Brett Simmons dev’essere una persona come tante, una persona normale. Probabilmente la notte dorme, appena dopo essere andato a dormire; quando è ora di svegliarsi si sveglia, con la sveglia, e immagino faccia colazione. Seduto al tavolo, legge il giornale, di quelli che ti arrivano alla porta, come vuole la tradizione americana. Tiene il giornale sulla sinistra, e con la mano destra maneggia un cucchiaio. Mangia latte e cereali, immagino. Beve spremuta d’arancia mentre la moglie gli prepara le frittelle. Poi si fa la doccia, forse, e la barba, col rasoio, e si lava i denti, con lo spazzolino, credo. Forse elettrico, così come il rasoio, ma non vorrei esagerare. Per andare a lavorare prende l’auto, chiusa nel garage la sera prima. Una prius blu. Prima di uscire dal vialetto aspetta che passi quella del vicino, e anche quella del vicino più in là. Il cane del vicino di fronte sta facendo i suoi bisogni sul giardino del vicino di lato. Il cane del vicino di lato sta inseguendo il postino, che sorride, perché è un’altra bellissima giornata nella città delle persone generiche. Il sole splende sulle villette a schiera, e Bret Simmons può andare a lavorare sul set del suo ultimo film: Animal. Si chiama così perché nella città delle persone generiche anche le cose sono generiche. Animal racconta una storia, scritta da Thommy Hutson e Catherine Trillo, entrambi cittadini della città delle persone generiche che non si chiama Genericittà perché è una battuta orribile, fatta di sguardi spenti e silenzio. La storia è quella che segue i due punti: cinque amici, due coppie e un imbucato, vanno a fare una vacanza nel luogo simbolo della loro infanzia. Un bosco. In questo bosco si aggira una creatura misteriosa e pericolosa, un mostro che farà il possibile per ucciderli tutti. Nel terrore, i cinque trovano riparo in una casa, nel bosco, abitata da tre individui che non se ne sono mai andati per paura di essere mangiati. Questa trama, generica, incontra perfettamente i bisogni delle produzioni della città delle persone generiche: la narrazione è così banale e scontata che l’aria di Oscar già tira; la struttura costruita col pilota automatico e le idee mai una volta originali sono la base di un buon prodotto, sono la regola che non andrebbe mai infranta. Se non altro se si vuole sfondare al botteghino, diciamo, ma anche lì, ahah, impossibile preoccuparsene quando lo svillupo dei personaggi e il loro background sono ridotti a tre righe di sceneggiatura, due delle quali di soli puntini di sospensione. È tutto talmente generico che quasi mi viene da piangere, anche se sto sorridendo di felicità! Naturalmente non è solo una storia di mostri e persone in difficoltà, c’è anche il dramma, quello vero. Una delle protagonsite è incinta, e l’imbucato è innamorato del fidanzato di questa qui! Immaginate le mamme piangere al cinema quando questo ragazzo morirà. Twilight non è praticamente nulla, a confronto.
Gli unici danni li fa proprio il nostro Brett Simmons, che con un piglio un po’ dissidente decide che le scene d’azione debbano funzionare a dovere, anche se poche e ridotte a una manciata minuti, utilizzando un montaggio piuttosto frenetico e dal piglio un po’ alla Raimi, un regista i cui film sono vietati, per legge, nella città delle persone generiche. Per fortuna queste scene d’azione sono poche e il dramma occupa la maggior parte dei già pochi 80 minuti. La cosa davvero grave è comunque un’altra: il mostro supera di gran lunga il limite qualitativo di computer grafica consentito, sforando nell’ottimo. A tratti sembra addirittura un pupazzone vero, questo mostro: sembra un costume, un costume ben fatto, ed è abbastanza inaccettabile. Per fortuna anche qui lo screen time è dalla parte della genericità: tanta qualità significa poco tempo a disposizione, e la creatura viene quindi mostrata per bene solo nelle sequenze finali.
Anche oggi la genericità ha rischiato di essere sconfitta, ma non è successo. La genericità è ancora qui, tra noi, a casa come al cinema, ad adempire il suo compito: farci morire tristi, credendo di essere felici.
DVD-quote:
“È un film che inizia e finisce e in mezzo succede la storia”
Jean-Claude Van Gogh, i400calci.com
p.s. Ciao, sono Jean-Claude Van Gogh, e non scrivo sempre così. Questa recensione è stata scritta in modo generico per fare ironia sulla genericità del film stesso! Non prenderla come esempio, lettore inesperto, ma, anzi, utilizzala come scusa per recuperare tre anni di incredibili e divertenti recensioni! Ciao! : )
Volevo scrivere un commento generico, ma non ne sono capace.
Dico però una cosa. Raimi ha fatto gli ultimi film proprio per essere accettato nella Città delle Persone Generiche e addirittura è stato eletto sindaco per acclamazione.
La dimostrazione è che non mi ricordo nemmeno che film ha fatto ultimamente Raimi. Forse c’era il ramake in CGI di L’Armata Del Mago Di Oz, o una roba del genere generico simile.
Insomma un perfetto film da Davidoni [Luotto Preminger copyright].
Il sonno della genericità genera mostri…
Non riesco a credere che nel 2014 si facciano ancora film così. Ma che cazzo.
Di che film è che avete parlato?
Il classico film che finisci di vederlo prima di andare a dormire e ti dici “non è male però BOH” che mesi dopo ti nomina un amico, non capisci, te lo spiega e “aaaaaa si mi pare di averlo visto”. Normale.
@vespertime: hai vinto!:D
JC è un furbacchione: si è risparmiato di scrivere 5347428581 recensioni, visto che può linkare questa per tutte le recensioni uh… generiche
Sapete cos’ è bello da chiedere a un abitante della città delle persone generiche che non si conosce? Le generalità.
@Vespertime Mi è capitato proprio l’altro giorno con un amico, si parlava di Leviathan, probabilmente l’Animal dello scorso decennio…forse di due decenni fa… boh…
Nn diciamo cazzate! Leviathan è un cult…