Era il 1990, o giù di lì, e un imberbe Bongiorno Miike imparava, fissando uno schermo di un televisorone a tubo catodico (magnificamente ancora scevro dagli influssi del MOIGE), una lezione importante: “tutti hanno un prezzo”. A impartigliela Ted DiBiase, alias Million Dollar Man, con una delle sue gimmick migliori di sempre. Sono passati molti anni e la situazione, per quanto mi riguarda, non è cambiata. Tutti hanno un prezzo. Il mio? Abbastanza basso: 8 minuti.
Otto infatti sono stati i minuti necessari a Death Factory per comprarmi tutto insieme (e con in omaggio una mountain bike con cambio shimano firmata da Gianni Bugno). Ma andiamo con ordine. Death Factory è un film con pochissime pretese, con ancor meno soldi, girato da uno che ha fatto l’attore in Elizabethtown, una locandina oggettivamente brutta e dotato di un omonimo (uscito 12 anni fa) con cui sembrerebbe giocarsela su chi gratta di più il fondo. A queste premesse aggiungiamoci, tanto per gradire, il fatto che su 79 minuti di film 4 se vanno in una sequenza interminabile di titoli di testa, a dimostrazione del fatto che -molto probabilmente- buona parte delle maestranze ha lavorato per la visibilità. Data la qualità dei titoli probabilmente avrebbero preferito lavorare gratis appositamente per non apparirvi.
Ed eccoci infine ai famosi otto minuti. Che sono il tempo dell’introduzione, relativamente pretestuosa, a Death Factory. Otto minuti che vi fanno capire che le buone intenzioni ci sono, che il manico registico ogni tanto vacilla, ma che l’intento è chiaro, il coraggio non manca e la violenza, qui, non è un optional. Otto minuti che ti esplodono davanti e con i quali, per il rimanente del film, ci si deve fare i conti. Sotto numerosi punti di vista. Primo tra i quali il fatto che quella roba lì non la si vede più. Inutile girarci intorno, Death Factory, dopo un inizio col NOS, finisce il protossido e rallenta decisamente. Ma -ATTENZIONE!- non per questo va piano. La trama è buona e, già sulla carta, vale l’opportunità di una visione (ma basterebbe anche solo sapere che nel cast c’è un attore che si chiama Semi Anthony). In soldoni: un tipo va in un villaggio disabitato adibito a museo dedicato ad alcuni dei peggiori serial killer della storia (Zodiac, Fish, Gein, Jack Lo Squartatore, Wayne Gacy). Con un grimorio a vanvèra e per un non ben specificato motivo, decide di riportare in vita questi serial killer. Da quelle parti passa un autobus che si ferma per un surriscaldamento del motore. Morbo della morte distribuito a caso. Bodycount. Finale.
Al netto di tutta una serie di problemi produttivi che iniziano con la A di Attori Animali e finiscono con la Z di Zeffetti Zpeciali Zcadenti, Death Factory tira fuori le palle e le porta con orgoglio sopra ai boxer come un orologio sopra al polsino. Stiamo parlando di un film che riesce -per una volta- a godere della libertà data dall’assenza del PG13 e mette in scena un po’ di sana violenza. Certo, va detto che ancora non si capisce come mai si lasci ancora tanto (forse troppo) spazio al non detto e al non visto, ma siamo comunque una tacca sopra alla media. In compenso posso dire che il finale è totalmente dedicato ai “calci volanti sulla bocca tipo Universal Soldier“. Buttali via.
Il film, ovviamente (se no non sarei IO qui a parlarne) non esente da difetti: alcune interpretazioni davvero al limite dell’indecente, alcuni personaggi macchietta (la coppia goth-punk con lui che piscia contro un muro cantando “Love will tear us apart”), uno smodato uso di scene lesbo per tentare di distrarre l’attenzione dello spettatore da buchi di sceneggiatura che fanno pensare a una spending review in fase di montaggio (“come mai la tipa è portata via da uno ma si trova in casa dell’altro?”, “come mai prima aveva la parrucca e ora no?”, “come mai a un certo punto uno scompare per 30 minuti e lo rivediamo solo nel finale?”) e infine, tema dei temi: il mancato approfondimento sui killer.
Steven Judd maneggia il materiale “serial killer realmente esistiti” con estrema superficialità, limitandosi a recuperar un novero di ghigne azzeccate e molto simili agli originali e senza andare oltre alla pagina Wikipedia (quella italiana). Anche lo stile è poco differenziato: a metterci un po’ più di voglia si sarebbe aperta la porta a parecchia varietà in più (e di divertimento). È un po’ come vedere un film su un torneo di arti marziali in cui tutti fanno solamente shaolin kung fu.
Lo sapevate che Fish una volta ha impiegato 9 giorni per divorare un cadavere (e che era un fervente cattolico integralista amante dell’autoflagellazione)? E che Ed Gein, il serial killer che ha ispirato tra gli altri Leatherface, aveva in casa resti umani di tutti i tipi ma nessun corpo mummificato? Ecco… queste son le cose che interessa sapere a noi giovani.
In conclusione il Death Factory si becca un bel pollice su perché alla fine nei suoi 70 minuti, al netto dei titoli di coda e di testa, il suo lo fa bene. Ma la prossima volta vogliamo più serial killer e meno lesbo.
DVD-Quote suggerita:
“5 serial killer al prezzo di un film per cucinare senza olio e grassi”
Bongiorno Miike, i400Calci.com
Ok su Million Dollar Man (era il mio preferito). Pollice verso su “meno lesbo”: sottotrame romantiche male, donne che si slinguano tra loro anche fuori contesto bene.
a me sta cosa che ogni tanto il buon Miike trovi dei bei film fa piacere per lui, ma sotto sotto ci vedo i primi segni dell’arrivo dell’Apocalisse, la Curse che lentamente si allontana, 40 anni di tenebre, cani e gatti che vivono insieme, SACRIFICI UMANI (qualunque riferimento alla recente 400TV è puramente voluto)
Il film magari me lo cedo,s embra aver potenziale.
Segnalo invece che a cercare Death Factory film su Google italia (si, sono una brutta persona, cercavo la sinossi di wikipedia inglese per sapere tutto prima), dopo i link ai due film, odierno e del 2002, su IMDB appare i 400 Calci al terzo posto d’onore!
Ted Di Biase….mancarone
Si ho letto su un libro di Lucarelli di Ed Gein e Albert Fish che soffriva di parafillie e mangiava i bambini,chissà se in America per farsi ubbidire dai bambini gli dirannò “se non fai il bravo ti portiamo dal Fishman”…….
Trivia:sapevate che Ted di Biase non hai mai vinto un titolo di campione per colpa di Honky tonk man e Macho Man(politiche di backstage).
Come sempre grandi ghignate leggendo le rece del buon Miike, per un film che quasi quasi mi attizza pure…pero’ a ben pensarci forse vado a rileggermi la criminal library che a suo tempo mi ero spulciato per bene e mi ero fatto una cultura non indifferente su serial killer e affini…
Ted DiBiase non ha vinto per colpa di Zangieff e di tutti i fottuti sovietici che infestavano la WWF ed avevano in odio il capitalismo!
Temo di non aver capito il passaggio sul pg13, mica c’era il rischio?
Cmq grande spunto questo, io un franchise ben fatto con un team di pazzi demmerda come protagonisti me lo seguirei alla grande. Speriamo che qualcuno raccolga l’idea
E alla voce “più serial killer meno lesbo”, suggerisco più serial killer lesbo.
Con ampio uso di forbici, sia per uccidere che per amare
@ Steven Senegal
E magari «Scissor Sisters» come titolo, con suggestioni di Brian De Palma e Sharon Stone (per «Scissors», appunto, oltre che per «B.I.»); naturalmente previo accordo con l’omonima pop-band newyorkese (già denominata, guarda caso, «Dead Lesbian»).
Ragazzi volevo solo evidenziare che i “calci alla Universal Soldier” sono letterali.
Un’ora di gore low cost di buon livello (rispetto alla media di categoria), e nel finale due che si menano alla JCVD vs Dolph con tanto di helicopter kick.
Io ero in piedi.