Questo discorso lo avrete sentito centinaia di volte, ma si applica perfettamente a Il pianeta delle scimmie: che cosa dire oggi di un film che ha segnato la storia del cinema, la storia della fantascienza, dato vita a un franchise che continua a mietere successi ancora adesso e che è stato analizzato e dissezionato praticamente da chiunque?
Perciò, quando sono stato incaricato (insieme allo stimato collega Darth Von Trier il cui pezzo leggerete qui sotto) di parlare del film originale, e in parte della saga che ne è seguita, ho deciso di adottare un punto di vista personale. Magari non è obbiettivo, ma sticazzi dell’obbiettività. Spero, anzi, di spingere chi tra di voi non lo ha mai visto a dargli un’occhiata proprio evocando le sensazioni che ho provato la prima volta che l’ho visto. Ma prima, un flashback.
Dopo aver visto Il pianeta delle scimmie di Franklin J. Schaffner, a circa quindici/sedici anni, sono rimasto talmente colpito che ho deciso di leggere il romanzo originale di Pierre Boulle. Forse pochi ricordano, infatti, che alla base di tutta la saga c’è un libricino breve scritto da un autore francese nel 1963, in cui c’è più o meno tutto quello che si vede nel film – Zira, Cornelius, Nova, gli astronauti che sbarcano sul pianeta “al rovescio”, la divisone della società scimmiesca tra gorilla militari, oranghi burocrati e scimpanzé intellettuali – eppure mancano alcuni degli elementi che hanno reso il film leggendario. Ad esempio, nel finale del romanzo c’è si un colpo di scena, ma è più l’ennesima burla dell’autore che una riflessione vera e propria (e sarà ripreso quasi paro paro nel remake di Tim Burton). Inoltre la società delle scimmie nel libro è evoluta esattamente come quella umana, tecnologicamente parlando. Nel film, invece, c’è quel misto tra Medioevo, Santa Inquisizione e primo Ottocento che è decisamente più interessante e stimolante rispetto alla società allo specchio del libro.
Ma ovviamente c’è un motivo: nel romanzo, il pianeta delle scimmie è effettivamente un mondo alieno. Il fatto che i primati parlino la stessa lingua degli astronauti non viene spiegato, perché non ce n’è bisogno: Boulle non ha scritto un romanzo di hard sci-fi, cioè fantascienza con rigorose basi scientifiche, quanto una sorta di Viaggi di Gulliver nello spazio, una storia che usa l’arma del grottesco per parlare della società di allora. Il film prende questo concetto ma lo infonde di un realismo estraneo al romanzo: dai dettagli sul viaggio interstellare, con tanto di disquisizioni sulla relatività, alla tecnologia che permette di ibernare gli astronauti. Fino, ovviamente, a quel finale talmente famoso che non starò neanche a pretendere si tratti di uno spoiler: quando Charlton Heston trova la testa della Statua della Libertà, ancora oggi ci si caga in mano. Eppure il film non poteva che andare a parare in quella direzione: in che altro modo, dopo tutto, le SIMMIE avrebbero potuto imparare l’inglese, a meno che quel pianeta “nella costellazione di Orione” non fosse in realtà la Terra futura?
Un colpo da maestro ideato da Rod Serling, che aveva già sperimentato il formato del twist finale nel suo Ai confini della realtà , quarant’anni prima che Shyamalan riprendesse la moda e puppasse clamorosamente la fava. Il colpo di scena è un modo per convogliare una volta per tutte il messaggio del film: che l’Uomo è solo in grado di far guerra ai propri vicini e distruggere tutto ciò che tocca. Quando vidi il film la prima volta già sapevo che sarebbe finito così perché mio padre me lo aveva “spoilerato” (quando ancora il termine “spoiler” non esisteva). Eppure me lo sono goduto lo stesso, perché quella scena è potente ugualmente, è cinema allo stato puro. Il dettaglio della torcia, poi la corona… Heston che scende da cavallo e inizia a maledire il genere umano. Brividi. Riguardiamocelo.
httpvh://youtu.be/XvuM3DjvYf0
È la scena che suggella un capolavoro e che ne definisce la superiorità rispetto al romanzo. Da ragazzino sono cresciuto con il mantra “i libri sono sempre meglio dei film da essi tratti”, e ci ho creduto finché non ho letto il romanzo di Boulle e ho fatto i raffronti. Lì ho capito che un film PUO’ essere meglio di un libro, se sceglie di non ricalcarlo ma preferisce tradire il testo per dire qualcosa di unico, qualcosa di “cinematografico”. Pensate per un attimo se la scena della Statua della Libertà fosse stata scritta anziché filmata: non avrebbe lo stesso impatto viscerale, perché è una sequenza nata per un medium visivo. Solo il cinema la può raccontare.
È anche un momento chiave della fantascienza tutta. La sci-fi americana anni Sessanta era stata, fino ad allora, un’estensione di quella anni Cinquanta, in cui concetti e premesse interessanti andavano a braccetto con una realizzazione ancora legata a stilemi vecchi, tanto è vero che, rivisti ora, quei film sono chiaramente “d’epoca”. Prendete invece Il pianeta delle scimmie, ma anche 2001: Odissea nello spazio e in parte anche un capolavoro come L’ultimo uomo della Terra. Siamo di fronte a tutt’altro tipo di cinema, a scelte di scrittura e messa in scena moderne, che si scrollano di dosso l’aura da “vecchio film” per diventare senza tempo. È ovviamente il risultato della rivoluzione culturale che, a fine anni Sessanta, destabilizzò ogni campo dello scibile umano. Potrà pure esserci scritto 1968 accanto al titolo de Il pianeta delle scimmie, ma in realtà siamo già di fronte al cinema del decennio successivo. La paranoia anni Settanta, la disillusione dovuta al fallimento del ’68 (e infatti gli scimpanzé intellettuali finiscono per dover chinare il capo di fronte all’immobilismo sociale dettato dagli oranghi), la paura della guerra nucleare. Tutto confluisce e viene sviscerato con occhio attento, imbastendo allo stesso tempo un’avventura esaltante e agilissima. Il pianeta delle scimmie è tanto exploitation quanto film politico. Due coordinate che dettano il resto dei sequel: la trovata bizzarra dei viaggi nel tempo controbilancia le elucubrazioni politiche su guerra e schiavitù, raggiungendo un equilibrio perfetto tra divertimento e riflessione.
Quella che inizia come una storia narrata dal punto di vista umano (come nel romanzo) si ribalta in corsa e diventa la storia delle scimmie. Un po’ come ha fatto il mio quasi omonimo con la saga dei Morti viventi, in cui ha professato più volte la sua simpatia per gli zombi, Paul Dehn, sceneggiatore chiave della saga a partire dal secondo capitolo, L’altra faccia del pianeta delle scimmie (1970), a un certo punto prende decisamente la parte delle scimmie. Il secondo film è ancora un po’ incerto, e tenta di riprendere in parte le atmosfere del primo, azzeccando qualche sequenza (specialmente quella delle rovine di New York fotografate come rovine greche e romane, tanto per ribadire come ogni grande civiltà possa cadere) e alzando la posta in gioco in un finale di un nichilismo ancora più devastante dell’originale, anche se meno iconico. Roba che oggi non si vedrebbe mai, MAI, in un blockbuster commerciale. Da Fuga dal pianeta delle scimmie (1971) il franchise cambia totalmente direzione, spostandosi ai giorni nostri con un geniale time-loop: Cornelius (Roddy McDowall, vera star della saga che amava tornare a casa dal set guidando con il make-up ancora intatto, per spaventare gli automobilisti) e Zira viaggiano indietro nel tempo a bordo della navicella su cui era giunto Taylor, e inavvertitamente danno il via alla stirpe di scimmie evolute che un giorno dominerà il pianeta. Sarà loro figlio, Cesare (sempre McDowall) a guidare la rivolta degli schiavi/scimmie nel successivo 1999: Conquista della Terra (1972), che torna a essere politico quanto il primo, ma con la prospettiva ormai ufficialmente ribaltata. L’ultimo della serie classica, Anno 2670: Ultimo atto (1973) sembra dirci che il futuro può essere cambiato e che c’è speranza per la convivenza pacifica tra scimmie e umani, ma si chiude, come da tradizione, in maniera abbastanza ambigua.
Tralasciando il remake di Tim Burton, la nuova saga iniziata da L’alba del pianeta delle scimmie (2011) tenta la strada del remake rivisto e corretto di 1999: Conquista della Terra e re-immagina le origini di Cesare togliendo di mezzo Cornelius e Zira e i loop temporali. Ora, a me non dispiace il film di Rupert Wyatt, ma non posso negare che, per amore del “realismo a tutti i costi”, si sia eliminato uno degli elementi bizzarri che facevano la forza della serie anni Settanta. Perché c’era il realismo, è vero, ma non a scapito del fantastico. D’altro canto il genere si chiama “fanta-scienza”. E, come si diceva prima, Il pianeta delle scimmie è tanto politica quanto exploitation. Bisognerebbe ricordarlo a tutti quelli (e non mi riferisco certo al caso de L’alba, eh) che oggi spacciano la poca fantasia con la ricerca della “plausibilità”.
Detto questo, lascio la parola a Darth Von Trier, che ne avrà da dire.
DVD-quote:
“Alla fine il pianeta delle scimmie era la Terra!!1!”
George Rohmer, i400Calci.com
—
Grazie George, diamoci un po’ la carica con questo groovettone del maestro Lalo Schifrin in tema.
Sigla!
httpv://www.youtube.com/watch?v=NkDdRZVcW1E
Tralsciando tutti gli aspetti prettamente cinematografici, giacché il mio caro collega George vi si è ampiamente soffermato, mi concentrerò su altro e cercherò di mettere a fuoco con voi alcuni degli aspetti culturali più rilevanti de Il pianeta delle scimmie.
Cominciamo col fatto più evidente, cioè che è la prima grande saga, continuativa e unitaria, del cinema.
È insomma il primo franchise propriamente detto -da questo concetto dobbiamo escludere le saghe di mostri della Universal e affini perché non formano un corpus narrativo coeso- ed ha tracciato il solco su cui ogni serie e franchise futuri si sono mossi, fino ai giorni nostri.
Il Pianeta delle scimmie godette immediatamente di un successodi pubblico travolgente, un successo talmente dilagante, sperato ma insapettato a tali livelli, che il mercato non era pronto a sfruttarlo all’uscita del primo film ed iniziò un po’ in seconda battuta. C’era in qualche modo merchandise per i fumetti e per i cartoni animati, c’era per i succitati mostri dei film – i vari Frankenstein, Dracula e compagnia mostruosa – ma non c’era, e non c’era nel modo in cui si concretizzò, per una saga così lunga e ramificata; fu un fiume in piena che tracimò invadendo qualsiasi oggetto della cultura popolare, per più di dieci anni filati, partendo propriamente in quarta a ridosso del secondo film. Sarebbe accaduto di nuovo con Star Wars quasi due lustri dopo e da lì in poi sarebbe stato definitivamente il modello commerciale di un certo cinema per sempre.
httpv://www.youtube.com/watch?v=xJ6gmxvGqVs
“Un’apparizione promozionale in costume, completamente a vanvera, dei primi anni settanta”
Questa potenza “cultural-popolare” generata dal film, al di là di evidenti meriti artistici e commerciali, è lampante se pensiamo che ancora oggi è al cinema, riattualizzato in ben due film e che nella sua forma classica ha ancora una nutrita nicchia specifica di mercato.
La fruttuosa saga partì con un episodio a budget medio-alto – circa sei milioni di dollari -, con una star di assoluto richiamo come Charlton Heston come protagonista e dei solidi comprimari a fargli da contorno, musicato dal veterano e futuro premio Oscar -nominato anche per Il pianeta delle scimmie- Jerry Goldsmith, si avvaleva del lavoro di una colonna di Hollywood come Jack Martin Smith per la parte visuale e vedeva John Chambers -uno dei futuri protagonisti dell’operazione CIA immortalata in Argo– al trucco e per il quale vinse un meritatissimo Oscar. Insomma le intenzioni di fare le cose per bene c’erano tutte, ma di creare una macchina così importante non credo nessuno ne avesse idea, una macchina che solo per il primo episodio fruttò quasi trentatré milioni di dollari e avrebbe continuato a macinare soldi per decadi.
httpv://www.youtube.com/watch?v=Px4YGrL5fJg
“Numeri musicali in costume per il pubblico del prime-time lì a casa”
Per capire come crebbe il fenomeno presso il pubblico vi basti notare che negli anni la saga diventa talmente importante in sé-per-sé da svincolarsi dagli attori di richiamo, via via nei sequel è la storia stessa a contare, i volti non truccati sono transitori, è una serie che si vende da sola a prescindere di chi ci sia dentro e questo per cinque film, per una serie televisiva di quattordici episodi ed una animata di altrettanti. Non male eh? Ai punti è ancora un record di tutto rispetto e diventa un record imbattibile se andiamo a vedere la qualità del tutto: per una quantità di ore di girato esorbitante e al netto di un inevitabile invecchiamento tecnico e stilistico, la qualità della saga e dei suoi prodotti satellite oscilla tra il “più che dignitoso” e lo “stellare”.
Una delle cose che ancora oggi affascina chi la vede per la prima volta, che posso solo immaginare quanto fosse trascinante all’epoca per un pubblico completamente nuovo a qualsiasi cosa del genere, è lo sviluppo completamente imprevedibile della storia. La storia della saga de Il pianeta delle scimmie a partire dall’epocale e ormai musealizzato colpo di scena sul finale del primo episodio, è un susseguirsi di trovate spiazzanti tutte di grande qualità, frutto di una scrittura intelligente e rispettosamente paracula: rispettosa perché la qualità era alta e paracula perché è tutta un gigantesco cliffhanger in cui una volta entrati è prevista una sola uscita, ovvero alla fine della saga.
Meccanismo di do-ut-des che gran parte dei franchise contemporanei non hanno granché capito del corso di “cinema e commercio” che è Planet of the apes: si ricordano tutti la lezione sul merchandise e il suo sfruttamento ad libitum per una decade, ma si dimenticano stranamente quella del “guadagnarsi per dieci anni la fiducia del pubblico con un prodotto di qualità”.
Dicevo prima che per certi aspetti è inevitabilmente invecchiato, tecnicamente e stilisticamente, ma sarebbe ingeneroso non riconoscere ai cinque film della saga i meriti visivi tutt’ora rilevanti.
Innanzitutto il design del film, l’intera progettazione visuale dell’ambientazione, dei costumi, delle maschere, degli oggetti, persino dei simboli. Esiste una palette cromatica ben precisa ed una serie di forme frutto di una visione autoriale del direttore artistico che caratterizzano l’intera saga e della quale riusciremmo a riconoscere un fotogramma senza attori solo dal mood visivo che percepiamo. Qui apro un excursus su di una cosa che ho sempre reputato importante nei film, soprattutto quelli che raccontano mondi del tutto inesistenti, e questa cosa è “la stilizzazione”.
Nel caso in esame, come appunto dicevo prima, c’è una palette di colori ben definita tutta sui toni del sottobosco e delle terre e la scelta della luce estiva, piena, quasi western, che satura dei colori che altrimenti sarebbero piuttosto spenti e rende tutto quasi disegnato.
E le forme, dicevo sempre prima, che formano un filo rosso estetico tra le forme dei glifi che le scimmie usano come scrittura e le loro costruzioni, i loro monoliti, le loro abitazioni, persino le forme dei loro vestiti. Questa coerenza interna, semplificante e appunto stilizzante è secondo me uno dei fattori che latentemente ci stampa i film nel cervello in combutta con la sceneggiatura e la regia. Star Wars ha lo stesso approccio -non credo sia una sorpresa per nessuno se vi faccio notare che ogni film della prima trilogia ha un suo spettro di colori ben preciso e che ci sia una assoluta ricorsività delle forme, no? – e anche per la saga di Lucas sapremmo dire se una cosa è in linea o meno col mood estetico del film, in un colpo d’occhio.
Ecco: in questo Il pianeta delle scimmie arriva per primo e meglio di tutti, facendo affidamento su meno budget e meno elementi, ma usando tutto al top.
Nel design del film includo anche la bellissima ambientazione, una sorta di età tardo-antica che subentra al crollo dell’impero della civiltà moderna, un medioevo nascente in cui esistono ancora alcuni elementi dell’età tramontata mentre altri sono sprofondati nell’oblio, culturale e trecnologico- in attesa di un nuovo rinascimento. Una tardo-antichità assolata e quasi western dicevo, in cui si cavalca nei canyon e si gira a cavallo ma aggirandosi nelle rovine dei templi dell’uomo moderno, ormai tramontato.
Un ultima menzione alla sintesi, anche qui perfettamente stilizzante, del make-up prostetico di Chambers che riassume l’uomo e la scimmia in un model sheet efficacissimo in cui i due animali si fondono armonicamente creando una terza specie, iconica, riconoscibile anche solo dall’attaccatura del pelo sul volto, come ben sa chi ha progettato il marchio di A Bathing Ape.
Il pianeta delle scimmie è un capolavoro di film, di saga, di concetto e di realizzazione, è tra i film che passerei a chiunque voglia capire come si progetta un film.
È un capolavoro, uno splendido nonno che invecchia più che bene, ridendo della smania di aggiornamento del cinema odierno e sta ancora lì sul trono del suo stesso franchise a ridere dei tentativi di Burton e a rimanere perplesso con il recente reboot.
DVD-Quote suggerita:
Quando la fantascienza partì talmente bene che di rado si è superata.
Darth Von Trier, i400calci.com
Tanta roba. Visto la prima volta a 12 anni con mio padre e su sua esortazione. Ammetto che mi macano i seguiti e ora vorrei recuperare.
Mi piacque molto il reboot di pochi anni fa: non conoscendo la saga come corpus unico ma “solo” come film-capolavoro, l’idea di un reboot-prequel mi spaventava molto dopo la merda di Tim Burton. E alla fine invece sono uscito dalla sala coi brividi, esattamente come mio padre: la fantascinza dovrebbe essere in grado di farci riflettere sulle nostre ansie e paure e come il film originale ha spaventato tutti col suo finale, così “L’alba…” è riuscito a creare un certo senso di inquietudine parlando di paure più recenti.
Ora ho una scimmia pazzesca (ba-dum-tss!) di guardarmi i seguiti originali e il film nuovo in uscita. Grazie ragazzi!
VIsto tanti, tanti anni fa assieme a mio padre (amante da sempre della fantascienza), che me lo spiegò passo passo, perchè al di là dei luoghi esotici e dell’avventura che era quello che mi affascinava da bambino, sono i temi etici quello che fa da motore a tutta la Saga.
Non sono comunque molto d’accordo nel dire che tutti i film siano belli (il terzo, secondo me, è semi insostenibile; il quarto molto sottotono), ma sono rimasto molto molto colpito dal reboot dell’alba che mi è piaciuto molto, e aspetto trepidante il seguito che parrebbe una bella bombetta, sia come film prettamente d’azione, sia nel sollevare alcune qeustioni etiche e morali (come faceva l’inarrivabile capostipite)
Ho ricordi a spizzichi del telefilm, ma prima o poi mi vedrò tutto il franchise originale, non foss’altro per estirpare la colpa d’aver visto quella roba là – chiamarlo film mi sembra eccessivo – di Tim Burton.
vi siete fatti perdonare di non aver postato manco un trailer del film in uscita sulle mitiche simmie…
saga che adoro tutta, senza dimenticare il serial TV andato in onda per una stagione e pure i cartoni animati!
concordo sul finale del secondo film, roba scioccante e pessimista-nera quasi potente come quello del mitico primo film.
sincere pacche sulle spalle ad entrambi,bravi!
Io ho visto solo i primi due, della vera saga, trovandoli spiazzanti già in tenera età. Sviluppato benissimo anche il rapporto Heston e Zira che sfocia nel bacio finale. Mi creò sentimenti parecchio contrastanti. Il tipico esempio di grande fantascienza, un messaggio abbastanza diretto che non cerca di lambiccarsi in metafore ingarbugliate per il gusto di sorprendere senza portare a termine il discorso. E chi ha orecchie per intendere intenda…
PS
Bisognerebbe ricordarlo a tutti quelli (e non mi riferisco certo al caso de L’alba, eh) che oggi spacciano la poca fantasia con la ricerca della “plausibilità”.”
Oh grazie.
Forse volevi dire che il primo film fruttò 33 MILIONI di dollari, che 33 MILA dollari sono un po’ pochini come incasso a fronte di 6 milioni di spesa :)
@past: per farmi perdonare ulteriormente aggiungo questo:
E se Chewbecca fosse un lontano discendente delle SIMMIE?
Comunque sì, le vecchie saghe di fantascienza avevano un loro stile riconoscibilissimo; Star Trek e le astronavi superstrane, interni in velluto, schermi giganti, scienza, Star Wars il fantasy nella fantascienza, l’unire la spada con il laser, la magia con la biologia/evoluzione (mitocondrian/Forza).
Quello che distingue queste altre due grandiose saghe con la saga delle Scimmie è l’Avventura.
Roba innavicinabile, per la storia cinematografica e gli universi che hanno creato.
Quello che viene dopo possono essere solo tributi.
@nanni hai vinto la giornata.
sta per uscire un film in cui le scimmie dominano il mondo e gli umani stanno nascosti/rinchiusi in delle “riserve”
come mai la regia non è di Verhoeven?
@nanni
ci sta propio, ma anche koba da quello che ho visto merita…
http://www.stitchedtogetherpictures.com/wp-content/uploads/2014/06/dawn-planet-apes-koba-weapon.png
I paragrafi sull’importanza della direzione artistica sono talmente, a loro volta, fondamentali, che mi verrebbe da desiderare una rubrica che si occupi degli esempi più riusciti in questo senso. Non sarebbe una ficata?
Bravi tutti, post splendido.
hheccomùnque nel libro le sìmmie non parlano inglese ma un linguaggio loro, tant’è che il sòr Ulisse Mérou lo ha da imparare daccapo. Mannaggiacquellasderenàta U.U
Per me, il finale più bello di tutta la fantascienza. Le musiche di jerry goldsmith poi sono forse una delle cose più disturbanti che ho mai visto.
lo rivedo sempre con emozione.
Ovviamente sentito non visto, sorry!
Ecco, io avevo sempre pensato che i sequel fossero roba dimenticabile, ma adesso gli darò di sicuro un’occhiata. E io ho apprezzato il reboot, riusciva a raccontare bene la maturazione di Cesare in relativamente poco tempo, nonostante gli umani fossero dimenticabilissimi.
Comunque gran pezzo, e anche per me sarebbe bellissima una rubrica sulla direzione artistica.
@ Ace Sventura:cosa sono i mitocondrian?
@George Rohmer: ma perché il tuo nome non è affianco a quello di Darth come autore dell’articolo? Non fare l’umile!
@john: dimenticanza mia, corretta subito, grazie
Con la spavalderia di chi si sente protetto dall’anonimato che internet regala ammetto di non aver MAI visto nessuno dei 5 originali, ho visto solo il reboot che ho apprezzato molto. Chiaramente, come sempre, dopo un pezzo fomento come questo oltre al primo recuperero’ anche gli altri -anche io non so perché ho sempre pensato che fossero delle cazzatine…-
Mi unisco anche io per la rubrica sulla direzione artistica, sarebbe molto interessante. Ammesso che se di colpo cambiaste registro dal cinema alla che so… cucina, probabilmente vi leggerei ugualmente.
Teamleggotuttodei400
@John scusami, scambio sempre i midi-chlorian (http://starwars.wikia.com/wiki/Midi-chlorian) con i mitocondri (http://en.wikipedia.org/wiki/Mitochondrion)
Pardon, vado a riflettere dell’universo, della vita e di tutto quanto dentro un ippopotamo finto.
Era una battuta sui prequel, Ace, figurati.
AH, lol, l’hai nascosta talmente bene che non l’ho colta. ahahahaha
Ad ogni modo, a parte il secondo dei prequel che fece e mi fa cagare tutt’ora, gli altri due mi han fatto crescere.
E cazzo quanto mi rappresentavo in Anakin da burdel.
Lo vidi da piccolo ed ebbe su di me un effetto devastante. Solo allora riuscì a capire tante cose, non ultima la sigla di Ken Il Guerriero.
Pardon,
per i non romagnoli Burdel=Bambino.
@indie quale? You wa shock?
Ottima idea quella del ripasso. Inutile dire che Il Pianeta delle scimmie è una pietra miliare della fantascienza, film del genere non ne fanno più al giorno d’oggi… A dire il vero a me non piacciono i film molto vecchi dato che sono cresciuto con la fantascienza e l’azione post anni 80′, ma Il Pianeta delle scimmie è uno dei pochissimi film dove i tempi “lenti” caratteristici di quei tempi si legano alla perfezione con una storia più dinamica, oltre che geniale e piena di spunti nonostante la sua semplicità. Permettendogli quindi di arrivare laddove quasi nessuno è riuscito ad arrivare in questo genere.
Il sequel era un film altrettanto potente e anche più visionario, anche se meno ispirato del primo per diversi motivi. Gli altri li ho recuperati a distanza di molti anni e sinceramente non gli ho trovati all’altezza dei primi due, e causavano anche qualche risata involontaria (accadeva anche nel primo, ma non in momenti chiave almeno), e anche il remake di Burton era distante dall’originale pur essendo passabile.
Poi è arrivato il reboot L’Alba del pianeta delle scimmie (o remake di 1999: Conquista della Terra) ed è stato un gran successo, soprattutto perché è indubbiamente un gran film. E non è il solito reboot inutile perché non sfida il film originale ma contribuisce ad aumentarne la mitologia, riuscendo laddove i vecchi film sulla rivolta guidata da Cesare hanno fallito. E ora tocca al promettente secondo capitolo, vediamo se andrà a collegarsi direttamente con l’originale o dovremo aspettare un terzo film.
Visto che manca una sezione di suggerimenti, li metto un po’ a caso nei commenti:
– perché non recensite Blue Ruin? L’ho visto un mesetto fa, parla di violenza, vendetta e faide familiari ed è interpretato da un tizio che a vederlo sembrerebbe incapace di far del male ad una mosca. Personalmente l’ho adorato (il film, non il tizio);
– Un accenno ad Halt and Catch Fire? Serie recentissima della AMC (si, quella di Breaking Bad) ambientata negli anni 80, una roba che vi conquisterà a partire dalla sigla a base di synthoni ottantoni: se vi è piaciuto Blood Dragon dovete guardarla.
@Skorpio come ti risponderebbe il Capo: hai provato ad usare la casella “cerca”?
Mentre halt and catch fire me la segno alla grande
@dembo: VRONG. In questo caso avrei risposto “perché l’abbiamo gia’ fatto”.
@skorpio: la sezione “suggerimenti” e’ da intendersi come sotto-sezione della pagina “contatti”. Se ne hai altri mandaceli pure via mail cosi’ si evita di andare off topic nei commenti. Giuro che rispondo sempre “grazie” e che a volte li ascolto pure.
Anche io non ne ho mai visto uno. Dato che non ho il tempo per vederli tutti ma potrei “reggere” i reboot recenti, da dove parto?
Mi pare di capire che il film del 2011 parta da più indietro rispetto all’originale, quindi quale ordine mi consigliate? Dubito che la mia compagna accetterà di vedere un film ’68, ma bruciarsi la scena finale avrebbe poco senso…
@ExoGino: guarda il film del ’68 lo stesso. Dai la colpa a me.
//OT sorry @nanni
@skorpio
DOVE SONO I MIEI CAZZO DI DRAGONI LASER?
Cacca.Pupù. Non t’ascolto più.
OT CLOSED//
@Giovi88
personalmente i successivi al secondo li trovo belli, ma così come trovo bello ogni film di Star Trek (finchè ci sono Spock e Kirk).
Hanno un non so che di calmo e rilassato, film in cui non sei bombardato di immagini e effetti speciali, dove puoi gustare con calma l’azione, seppur banale e, a volte, ilare.
Serve, ogni tanto, avere questi momenti.
Letto tutto ora ragazzi, grazie a tutti!
@ExoGino: chettelodicoaffà, guarda il primo, solo e unico. Tutto il resto si recupera dopo con calma ma quello è uno dei fondamentali, una delle BASI.
@The Disposable: urca mi cogli in castagna. Si capisce che non lo rileggo da allora vero? Questa cosa della lingua proprio l’avevo rimossa.
Vidi la saga intera una sola volta, in un unica maratona di una decina d’ore. Rovinai tutto concludendo con il Remake di Burton…
ottimo, ottimo doppio pezzo
il primo episodio della saga che vidi (passato remoto rulez) fu in teressima età il terzo, beccato un pomeriggio in tv nei primi 80s insieme a un gruppo di amichetti prima di andare a catechismo (tipo una scena di un film di spielberg praticamente).
il ricordo è stampato nella memoria perchè, non avendo mai visti quelli prima e avendo beccato il film già iniziato, era tutto avvolto nel mistero:
chi sono queste scimmie?
perchè parlano?
da dove vengono?
Complice l’innocenza ognuno di noi formulava la sua teoria. La mia era che da un certo punto in poi l’evoluzione erea entrata in loop e quindi scimmia>uomo>scimmia.
Del primo ci sono 3 momenti che per me sono cinema nella sua più pura essenza e storia del cinema:
– la prima volta che entrano in scena le scimmie durante la raccolta degli umani
– la prima volta che charlton riacquista la parola “TOGLIMI QUELLE ZAMPACCIE DI DOSSO, MALEDETTO SPORCO GORILLA! ” citato intelligentemente nel reboot
– manco lo devo dire giusto?
“…nel romanzo, il pianeta delle scimmie è effettivamente un mondo alieno. Il fatto che i primati parlino la stessa lingua degli astronauti non viene spiegato, perché non ce n’è bisogno.”
Forse ricordi male, del resto lo hai letto molti anni fa.
In realtà nel romanzo è il protagonista che impara la lingua “aliena” delle scimmie e ci mette anche tanti mesi per farlo, durante il suo periodo come “animale da esperimento” nel laboratorio di Zira.
Solo quando finalmente riesce ad esprimersi bene, gli organizzano una specie di congresso/inquisizione dove deve dimostrare di essere effettivamente intelligente e non soltanto un animale ammaestrato da Zira a ripetere i suoni appresi.
[Il parallelo è chiaro con gli esperimenti di quegli anni dove si insegnava ai gorilla a parlare il linguaggio dei segni e c’era molta attenzione verso un tema, forse popolare all’epoca, riguardo ad una possibile regressione degli uomini allo stato “primitivo” e alla possibilità ipotizzata che le scimmie potessero, all’opposto, progredire se correttamente stimolate. Lo scienziato che accompagnava il protagonista infatti, dopo lo shock iniziale della cattura e della prigionia, si era “devoluto” nel giro di pochi giorni fino a diventare un contento animale da compagnia.]
Quando il protagonista parla per la prima volta al congresso, lo shock generale tra le scimmie è tanto e corrisponde un po’ alla scena del film: “Toglimi quelle zampacce di dosso, maledetto sporco gorilla!”
Non direi che la versione cinematografica supera il romanzo originale, il romanzo ha basi ben più solide del film, ma questa è ovviamente opinione personale.
Sì mi hanno già segnalato la cosa poco sopra e in effetti era una cosa che avevo rimosso totalmente, avendolo letto ormai una diciottina di anni fa (dio mio…). Beh certo sulla superiorità o meno non mi metto a fare discussioni. Trovo semplicemente che da un lato ci sia un romanzo “carino”, non certo un classico della fantascienza, tanto è vero che tutti più o meno si dimenticano dell’esistenza. Dall’altro c’è un capolavoro del cinema che ha segnato l’immaginario. Due pesi diversi.
Un paragone possibile è Blade Runner. Certo lì parliamo di Dick, mica l’ultimo stronzo, eppure non è uno dei suoi romanzi migliori. Il film ha modificato radicalmente il testo, lo ha snellito, ci ha aggiunto QUEL monologo finale e ha fatto la storia.
Ricordo che vidi il primo a 7-8 anni e quel finale mi tenne sveglio tutta la notte. Fu il primo film “apocalittico” della mia vita e da allora niente del mio rassicurante mondo di bambino fu piu` lo stesso, ricordo ancora la strizza che mi prese quando quel mattacchione di Gheddafi sparo` due missili a Lampedusa, ero davvero convinto che fossimo sull’orlo della fine… per non parlare poi di Chernobyl che venne poco dopo, etc. Insomma un film che ebbe (e ha tuttora) una presa bestiale sul mio immaginario. Trovo gli altri film parecchio inferiori, specialmente tutti quelli dopo il secondo, alcuni sono invecchiati malissimo e onestamente, sono pressoche` privi del carico da 11 del primo capitolo. Il film di Burton e` bello e interessante come una colica renale, mentre invece devo dire questo ultimo reboot ci sta dentro di brutto senza scimmiottare (dehehiho) l’originale, in particolare il personaggio di Cesare ha uno spessore notevole, quindi mi sparero` molto volentieri il secondo capitolo.
E comunque Charlton Heston era un MOSTRO del cinema, cazzo
Sai “George”, il confronto tra la (poca) notorietà di un qualsiasi romanzo del genere fantascienza con la (grande) notorietà di un film di Hollywood è un paragone veramente poco indicativo. I metri di valutazione sono molto di versi. Se consideriamo poi che praticamente tutti i romanzi di fantascienza sono per lo più sconosciuti alla gran parte della popolazione finché non ne fanno un film di successo…
Comunque concordo su Blade Runner, gli androidi che sognano pecore elettriche non è affatto tra le migliori storie di Dick, né è invecchiata molto bene. Ma il pianeta delle scimmie, letto penso 5-6 anni fa, è su standard molto più alti e quasi “senza tempo” visto che parla di un mondo alieno sviluppatosi similmente al nostro (e giunto all’epoca della conquista dello spazio al momento dei fatti narrati) e non di un’America del “futuro” dove i replicanti sono meccanici e i poliziotti indossano cappelli di feltro e usano revolver anni ’50.
Mi è piaciuto il “ripasso” della serie. Non ho mai avuto il coraggio di guardare altro che il film originale e il suo seguito, fino al nuovo millennio quando vidi il rifacimento di Burton (che va di moda snobbare ma ha un suo perché). A breve mi avvicinerò a questa nuova serie, attirato dai voti generalmente favoreovli.
Dal canto mio, mi lamentai soltanto dei titoli italiani della vecchia serie
http://doppiaggiitalioti.wordpress.com/2011/03/08/della-serie-titoli-italioti-10-puntata/
e vedo che ci sarebbe da lamentarsi ulteriormente visto come stanno traducendo i titoli di questo nuovo “reboot”.
@Ace Sventura
A me non sono piaciuti proprio per quello che dicevo sui primi riuscitissimi due: ritmo troppo lento e in buona sostanza poco da dire/aggiungere. Oserei dire che spesso si sfiora la trashata..
Che serve avere questi “momenti” sono d’accordo, infatti alcune volte ripesco la morte di Cornelius nel terzo film, che per il regista doveva essere un momento tragico invece ne è uscita una roba comica (urlo stile colpo di tosse + pupazzo che cade e rimbalza).
anche io ero piccoletto (8/10 anni?), ricordo il televisore sopra il frigo dei gelati nella società di bocciofila che frequetavo nel paesino delle vacanze estive
all’inizio, tra il calciobalilla e il biliardo, non seguii il film con troppa attenzione
piano piano pero’ la storia cominciava a colpirmi e mi chiedevo come mai un uomo fosse prigioniero delle scimmie
alla fine mollai tutto e mi dedicai al film, fecendo una delle poche cose sensate di quell’epoca
sarà che all’epoca le bombe H avevano sostituito la figura dell’ Uomo Nero (per dire, guardavo con sospetto ogni aereo che di sera volasse sopra la mia zucca) ma quella scena finale mi dà un senso di inquietudine ancora adesso
Visto ieri sera per la 1 (!) volta, bellissimo.
Ne voglio ancora… grazie per avermi spinto -mettete sempre addosso una voglia esagerata di vedere le opere che incensate- a vederlo.
Grazie 400calci
Il film di Burton non è poi tanto male. XD
Purtroppo il colpo di scena te lo sviscerano alla grande in TV, sopratutto quando uscì il film del 2001! -.-
Ho visto solo i primi due della saga classica. Il primo mi è piaciuto molto. Il secondo meno, anche se non l ‘ho visto tutto. Dovrei quindi rivederlo, ma mi è sembrato un po statico. Boh!
Rod Sterling oltre a questo film ho scoperto che ha sceneggiato anche “Sette giorni a maggio”! Peccato che non babia sceneggiato più film e se ne sia andato così presto!
“ma si dimenticano stranamente quella del “guadagnarsi per dieci anni la fiducia del pubblico con un prodotto di qualità”.”
Già!
“Hanno un non so che di calmo e rilassato, film in cui non sei bombardato di immagini e effetti speciali, dove puoi gustare con calma l’azione, seppur banale e, a volte, ilare.
Serve, ogni tanto, avere questi momenti.”
Quoto!
Il film originale aveva senso,figlio del pericolo nucleare, lasciava intendere che la razza umana si era annientata e le scimmie avessero preso il loro posto, un messaggio forte come un pugno nello stomaco, infatti il film ebbe il successo che meritava, nel seguito infatti c’è proprio una bomba atomica come protagonista; gli altri seguiti del film originale sono imbarazzanti e anche di scarso livello filmico.
La scimmia nuda balla quest’anno. Vogliamo Gabbani testimonial di Kong e War of the eccetera.