventare camp, era solo noiosa e innocua paccottiglia.
D’altra parte secondo me pure “Stati di allucinazione progressiva” era una gran vaccata finto-visionaria, con l’aggravante, rispetto al “Tagliaerbe”, di essere uscito in un periodo abbastanza felice per il cinema fantastico-poco-scientifico.
Un riferimento secondo me altrettanto importante è “I due mondi di Charly” di Ralph Nelson (quello sì un bel film di fantascienza sociologica) tratto da “Fiori per Algernon” di Daniel Keyes. Film abbastanza dimenticato da noi, ma credo ancora piuttosto cult in Americalandia. Il personaggio di John Fahey è di fatto la versione banalizzata del Charly interpretato 25 e passa anni prima da Cliff Robertson.
Insomma: mah e boh.
@tommaso: se avessi avuto diec’anni quando uscì il film (o dodici quando arrivò in tv) ti ricorderesti che per una certa generazione Il tagliaerbe fu un film de spaventi, o quantomeno aveva questa nomea.
Non credo proprio che non se lo sia cagato nessuno, incassò il triplo del suo budget e nel weekend in cui uscì fu secondo al box office dietro Fusi di testa.
Né credo che l’unica cosa per cui è ricordato sia la CGI: c’è una storia interessante e intelligente dietro, almeno finché non svacca con le strizzate d’occhio a Stephen King. Non è un film che punti tutto su quello, anzi, a parte lo “scontro” finale per il resto la CGI è al servizio della storia e degli esperimenti di Pirsbrosnan, che sono raccontati e seguiti con un rigore raro per un film d’intrattenimento.
Non è un capolavoro, ma se lo rifacessero oggi cambiando solo le parti in CGI e tenendo tutto il resto immutato lo saluteremmo come un filmissimo.
Si trova completo su youtube (non in italiano).
se non ricordo male fecero anche un sequel…
Ecco perchè non voglio sapere come sono stati registrati i miei album preferiti. Comunque anch’io sapevo di “Blood on Ice”. Probabilmente in “H.” il rumore è finito per caso, in “B.o.I.” è stato un effetto ricercato per dare l’idea di un tizio che cammina sulla neve.
Ricordo di più Virtuosity e i capelli di Russel Crowe (e pure certe sue impagabili espressioni).
Certo che per parecchi, negli anni ’90, la “realtà virtuale” fece più danni che il whiskey agli indiani….
A me la sua fazza in CGi per quanto brutta faceva paurona. Cmq qualche segnetto lo lasciò, io per esempio tutt’ora associo J Fahey al Tagliaerbe. Tra l’altro trovo che una cgi così vecchia e brutta paradossalmente dia meno fastidio di tanta altra più recente.
Proprio in queste ultime settimane avevo recuperato il Tagliaerbe per riguardarmelo, l’ultima volta che l’ho visto sarà stato nel 1993 in VHS! Ricordo anche io però che alla fine erano i magici farmaci a cambiare Jeff Fahey, non certo la realtà virtuale “di per sé”. L’unica scena veramente memorabile è il finale.
Hai citato il romanzo “Night Shift” di King (A volte ritornano), non ricordavo neanche che ci fosse questa storia nel libro, tanto era breve e senza legami con l’omonimo film. Sono dovuto andare a prenderlo dallo scaffale per verifica.
Mi fa piacere che hai citato anche Virtuosity (titolo italiano ) che se ne può sparlare quanto volete ma almeno non sfociava nel paranormale!
questo film è utile come un terzo buco del culo.nello stesso periodo anche “sleepwalkers” andava a raschiare il fondo del barile di King.per fortuna c’era anche Clive Barker a risollevare le sorti di un horror per famiglie
Per la prima volta da quando sono diventato discepolo calcista (per diventare fancalcista devo ancora passare la prova di iniziazione che consiste nello sgominare gli spacciatori al molo 5 assieme a Nanni, Chuck Norris, sei colpi e una Smith&Wesson) di tutta una recensione di Stanlio, concordo solo con la DVDQuote.
E’ vero che all’uscita de “Il TagliaErbe” avevo dato la matura, ma per me questo film resterà come uno dei compendi per cui nel 2010 si parla male degli anni ’90 come nel 2000 si parlava male degli ’80: trama risibile, interpretazione soporifera, regia e fotografia che si prendono una pausa caffè lunga sperando che la CG basti a compensare.
Dal punto di vista della “tensione pseudoscientifica”, senza scomodare “Stati di Allucinazione”, penso una qualsiasi puntata de “I ragazzi del computer” fosse superiore.
Il finale, poi, era un goffo tentativo di scopiazzare un finale “Twilight Zone” a caso e sperare che nessuno se ne accorgesse (nota: non ha funzionato).
Lo vidi al cinema ed ancora oggi ricordo distintamente quella brutta sensazione “Highlander 2” che ebbi uscendo…
OK ragazzi è ufficiale: sto invecchiando.
@oliver
nel 2000 si parlava male degli anni’80???
sul serio? io mi ricordo che gia allora si idolatravano…non come nel 2010 ma pressappoco
Lo ricordo come un gran film demmerda e il sequel riusciva a essere pure molto ma molto peggio ma grazie a cristo nn ricordo + nulla tranne che c’erano dei regazzini e un tizio pelato
@Stanlio: non ti demoralizzare, ricorda che io sarò sempre più vecchio di te.
@woody: sono abbastanza certo che la rivalutazione degli ’80 esploda non prima della seconda metà degli anni 2000. Detto questo ammetto di aver cercato l’effetto retorico: dire “questo film resterà come uno dei compendi per cui nel 2010 si parla male degli anni ’90 come tra il 1995 ed i primi anni 2000 si parlava male degli ’80” aveva meno mordente.
Ricordo solo che mi deluse perche mi aspettavo qualcos altro. E comunque a tutt’ora non sono un fan delle realta’ virtuali. O quelle cose li’ dove la gente entra nei computer. Al contrario ricordo e riguardo con piacere quel filmaccio in cui Kelly Le Brock esce da un computer…
ma non è vero che il tagliaerbe non se lo cagava nessuno, negli anni 90′ veniva trasmesso almeno una volta l’anno (insieme a sotto shock e tanti altri)
e comunque un film che ha lasciato il segno:
la storia del ritardato che diventa una specie di divinità mi è rimasta impressa nella memoria, non l’ho mai dimenticata.
Che chicca che hai spolverato. Probabilmente è che sono 100% figlio degli anni ’90, ma lo ricordavo come un filmone da presa malerrima.
Mi sono poi sempre chiesto come mai IT sia passato a tutti mentre questo sia rimasto in cantina. Questa rece è un atto di giustizia!
“UNA BACKDOOOR!”
Lo ricordo come una cagata astrale con tanta CGI un po’ così, considerato che del racconto di King non ha nulla. Se non ricordo male nel racconto il tagliaerbe era un tipo che si denudava e andando di seguito alla macchina mangiava l’erba tagliata e tutto quello che ci capitava in mezzo, compreso forse il protagonista.
questo non l’ho visto ma virtuality, pur non esente da difetti, è un film che mi piace sempre parecchio. tra denzel washington che spara granate contro i giornalisti, russel crowe che mena di katana e dirige sinfonie di urli della gente e quella fica da masturbo chiusa dietro un monitor lo considero proprio una mezza bombetta.
ora, il tagliaerbe l’ho sempre un po’ evitato perchè avevo capito fosse una mezza cacatona, ma se voi ne parlate bene, e vedendo che è di quel regista lì, non mi resta che vederlo il più presto possibile!
Concordo con Il Reverendo, Virtuality, pur con tutti i suoi difetti, ha sempre un suo perché e ci regala anche uno dei migliori usi della canzone “Saturday night fever”. E’ un classico delle estati di Italia 1.
Reverendo, se non hai visto Il Tagliaerbe all’epoca allora potrebbe non piacerti adesso perché è comunque legato molto alla nostalgia anni ’90. All’epoca lo conoscevano un po’ tutti e in tv non era raro. Se dopo oltre 20 anni ancora ricordo molte delle sue scene vuol dire che qualcosa l’avrà pure azzeccato, ma come dicevo se non l’hai visto in quel periodo può darsi che molto del suo impatto possa venire meno, oggi, nel 2014.
realtà virtuale anni 90? il mio pane! XD
A reverendo, nun te fa fregà, qui stiamo diventando peggio di Nocturno! Il tagliaerbe è un filmaccio, ma siamo così alla deriva dal vortice dello schifo odierno che ogni cacatina del passato ci sembra un capolavoro.
ricordo che qualche anno più tardi nelle località di villeggiatura in alcune sale giochi c’era un gioco con il casco delle realtà virtuale, virtual reality mi pare si chiamasse. mai provato perche per una partita ci volevano 3-4 gettoni
Dall’archivio musicale anni 90 con giroscopio virtuale.
http://www.youtube.com/watch?v=xIx2X8MSZF4
(Anche senza occhialini 3D)
Non dimentichiamoci di Killer Machine (Ghost in the Machine, 1993) che ci “allietava” nelle estati horror di Italia 1
http://www.imdb.com/title/tt0107009/?ref_=nv_sr_1
Visto anni fa, è una cagata pazzesca.
(…92 minuti di applausi…)
Anch’ io ne ho ricordi vaghissimi. Lo vidi itpo al primo o secondo passaggio TV. A me in generale non fece paura. L’ unica scena se non erro fu quando i due stanno amoreggiando nella realtà virtuale ed ad un certo punto lui si trasforma in un mostro o così lo vede lei!
beh non è poi brutto come lo descrivete.gli effetti apeciali sono dignitosi nonostante l’anno di produzione e poi è la rivincita dei nerd di cui mi sento parte.Caso raro Pierce Brosnan al di fuori di 007 recita bene(vedi il “Sarto di Panama”