Allora, ho una buona notizia e una cattiva notizia.
La buona notizia è che oggi vi parlo di un regista britannico che ha deciso di trasferirsi in un paese asiatico dove la vita costa poco e la vita degli stuntmen e delle maestranze costa ancora meno; qui egli ha girato un film usando soltanto attori locali che parlano la lingua locale, riscuotendo un buon successo e riscattando una carriera fino a quel momento zoppicante. Il cognome di questo regista britannico inizia per E.
E fin qui ci siamo.
La brutta notizia è che non sto parlando di Gareth Evans e dell’Indonesia, bensì di Sean Ellis e delle Filippine.
Delusi? Mi dispiace.
Per addolcirvi la pillola, eccovi UN’ORA E DUE MINUTI di canzoni tradizionali filippine, che fungono anche da odierna
SIGLA!
httpv://www.youtube.com/watch?v=_qqBGzrMY7s
Fatto? Non comincio a parlare finché non le avete ascoltate tutte; ci tengo che entriate nell’atmosfera.
Dovete sapere, infatti, che il nostro Sean Ellis aveva iniziato la carriera col botto, facendosi candidare all’Oscar (il «Sylvester dei poveri») nel 2004 con il suo corto d’esordio, Cashback (quello con le modelle nude al supermercato – probabilmente ne avete visto qualche screenshot), salvo poi subire una brutta battuta d’arresto con le opere successive, tra cui la versione lunga di Cashback (quello con più modelle nude al supermercato – probabilmente ne avete visto qualche screenshot) e The broken, genialmente tradotto in italiano con ROTTO, un horror-thriller con Cersei Lannister che non era piaciuto un granché a nessuno e che io non ho visto. Bene. Com’è come non è, dopo qualche mese il buon Ellis, in preda a crisi lavorativo-creativa, si prende una vacanza andando a trovare un amico nelle Filippine. E mentre gira per le strade di Manila, assiste a questa scena: due autisti di un furgone blindato, corpetto antiproiettile e casco in kevlar e tutto quanto, che litigano in mezzo alla strada, col furgone lasciato incustodito. Vola qualche calcio, volano urla. È giusto una scena fugace intravista di passaggio, ma è sufficiente perché a Sean Ellis venga un’idea: perché non girare un film qui? Qui, nelle Filippine, dove tutto è esotico e c’è lo shock culturale e le strade trasudano muffa e marcio letterale e figurato? Qui, dove da un momento all’altro puoi finire sparato senza che nessuno dei milioni di passanti che brulicano per le vie in motocarrozzetta ti degni di uno sguardo, figuriamoci fermarsi a soccorrerti? E, già che ci siamo, perché non ambientare questo film nel mondo di quelle teste calde dei guidatori di furgoni blindati di Manila?
Pronti: Ellis racimola duecentocinquantamila sterline dirigendo pubblicità, assolda un interprete e una troupe ridotta all’osso, e si mette a girare il suo film filippino. Il tutto senza parlare una parola di tagalog – la lingua locale – e facendo tradurre i dialoghi della sceneggiatura inglese direttamente ai suoi attori, fidandosi «del suono che hanno le loro parole». Il film si intitola come avete letto nel titolo di questo post: Metro Manila.
Da queste premesse, che conclusioni possiamo trarre? Due conclusioni:
Primo, Sean Ellis è un tipo coraggioso e intraprendente e bisogna quantomeno dargliene atto.
Secondo, Sean Ellis è uno che, prima di girare il film, nelle Filippine c’era stato una volta sola, da turista, e pertanto le Filippine le aveva viste più o meno come aveva visto quei due autisti che litigavano: di sfuggita, dal finestrino di un tassì. E anche questo va tenuto a mente.
Sulla carta, la trama di Metro Manila è questa: il buon contadino Oscar Ramirez emigra dalle campagne con moglie e figlie al seguito per cercare fortuna a Manila. La vita è dura, la città è una fogna, i soldi non ci sono. La moglie si riduce a lavorare in un topless bar, lui trova un impiego come autista di furgoni blindati, sotto l’ala protettiva di un collega più anziano e sospettosamente generoso. Se state pensando a uno scenario alla Training day non ci siete tanto lontani. Basta moltiplicare il tutto per il coefficiente di rischio che comporta guidare furgoni blindati a Manila e il quadro è chiaro.
Promettente, diranno i più pessimisti tra voi. Molto promettente, diranno gli ottimisti. Già. Il problema è che Ellis ha l’intenzione – dichiarata – di girare «un film commerciale mascherato da film d’arte». Il che non è un problema di per sé (un esempio ben riuscito, e non del tutto dissimile nelle premesse: 13 – Tzameti), ed è comunque sempre meglio di un film d’arte mascherato da film commerciale. Il problema VERO è che la maschera da film d’arte che Ellis sceglie di dare alla sua Manila è la maschera-souvenir-etnico-tribale che ogni bravo turista si porta a casa dopo una vacanza “nel pittoresco terzo mondo” e si appende in salotto sopra al Samsung 32 pollici. Come temevamo, Ellis inquadra le sue risaie terrazzate e la sua nera povertà con un gusto cartolinesco ipocrita imperdonabile (del genere “si soffre con stile” tanto caro a Meirelles e a quelli come lui, ma con meno talento nel comporre l’inquadratura), tant’è che per i primi venti minuti Metro Manila, più che un film, sembra il filmino delle vacanze da far vedere agli amici di Sean Ellis, con le Filippine che hanno scenari naturali moz-za-fia-to! ma anche – mammamia – tanta povertà, e gli storpi sul marciapiede e lo smog e le putàne e le pozze di fango. E poiché da che mondo è mondo nei filmini e nelle foto delle vacanze i colori non rendono assolutamente, Ellis color-corregge all’inverosimile ogni fotogramma, spostando i pirulini del Photoshop sul livello CENTO finché tutte le scene sembrano spot della Air Filippine fotografati da Moira Orfei.
Insomma, Sean Ellis imbastisce tutta questa cornice da “film d’arte” scegliendo i modelli peggiori e cadendo in tutte le trappole del peggio cinema terzomondist-equosolidale che tanto piace ai critici impegnati. Non è un caso, infatti, che Metro Manila abbia avuto tante buone recensioni e sia stato persino selezionato – giuro che è vero – come entry ufficale del Regno Unito per l’Oscar come miglior film straniero. (Cioè, capito? ‘Sti inglesi, NON PAGHI, si attaccano pure al loro unico film INGLESE MA FILIPPINO MA INGLESE per infiltrarsi fischiettando anche tra i film stranieri. E ALLORA SIETE BRAVI SOLO VOI. Comunque alla fine non è stato candidato. Chiusa parentesi).
Comunque: quello che a noi interessa è il “film commerciale” nascosto in questa patina d’arte, giusto? Il film dei furgoni blindati e delle rapine tra le strade di Manila, giusto?
Sarà un buon thriller? Varrà la pena vederlo?
SCORRI IN BASSO PER SCOPRIRE LA RISPOSTA! NON CREDERAI MAI CHE COSA SUCCEDE A QUESTO REGISTA INGLESE EMIGRATO NELLE FILIPPINE! LOL
Vedete, il fatto è che Ellis sceneggia in un modo MOLTO elementare. Il che da una parte lo rende uno sceneggiatore mediocre, ma dall’altra fa sì che il film mantenga un ritmo spedito anche nei momenti più drammatici e meditativi. Con due linee di dialogo la famiglia decide di emigrare, con altre due la moglie entra nel giro dei topless bar, con altre due il marito ne prende atto, e così via. Nel suo essere scritto maluccio, Metro Manila scorre veloce fino alla parte che interessa a noi, la parte thriller – non mi spingo a dire action perché Metro Manila, da qualunque punto lo vogliate guardare, un action non lo è. Forse avrei dovuto specificarlo prima, ma ehi, il titolo del post era già un indizio.
Che vi devo dire? Il protagonista entra in un brutto giro, ci sono soldi sporchi, rapinatori, autisti corrotti, cose nascoste sotto i pavimenti, qualche rapida sparatoria, un paio di svolte di trama non particolarmente telefonate, qualche sorpresa. Mi rendo conto che non è molto allettante, ma è quel che offre la casa.
Vi sono piaciuti Tropa de elite e City of God, con le loro ambientazioni drammaticamente esotiche a uso dell’unpercento festivaliero? Siete disposti a sopportare le pedestri beghe familiari del protagonista in cambio di un thriller di media fattura la cui forza si risolve quasi completamente nella sua ambientazione inedita e in qualche sviluppo di trama non scontato? Vi piacciono i monolocali che sembrano usciti dalla copertina del mensile filippino Tuguri umidi? Se avete risposto sì, questo film fa per voi. Quanto a me, nonostante la mia risposta a tutte le tre domande sia “no”, devo dire che questi centoundici minuti non mi hanno annoiato e che, per pura simpatia, una sufficienza gliela concedo.
Sarà che tutte le ingenuità e gli stereotipi si perdonano più facilmente a un regista-turista, sarà che con quelle premesse era difficile tirare fuori un thriller quantomeno interessante e invece Ellis ce la fa, sarà che avrei voglia di fare un bel viaggio nella provincia di Banaue e poi tornare con tante foto dove i colori non rendono assolutamente ma i contrasti sono forti, i paesaggi mozzafiato e i poveri dignitosissimi. È estate, amici, tocca accontentarsi.
DVD-quote suggerita:
«Un thriller passabile mascherato da bieco filmino delle vacanze terzomondista, e viceversa»
(Luotto Preminger, i400calci.com)
La locandina è pura mescolanza di generi.
Si passa da Battlefield Bad Company 1&2, 3 e 4 alla V minimale suggerita dal cambio di tonalità dell’arancione giallo, a “Desperate Men” che sembra molto “Monument Men”.
Da non sottovalutare la faccia vagamente Bondiana della donna che si fonde con la città.
ma quindi è partito ufficialmente il nuovo filone degli action ambientati nei tuguri fetidi?
il prossimo lo voglio ambientato nei peggiori bar di Caracas, con gli astanti che si sfondano di Pampero prima di pigliarsi a pizze in faccia tipo film di Bud Spencer.
non sapevo del corto di cashback, ho direttamente visto il lungo. che alla fine non mi è dispiaciuto, anzi.
idem city of god, entrambi nel cestone “film da casa che puoi vedere mentre cucini”.
credo lo vedrò – mentre cucino.
Tropa de elite è uno degli incassi più alti di tutti i tempi in brasile – e così pure il pallosetto seguito. Quindi, nonostante abbia vinto (mi pare) a berlino non era stato fatto per vincere un festival all’estero (come mooooolti film) ma per fare quattrini in patria, e c’è riuscito. Quindi respect per il BOPE.
Condivido in toto la rece di Luotto. meno che la critica all’occhio di Eliis, esploratore più che turistico
Non so voi, ma da buon matto ho seguito le indicazioni di Luotto
e mi sono messo a vedere il video con le canzoni filippine.
Sono anche arrivato a metà prima di arrendermi.
Le più carine sono la terza, la quarta e la quinta.
Riporto i titoli perchè meritano
3.Mamang Sorbetero—–Celeste (cantante)
4.Himig ng Pag-ibig——Asin (gruppo)
5.Karaniwang Tao—–Joey Ayala (oh, piuttosto che sentire Mannarino…)
Vedrei bene Sorbetero come sfondo di una bella rissa o come musica
di un rimontaggio per sfottere Only god forgives
p.s. “motorini blindati che scippano donne blindate” Grandissime le tag,
se Sean Ellis avesse fatto il film con lo stesso spirito sarebbe venuto sicuramente fuori un film migliore
John Blacksad: premio fedeltà del mese di luglio, a tavolino
Grazie Luotto
vabbe` dai Tropa de elite spacca, se questo poco poco lo ricorda mi fiondo a vederlo, anche se i filippini (e in generale un po’ tutto quello che viene dalle filippine) hanno sempre avuto quest’aria cosi` innocua e pacioccona che ce li vedo poco a prendersi a fucilate in da la fazza…
Lars: no vabbè, lo ricorda giusto POCO POCO. Tropa e Manila hanno (secondo me) lo stesso modo di spettacolarizzare la violenza e la sofferenza di quei posti in maniera non proprio onestissima, ma per farlo seguono strade diverse – Manila è molto meno teso, con poca azione e poche fucilate in faccia (giusto un paio…)
OT ma un post sull’annuncio di bonficione Del Toro che conferma pacific rim 2 lo fate?
@Lars Von Teese: i filippini non sono esattamente dei pezzi di pane, pacifici e miti.
Anzi il kali filippino (di cui poi moltissimi sistemi di combattimento moderni hanno importato svariate tecniche) è un’arte marziale che in quelle isole è diffusissima, spesso addirittura insegnata su base familiare.
Cioè io li vedo perfettamente ad ammazzarsi male per ragioni di poco conto.
https://www.youtube.com/watch?v=GmZqzXiqv08
Scusate
ritiro tutto quello che ho detto sui filippini paciocconi, l’altro giorno ho visto un incontro di MMA tra un filippino e un australiano, il filippino e` stato un vero drago, pertanto chapeau