A voi LE BASI, la rubrica in cui stabiliamo e blocchiamo le fondamenta del Cinema da Combattimento in modo da essere tutti in pari. Ci avete chiesto di completare la filmografia di John Milius includendo anche i film “minori”: vi accontentiamo. Buona lezione.
Il film che affrontiamo oggi è sicuramente un “minore” nella filmografia di John Milius, eppure ha la sua importanza: è l’ultimo da lui diretto in assoluto. Ed è del 1997. Da allora Milius ha sofferto un ictus, una truffa finanziaria e si è dato alla TV (quel cazzo di capolavoro che è Roma) e alla scrittura dei videogame (Medal of Honor: European Assault). La sua salute non è proprio il massimo, ma almeno ha tentato di tenersi occupato. Peccato che gli ultimi fallimenti da regista e il suo carattere non proprio compromissorio lo abbiano costretto a un esilio dal cinema. Almeno Rough Riders, a differenza di L’ultimo attacco, è un film che ha fatto come ha voluto.
In realtà, Rough Riders nasce come miniserie, prodotta dalla rete TNT e trasmessa a puntate in televisione. La durata originale è di quattro ore, mentre la versione che ho visto per scrivere questa recensione è quella condensata in tre ore e montata come un film. Per quanto la derivazione televisiva si senta, Rough Riders si snoda come un vero e proprio film con un budget notevole (19 milioni di dollari) e una certa cura estetica. Certo, ci sono dei limiti: nel 1997, la TV non era ancora l’avanguardia stilistica e narrativa che è oggi – per quello si sarebbero dovuti aspettare I Soprano, un paio d’anni dopo. Milius, che ha riscritto la sceneggiatura come suo solito, è costretto dunque a smussare gli spigoli del suo stile, ma riesce comunque a veicolarlo in maniera abbastanza intatta.
Rough Riders racconta della guerra tra Stati Uniti e Spagna scoppiata nel 1898, come risultato dell’intervento americano nella guerra d’indipendenza cubana contro la dominazione spagnola. Theodore Roosevelt, all’epoca politico in ascesa, decise di prendere parte al conflitto fondando il Primo Reggimento Cavalleggeri Volontari, noti anche come “Rough Riders”, appunto. Alla guida delle sue truppe, Roosevelt fu fondamentale nella presa di San Juan Hill, vicino a Santiago di Cuba. Il film culmina proprio in questa battaglia.
C’è la stessa etica della guerra di Alba rossa, in Rough Riders. Quando la guerra scoppia, Roosevelt e i suoi uomini sono gioiosi ed entusiasti di contribuire a difendere l’orgoglio nazionale sul campo di battaglia. C’è naturalmente anche chi si arruola per sfuggire alla legge, c’è chi lo fa per provare a se stesso di non essere un damerino codardo, ma alla fine tutti diventano eroi coraggiosi al momento giusto. Allo stesso tempo, però, la guerra non è proprio una cosa bella: Craig Wadsworth (Chris Noth), rampollo di una famiglia bene di New York che si arruola per spirito di ribellione verso un padre che lo vorrebbe al sicuro tra le mura di casa, verso la fine del film confessa che quello del padre era “un buon consiglio” e che si sente terribilmente in colpa per aver ucciso. Milius non indora mai la pillola e non elogia guerra e morte nel processo: un rigore e un’etica morale che non ti aspetti, piazzati in un film fatto a uso e consumo del pubblico televisivo e dunque, in più punti, smaccatamente patriottico fino al ridicolo. Ma glielo si perdona, perché nel contesto di un suo film ha senso.
E in ogni caso non si tratta di patriottismo becero, ma di uno più profondo. C’è una riflessione non da scherzo sulla guerra come grande livellatrice sociale, e come metafora di ciò che ha reso grande l’America, ovvero il melting pot culturale. I soldati di Roosevelt vengono da ogni estrazione sociale, dall’alta borghesia newyorchese ai rapinatori di diligenze, sono bianchi, neri, indiani e ispanici, tutti uniti da uno scopo comune, tutti parificati dallo stesso grado militare. La guerra, inoltre, contagia tutti e li spinge a dare il meglio, dal giornalista menefreghista che diventa responsabile quando un collega (William Katt, irriconoscibile senza la criniera bionda) viene ferito gravemente, al delinquente che, dopo aver tentato la fuga, vuole riscattarsi agli occhi dei commilitoni.
La ricostruzione storica è ovviamente accuratissima, da vero studioso di storia americana. Dalle armi (per le quali c’è il solito feticismo miliusiano) alle divise, dalle tattiche al gergo, fino alle canzoni, Milius ci immerge completamente nel mondo militare americano del 1898. La messa in scena non è da meno: costumi, oggetti di scena, location e montaggio sonoro (vincitore di un Emmy) convergono tutti nelle manone capaci di Milius, che resta un narratore di razza e sa quando accelerare, quando inserire una pausa riflessiva e quando giocare con l’umorismo.
A colpire di Rough Riders è soprattutto la spavalderia generale che si respira: questo è un film che racconta di un’America che non esiste più, sicura di sé e della propria ragione. Il film inizia come un western, con la rapina a una diligenza, come se Milius volesse subito dirci che quell’America lì, quella delle grandi avventure ed esplorazioni, quella dei self made men, è la vera protagonista del film. Perché in effetti quello a cui assistiamo in Rough Riders è la calata dei cowboy su Cuba, e il tema western di Elmer Bernstein lo sottolinea costantemente. La stessa America che da un secolo si preoccupava solo di quello che accadeva all’interno dei propri confini, tra colonizzazione della Frontiera e guerra civile, sul finire del 19° secolo inizia a guardare all’esterno, si prepara alla Prima Guerra Mondiale e decide che sia ora di esportare il sogno americano.
La spavalderia di cui sopra è raccontata da Milius soprattutto attraverso una galleria di personaggi “larger than life”, determinati a lasciare il proprio segno nella storia anche se feriti o stremati dalla febbre gialla. Penso a Gary Busey, qui meraviglioso nella parte del veterano sudista Wheeler, una forza della natura che affronta ogni ostacolo con la stessa faccia tosta, come se il campo di battaglia fosse una festa e lui fosse l’ospite d’onore. E poi, naturalmente, c’è Theodore Roosevelt. E qui bisogna aprire una parentesi. Ve lo ricordate in Il vento e il leone, ritratto come una caricatura? Bene, qui è comunque un personaggio sopra le righe, con un umorismo straniante e una mimica a volte esilarante (resa in maniera esasperata da Tom Berenger), ma esce fuori meglio che nel precedente film e si capisce di più che Milius lo ammirava. Perché sarà pure un folletto pazzo, ma è coraggioso e guida i suoi uomini di persona su per quella maledetta collina, sotto i colpi dell’artiglieria nemica.
Un’ultima curiosità: nel film c’è anche, in un piccolo ruolo (quello del presidente USA William McKinley), Brian Keith, l’attore che aveva interpretato Roosevelt in Il vento e il leone, nonché caratterista di quelli apparsi in duemila ruoli tra cinema e televisione. Keith morì subito dopo le riprese e Milius dedicò a lui il film. Alla fine dei titoli di coda si legge: “In memoria di Brian Keith. Attore, marine, cantastorie”. E ho detto tutto.
DVD-quote:
“Un Milius minore, ma sempre un Milius”
George Rohmer, i400Calci.com
Finalmente, aspettavo al varco rough riders perchè mi incuriosisce molto. grazie grazie grazie. Parlando delle scene di battaglia di questo film, salta sempre fuori qualcuno che lo paragona alla scena iniziale di “salvate il soldato ryan”, credo che sia stato proprio Milius a fare questo riferimento per primo. È una cosa che ci sta (a parte la violenza che sono sicuro non possa essere altrettanto esplicita in una serie televisiva di 10 anni fa, per quanto per il via cavo)?
Stilisticamente direi di no. Da un punto di vista storico sì: cioè la battaglia di San Juan Hill è simile allo sbarco in Normandia, perché c’è un gruppo di soldati che tenta di prendere la postazione nemica sulla cima di una collina e avanza sotto i colpi dell’artiglieria nemica che falcia soldati a ripetizione. Quindi in questo senso sono simili, ma è proprio dovuto a una somiglianza storica più che a una ricerca stilistica.
Questa era l’opera verso cui nutrivo più dubbi. Una miniserie tv di circa 17 anni fa non mi ispirava per niente, anche perché i riferimenti che quando sento parlare di miniserie tv qui in Italia c’è da scappare via pure ora che è il 2014.
Da un lato quindi c’è Roosevelt, un politico che però rischia la pelle in prima persona in una guerra di cui è fermamente convinto. Cose totalmente dell’altro mondo. Dall’altro ci sono questi volontari che partono come accozzaglia male organizzata e tornano (in meno, as usual) uomini nel vero senso della parola.
Perché il processo di maturazione qui coincide con il mettersi al servizio della nazione, con l’idea che anche morire per quanto sia terribile può essere accettabile se fatto sotto la bandiera degli Stati Uniti.
Ovviamente la scena finale del futuro presidente, vittorioso sul campo che sfumacchia con la bandiera americana che garrisce dietro di lui lasciando intravedere la scritta Empire la dice lunga. Anche sulla consapevolezza del film.
Anche per me è un Milius “minore” eppure degno di attenzione.
@Gus van Helsing: Sono d’accordo con George Rohmer, l’assalto alla collina di San Juan può ricordare lo sbarco di Omaha solo perché ci sono dei fanti che a caro prezzo conquistano una posizione fortificata nemica.
Forse potrebbe essere più simile a quello de Il giorno più lungo, ma sono davvero troppi anni che non lo vedo e onestamente se avessi detto una cazzata non mi sorprenderei.
Una piccola correzione: la sceneggiatura del videogioco Homefront non è stata scritta da Milius e la notizia arriva da un ex sviluppatore del gioco.
Non posso linkare direttamente causa firewall aziendale ma facendo una ricerca su google “homefront milius” si trova subito.
Ok grazie della segnalazione! Correggo subito.
me lo segno forte, la rece ha fatto il suo dovere. L’unica cosa che mi fa venire qualche dubbio è quell’arietta di un po’ troppo artefatto e pulitino che vien fuori dalle foto postate.
E invece Roma com’è? Posso chiedere qui due righe al volo oppure attendo tranquillamente?
Grazie per la recensione. Non conoscevo quest’opera, la recupererò sicuramente! E’ mai stato trasmesso nel Bel Paese?
@Steven: è sicuramente pulitino più di un film, ma bisogna considerare che è un film per la TV.
@movie: Non credo, io l’ho recuperato in inglese e pure senza sottotitoli.
@Steven: Roma per me è una bomba, specialmente la prima stagione. Forse la migliore e più credibile rappresentazione dell’antica Roma di sempre, e poi violentissimo e pieno di sesso aggratis. Insomma c’è tutto. E poi c’è Ciaran Hinds che fa Giulio Cesare, il che già è un ottimo punto di partenza.
@george: bè no ovvio che è un prodotto tv. Pensavo a quanto si diceva della cura estetica/ricostruzione e poi mi sono fatto distrarre dalla cosa di salvate il soldato ryan. Nelle foto vedevo tutte divise linde, che per carità saranno fedelissime, ma ho bisogno che questa gente si sporchi, sanguini, vada in giro con il viso annerito e la camicia bucata/sbiadita e salga su locomotive di ferro pesante. Altrimenti mi faceva l’effetto delle ricostruzioni con i cavalieri medievali in piazza e le bandiere sgargianti. Se così non è, benissimo
Ancora meglio per Roma, da quello che mi dici. Me lo immagino come un prodotto tipo Vikings MA con Millius
@Steven. Roma è una gigaiperbomba. Al confronto Vikings (che mi piace moltissimo) è una barzelletta. Massimi livelli televisivi.
@George, guarda ora vado a recuperare Roma, ai tempi non ero ancora scimmiato dalle serie tv e me lo sono perso come 24h, sopranos, lost e non li ho piu recuperati…anche se per sopranos e 24 vorrei…
@jax: minchia
Sì anche io amo Vikings e concordo che non arriva assolutamente ai livelli di Roma. Tieni presente che Milius l’ha creata e ne ha scritto qualche episodio, ma in generale quello che l’ha tenuta su era Bruno Heller. Resta un capolavoro.
> questo è un film che racconta di un’America che non esiste più
Sì sì certo.
No, non si preoccupi, venga da questa parte, sì ecco la pillola….bravooooo butta giùùù.
Adesso torniamo dagli altri vedere Rete 4 e poi cena alle 17.30 d’accordo?