Ti faccio vedere una foto di Wolf Creek del 2005. Te lo ricordi? Era così:
Com’era? Giovane, era, ma non troppo giovane. Abbastanza derivativo per sapere di cosa stava parlando ma abbastanza sicuro di sé da avere una personalità. Faceva tutte le cose che si facevano nel 2005, e le faceva meglio della media, senza bisogno di salire in cattedra a insegnare un bel niente a nessuno. Prendeva gli argomenti su cui era più ferrato, gli ambienti in cui si trovava più a suo agio, e puntava solo su quelli. Non monopolizzava la conversazione ma non diceva cose stupide; non ti metteva in soggezione, e tu capivi che potevi diventare suo amico, e che quell’amicizia poteva portarti da qualche parte. Promettente, si dice. Era promettente. Quando Wolf Creek si svegliava la mattina, nel 2005, poteva vedere davanti a sé un futuro interessante. E non era l’unico: senza pretendere di piacere a tutti, era riuscito a trovare tanti amici, persino una discreta quantità di fan. Entusiasta, competente, gagliardo; uno di quelli che, senza andarselo a cercare, si era sentito dire almeno un paio di volte «Lei farà strada».
Wolf Creek era così. E lo eri anche tu. Non eravamo forse tutti così, nel 2005?
Poi sono passati nove anni.
httpv://www.youtube.com/watch?v=c0En-_BVbGc
Ora è il 2014 e Greg McLean, il regista di Wolf Creek, non è arrivato dove tutti pronosticavano. Non è riuscito a cambiare la sua vita con un creek. «Lei farà strada»: chi l’avrebbe detto che quella strada l’avrebbe portato a rifiutare un sequel istantaneo di Wolf Creek, ignorando i soldi facili e le richieste dei fan, pur di girare un thriller con un coccodrillone assassino, Rogue, che non era neanche brutto ma che non si è filato un cazzo di nessuno, strozzando di fatto tutte le acclamazioni e gli incoraggiamenti. Era il 2007, troppo presto per sperare di diventare virali con le gif del coccodrillo ma già in tempo perché la soglia di attenzione di tutta una potenziale schiera di appassionati si volatilizzasse in tempi sorprendentemente rapidi. L’horror e il fandom avevano svoltato a gomito in un’altra strada e Greg, a forza di promettere, non era riuscito a tenere il passo. Saluti e grazie.
Peccato.
A questo punto una persona più arrendevole, o meno capace e meno caparbia, una persona con meno cose da dire e meno aspirazioni, avrebbe semplicemente tirato i remi in barca, trovato moglie, fatto un paio di figli, e trascorso il resto delle sue serate a fare zapping fino alle nove e un quarto, addormentandosi poi nella convinzione che, alla fine della fiera, quella era la vita che voleva. Ma Wolf Creek, e Greg McLean, ve l’ho detto: talento ne avevano. Non tanto, ma un po’ sì. È il destino di chi si ritrova in quella fascia di valore troppo alta per accontentarsi, e un po’ troppo bassa per fare davvero il salto e spaccare i culi. E poi, dai, diciamocelo: sei ancora bravino, sei invecchiato bene, sei più che passabile, sei ancora simpatico, sei ancora caruccio, e non sei per niente pacificato col mondo. Che problema c’è? Nessun problema. Che problema c’è? Te lo domandi cinque o sei volte di troppo ogni sera davanti allo specchio, e ogni volta la stessa risposta: «Nessun problema». Tra l’altro, ehi, un fatto divertente: più sei ubriaco più quel «Nessun problema» ti convince. E più sei ubriaco più la tua idea di slasher australiano diventa bizzarra e grottesca e mattacchiona. E finisce che ti ritrovi, nel 2014, di fronte a una platea di spettatori nati quando tu andavi già al liceo, e devi disperatamente convincerti che sei giovane almeno quanto loro. Però sai fare una cosa sola. E quindi, che succede?
Ti rispondono gli amici, i colleghi, i coetanei. Alzano lo sguardo dalla TV, da sotto le coperte del pimuone IKEA, dal reparto pannolini della Coop, dall’ultimo libro di Zafón, ti fissano, gonfiano le guance, sbuffano. Sentenza: «Crisi di mezza età».
Wolf Creek 2 è Wolf Creek 1 in piena crisi di mezza età, il che non vuol dire invecchiato male e non vuol dire nemmeno fuori tempo massimo; vuol dire un’altra cosa.
Alla voce «Greg McLean sa fare una cosa sola» abbiamo questo: che Wolf Creek 2 è uguale a Wolf Creek 1. Pari pari. Ha lo stesso protagonista (Mick Taylor, serial killer bifolco, implacabile, invincibile e nemico dei turisti), una progressione narrativa molto simile (Mick Taylor attira ignari giovini e li tortura e ammazza. Alcuni scappano, ma non si sfugge a Mick Taylor), la stessa ambientazione (gli infiniti deserti australiani, con le loro bizzarrie geologiche e l’inquietudine del vuoto), lo stesso cratere, lo stesso furgone, le stesse dinamiche. Inizia persino con la stessa identica didascalia. Più che un sequel, Wolf Creek 2 è – non so come dire – un altro Wolf Creek 1; altre due ore nella vita di Mick Taylor, serial killer dell’outback. Se guardassimo i due film in ordine invertito, prima il 2 e poi l’1, non cambierebbe niente. Soprattutto, non c’è alcuna traccia dei dieci anni trascorsi. Per quanto ne sappiamo, questo sequel potrebbe iniziare 10 minuti dopo la fine del primo film, o addirittura svolgersi prima. Non c’è nessuna presa d’atto del tempo trascorso tra i due capitoli. Wolf Creek 2 arriva, entra nel locale pieno di ventenni che ballano, e fa finta che sia il duemilacinque. Se i più giovani non si accorgono della sua età, tanto meglio. Se in sala c’è qualche ultratrentenne che lo riconosce («Ma tu non eri quello…»), ecco che lui si rimbocca le maniche, scopre maliziosamente il suo nuovo tatuaggio YOLO, e inizia a ballare con più convinzione di tutti. Non è il più bravo e non è nemmeno il più sciolto e il più naturale. È solo quello che ha più cose da dimostrare, e meno tempo per farlo.
Alla voce «crisi di mezza età», abbiamo il modo in cui Greg McLean pimpa il suo clone con la stessa ostentata disinvoltura con cui io ho appena usato il verbo “pimpare”. Dieci anni fa le ragazze carine apprezzavano il mio sguardo freddo e insistito sulle scene di tortura e morte? Allora io oggi ne metto di più, inquadrate più da vicino, più lunghe, più fantasiose. Apprezzavano il personaggio dell’hillbilly psicopatico con l’accento buffo? Ecco che moltiplico il suo minutaggio e lo trasformo in una macchinetta spara-punchline con le vocali matte. Lodavano il mio uso degli spazi infiniti dell’outback australiano? Organizzo lunghissime fughe in macchina, a piedi e a cavallo sui rettilinei e nei deserti di Down Under, e almeno una volta in ogni sequenza faccio l’inquadratura con il grande cielo d’Australia e le figure piccole piccole in silhouette in basso. Ma non mi basta. Dai: più vecchietti buffi che muoiono male, più inseguimenti, più camion sfasciati, più azione, più botta-e-risposta ironici, strizzatine d’occhio ai fan della vecchia guardia, e almeno una scena – quella del quiz – che brama di essere recensita con l’espressione «da cult immediato».
Non è un male, di per sé, perché tutto sommato di anni ne sono passati solo dieci, non venticinque, e Wolf Creek 2 sarà magari un po’ incongruo ma certo non è un vecchio patetico col riporto e i capelli che grondano tintura. Anzi, è divertente, Wolf Creek 2. Forse persino più divertente dell’originale, ha un bel ritmo, qualche sorpresa piacevolmente gore, e il buon mestiere di Greg. Certo, non si prende un rischio che sia uno e non sfora di una virgola dal suo stesso canone, ma tutto sommato i suoi anni li porta bene – forse è addirittura uno di quelli che si ritrovano più bellocci a trentatré anni che a ventitré, e magari il pubblico giovanile abbocca anche di più, e anche più volentieri. Glielo auguro.
Ma, con un minimo di obiettività, questo sforzo di piacioneria si avverte facilmente. C’è quell’esagerazione, quell’ostentazione di chi è ovviamente il più vecchio nel locale. E il rischio di strafare è sempre dietro l’angolo; a un certo punto c’è un inseguimento in camion che finisce in una grottesca carneficina australiana perché un branco di CANGURI attraversa la strada e inizia a saltellare e sbatacchiare sui parabrezza smaciullandosi sotto le ruote, con Taylor che urla «Welcome to Australia, dickhead» e il carico da novanta di The lion sleeps tonight in colonna sonora. OK, è anche divertente, ma dopo un po’ viene voglia di mettergli una mano sulla spalla e assicurargli che gli vogliamo bene lo stesso, però che si dia una calmata. È eccessivo come può essere eccessivo un ultratrentenne che per tenere il passo con due canadesi di dodici anni più giovani (di cui una molto bellina) macina erba e grappini alla betulla con lo stoicismo dell’uomo vissuto, salvo poi, con lo stoicismo dell’uomo vissuto, collassare nell’angolo di un locale con la testa che vortica come la cazzo di capsula di Spie come noi, finendo per vomitare il cristo iddio e barcollare ebete fino a un concerto degli Yo La Tengo del quale non si ricorderà una minchia di nulla, con un colorito d’intonaco in faccia e le giovani canadesi che scoprono per la prima volta i concetti di invecchiamento, decadenza, umana mortalità. Fino a ieri ci riuscivi agile, a fare quel passo, poi un bel giorno ti svegli e quel passo è diventato un po’ più lungo della gamba, e i tuoi bei pantaloni sono tutti inzaccherati di vomito.
(Oh, ovviamente questo è un esempio generico che mi sono appena inventato, niente di personale).
Insomma, amici, che vi devo dire? Wolf Creek 2 è divertente, girato con mestiere, è truculento e crudele e relativamente inventivo. Ma il sapore che ti lascia in bocca è quello di un’opera che ha molto più senso per chi l’ha girata – trasuda Greg McLean che alza le braccia al cielo e urla «Sono ancora rilevante» – che per chi lo deve guardare: siamo nel 2014, e l’assortimento degli slasher è sempre più vasto e variegato. C’è stato un cambio della guardia, forse più d’uno, ed è il caso – quantomeno – di prenderne atto. Sei bravo, Greg, e ci stai ancora simpatico. Ma non riesco a non immaginarmi un nonno, un nonno che ha la faccia di Tobe Hooper circa 1974, il nonno di Greg McLean, il nonno mio, il nonno di tutti noi nel 2014, che ci guarda bonario ma severo e dice «Sì, i canguri, il gore, la colonna sonora in ironico contrappunto. Ma le promesse, le potenzialità che avevi. Tutti i sacrifici che ho fatto, la strada che ho spianato. Tutto per cosa? Tutto per cosa?»
DVD-quote suggerita:
«Per carità, sempre meglio del reparto pannolini della Coop. E comunque gli Yo La Tengo non mi piacevano poi questo granché»
(Luotto Preminger, i400calci.com)
Che amarezza la mezza età. Mi sono pisciato dalle risate leggendo la rece.
“ovviamente questo è un esempio generico che mi sono appena inventato, niente di personale”
ma ceeeeeeeeeeeerto *smile*
bella rece comunque, hai reso piuttosto chiara l’idea
Troppe pippe, il film è divertnete e tanto basta
In alternativa si può rimanere nella maggioranza silenziosa, quelli che “ste cose le facevo dieci anni fa, ti pare che adesso…” e sperare nelle sorelle piccole dei conoscenti. Ma a ‘sto punto è meglio essere fatti a pezzi da un bifolco australiano, empaticamente, che magari anche lui si ricorda dei Sublime.
O, io non so quanti anni avete voi altri, io ne farò 37 (ultratrentenne?) ma non mi considero mezza età ne riparliamo eventualmente dopo i 50 va…poi lo so che è tutto un metaforone e io comunque sto film lo guarderò lo stesso.
Fermi fermi thrillerone col coccodrillo?? Lo voglio vedere tipo ora!!
Io l’ho trovato davvero niente male.
Il primo si lascia guardare così com’è, senza eccedere troppo. Uno potrebbe addirittura tracciare paralleli con…che ne so…Texas Chainsaw Massacre e slasher vari americani anni ’70-’80.
Il secondo invece mostra una marcia in più che lo rende accattivante, vedi per esempio SPOILER SPOILER SPOILER (vabbè, vi ho avvisato)
del fatto che la vittima su cui credi si basi il film (stereotipo classico di questo genere) muore dopo 15 minuti e la nuova vittima diventa il mal capitato che si trova a passare nel culo del mondo dell’Australia (quanto può essere mai fortunato uno così). Poi vabbè, il protagonista alla fine è lui, il pazzo schizzato di Mick Taylor che stavolta sembra sempre più convincente nella sua follia quanto brutale e sadico. E poi la scena del quiz show dove in ballo ci sono dita è davvero cult, allo stesso modo come è la scena finale dove SPOILER SPOILER SPOILER frase mezza interrotta, poi bigliettino.
Wolf Creek 2, sebbene non cambi molto il registro del primo, se non quanto a gore e scene strambe/lunatiche/psicopatiche, ha alcune trovate davvero niente male.
E poi vi sfido a trovarlo un altro film dove si macinano teneri e pucciosi canguri con la canzone The Lions Sleep Tonight.
O.T. è uscito il trailer di interstellar, l’avete già messo e io sono diventato ancor apiu miope oppure è talmente NON calcista che non verrà proprio messo?
@david: don’t feed the troll… tanto si sà come va a finire
Molto diverso dal 1ma non per questo inferiore. Certo, Mick qua diventa una macchietta ma quando vuole diventare veramente cattivo lo fa senza problemi.
Consiglio a tutti di vederlo, anche solo per gli ultimi 20 min che valgono quasi tutto il film
Mio nonno mi diceva; meglio invecchiare male che morire bellamente.
http://www.youtube.com/watch?v=xN1Ivy1ZCGk
(I diti nelle piaghe ci fanno sorrisi infingardi)
Onestamente io non mi divertivo così vedendo uno slasher da Piranha 3D. E’ vero che riprende tutti gli elementi del primo, però li rielabora in un modo così imprevedibile e intelligente che a tratti ho (QUASI) pensato “questo film è un pochino il Cabin in the Woods dello slasher. Poco pochino pochettino ma lo è”. Vero poi che Mick diventa una macchietta ma lo fa in modo spettacolare, in certi punti ricorda (QUASI) Tuco in Il buono il brutto il cattivo. Insomma se qualcuno mi chiedesse “oh consigliami un horror recente di quelli belli che se mi piace davvero poi per gratitudine ti presento mia sorella” gli nomino questo film e inizio già a pettinarmi.
La rece mi ha messo addosso una tristezza incredibile, a cui ho deciso di ribattere tifando per Greg McLean finché campo.
Concordo totalmente… L’ho visto al Festival di Venezia l’anno scorso, memore degli strizzoni di quando avevo visto il primo WOLF CREEK anni fa. E invece BIG DELUSION. Quella sera non ho nemmeno controllato sotto il letto per vedere se c’era il Babau…
Darkskywriter: ma capisco benissimo, infatti non nego che questo sia più divertente e inventivo del primo. Probabilmente lo avrei consigliato con molte meno riserve se il primo Wolf Creek non fosse mai esistito, però a me – sarà che me li sono rivisti uno dietro l’altro – rimane più il disappunto per un regista bravo che in dieci anni non ha trovato di meglio che fare un restyling del suo unico successo.
Se poi questo gli rilancia la carriera per altri progetti, ben venga
Tu punti molto sui retroscena, sulla storia personale e sulla carriera del regista, sul presunto restyling. Lo fai con sagacia e buona penna, la recensione è comunque gustosa.
Personalmente preferisco guardare al territorio in cui si muove un film, alla mitologia (se presente) che va a creare e al suo peso specifico. Se la saga di Hostel sta al torture porn come Warhol sta alla pittura (vuota, stupida e terribilmente astuta), quella di Wolf Creek è Rembrandt, con un pizzico abbondante di Picasso. Un film come Mulholland Drive che oggettivamente rappresenta la vetta del cinema, poveretto, è bistrattato a livello di piccolo cult, difficile che la saga del buon McLean possa aspirare a qualcosa di meglio. I due capitoli di Wolf Creek non sono cloni ma un corpus unico, una mitologia appunto, dettaglio che spesso si tralascia recensendo questi lavori. Il secondo supera il primo, è quasi lapalissiano, ma le due entità non sono scindibili. Qualcuno sopra diceva “troppe pippe, è divertente”. Condivido la prima parte come direbbe Morgan Freeman. Troppe pippe, WC2 è un peso massimo e, insieme al suo predecessore, una pietra miliare del genere. Forse è ora di scaricarne altre presunti tali, cult che sono invecchiati malissimo ma che spesso non si ha il coraggio di spodestare perchè un po’ fa figo citare Romero e Hooper, un po’, sotto sotto, ma proprio sotto: “ai miei tempi si che si stava bene”. Crisi di mezz’età, no?
@ L: Intanto scusa l’imperdonabile ritardo nella risposta.
Però davvero non riesco a capire cosa aggiunga WC2 alla “mitologia” creata dal primo. E sebbene io per primo condivida alcune delle critiche che vengono rivolte al pezzo (“Troppe pippe”: vero, lo so, o non sarei io), allo stesso modo quel senso di “ah bei tempi i miei tempi” lo ritrovo proprio in WC2. Perché di anni non ne saranno passati quaranta, ok, ma ne sono passati comunque dieci, e vedere un sequel pressoché identico dopo dieci anni mi fa l’effetto di cui parlo nel post: un misto di rimpianto per un periodo passato unito a un’incapacità di smarcarsi e innovarsi.
Che poi il film sia ben riuscito non lo metto in dubbio e lo dico esplicitamente. Ma non ne vedo il senso (men che mai il suo ruolo in un corpus e in una mitologia) e mi sembra, sotto un certo aspetto, un’operazione un po’ malinconica – proprio alla luce del fatto che ce n’era già uno uguale, e realizzato dalle stesse persone.
È così in ritardo che lo danno al The Space in questo periodo…complimenti alla distribuzione italiana
ho cercato la scena dei cangoru sul tubo, dice “cocksucker” non “dickhead” ;)
recensione un pò der Caxxo
Wolf Creek 2 si discosta, il protagonista divente lui e non i turisti.
Una buona evoluzione.
Parliamo di un film che alcuni decantano anche come capolavoro del genere.
E’ un buon film.
La rece è fantastica, davvero!
Anche se poi, non è che sia tanto d’accordo, eh? Ma questa è un’altra storia…
Ho visto WC2 senza aver visto manco il primo… e a me è piaciuto eccome, e l’eccesso ci sta, e me lo sposo tutto!
Averne di crisi di mezza età come quella di McLean, se questi sono i risultati… xD!