«Luotto, quanto ne sai sul Vietnam?»
Grazie della domanda.
Io, modestamente, sul Vietnam ne so a pacchi. Per esempio, una volta ho comprato dei poster vietnamiti da un sito vietnamita e li ho appesi in casa. Ora non ci abito più, in quella casa. Poi ho comprato una caffettiera per fare il caffè alla vietnamita. L’ho usata una volta sola, ma il caffè era discreto.
Insomma, basterebbe questo a fare di me il vostro esperto di Vietnam di fiducia; ma se ancora non mi credete, brutti stronzi malfidati, chiedete al mio stimato collega Jackie Lang. Qualche mese fa Jackie Lang è andato in vacanza in Vietnam – e a chi pensate che abbia chiesto consigli sull’itinerario?
È venuto da me tutto timido, con un foglietto ciancicato su cui aveva scritto le mete vietnamite che desiderava visitare: «Il Prado, l’Eretteo, i mercatini di Natale, San Babila, la fabbrica di cioccolato di Willy Wonka». Non era un grande esperto di Vietnam, poverino. Ma io non ho fatto una piega: ho strappato la sua lista e gli ho dato due o tre dritte di quelle giuste, impartendogli tutta la mia conoscenza in un canonico ma buffo montage d’addestramento. Poi lui è partito, ha visto tutto quel che gli avevo detto di vedere, si è divertito molto, ha guidato alla vittoria le truppe indipendentiste del Việt Minh contro il Corps expéditionnaire Français a Dien Bien Phu, poi è tornato e mi ha fatto vedere le foto sull’iPad. Bei posti. Eppure neanche così è riuscito a diventare più esperto di me in materia di Vietnam.
Ancora non mi credete? Rispolverate la cronologia del vostro browser e tornate a questo inutilmente convoluto, incredibilmente prolisso post che avevo scritto nel lontano 2013 a celebrazione del cinema action vietnamita. Ne era nata una bella discussione a tema Vietnam con tutti voi – ne ero stato molto fiero.
Bene.
I più attenti ricorderanno che quel post si concludeva con il trailer di un wuxia vietnamita di imminente uscita, Lady Assassin, che all’epoca descrivevo così: «C’è pieno di belle figliole con le cosce di fuori che si accarezzano la schiena e poi volano lanciando coltelli e giocando a beach volley come in Dead or Alive, e non riesco a pensare a un’immagine più rosea e carica di promesse per il futuro del cinema vietnamita».
E come potrei fregiarmi del titolo di “Maggior esperto italiano e mondiale di Vietnam, anche più dei vietnamiti stessi” se non mi fossi preso la briga di vederlo, questo film?
Ho ordinato il DVD, ho aspettato che mi arrivasse, ho inserito il DVD nel lettore dei DVD, e l’ho guardato.
E sapete una cosa? Nel mio post dell’anno scorso ci avevo azzeccato in pieno. Potrei semplicemente copincollare quelle poche righe e ne verrebbe fuori una recensione sintetica ma senz’altro veritiera. Tipo così:
Visto? Prima cosa: belle figliole. Lady Assassin è ambientato in un ristorante-bordello sul mare, gestito da un’elegante maîtresse e da tre giovani ristoratrici/meretrici che però – lo veniamo a sapere nella primissima scena – sono anche ladre e assassine matricolate, che arrapano gli incauti viandanti per poi ammazzarli a tradimento e rubar loro i soldi. In questo modo le giovinette si guadagnano da vivere, e il film guadagna un inizio davvero rinfrescante; PRIMO, perché si parte a bomba con una scena action tutta wuxia e tutta colorata, con le ragazze che volano, menano spadate, piroettano e compiono evoluzioni servendo scodelle di pho e infilzando i malcapitati. SECONDO, perché fa un gran gusto (ed è piuttosto sorprendente) un film che presenta le sue protagoniste come peripatetiche senza farne un dramma sociale e come spietate killer senza farne un dramma morale.
Almeno nella prima parte, infatti, “niente drammi” è la parola d’ordine, e la storia [TRAMA: le quattro ragazze trovano una quinta ragazza desiderosa di vendetta, la accettano di malavoglia nelle loro fila] è raccontata come una favoletta wuxia comica che scorre via tranquilla tra canonici ma buffi montage di addestramento (vedi sopra) e intermezzi di puro fanservice, con le figliole che si massaggiano la schiena con gli oli, fanno il bagno nella vasca tutte insieme o giocano per lunghi minuti a sepak takraw sostenute da cavi e da effetti digitali un po’ vietnamiti.
Il tutto arricchito qua e là da un paio di scene curiosamente volgarotte-osé, eppure contagiate da quell’innocenza da fiaba stupidina che permea tutto il film. Niente di che, per carità, ma in un mondo in cui i wuxia sono appannaggio del romanticismo bombardone e anelante di Hero e compagnia, fa sempre piacere vedere una deliziosa assassina volante che si fa turboschiacciare tra i cespugli da un sudicio capraio.
Insomma, c’è un po’ di tutto, ed è tutto estramemente vuoto, scemetto e piacevole da guardare, proprio come le sue protagoniste. Anche perché, fondamentalmente, il regista Quang Dung Nguyen si limita a lumare i corpi tonici e piacevolmente abbigliati delle cinque ragazze – le quali, dal canto loro, wuxiano a perdifiato o ammiccano mollemente a seconda delle indicazioni del copione. Le ragazze, peraltro, sono tutte attrici-modelle (capitanate da quella bruttona di Thanh Hang, vedi sotto), ma NON atlete o picchiatrici, per cui non aspettatevi The Raid, ma nemmeno Chocolate, ma nemmeno La foresta dei pugnali volanti. Dal punto di vista dei combattimenti le giovini fanno quello che possono, e al resto ci pensano i cavi e la CGI. Di più non è dato ottenere. Né, tutto sommato, era dato chiedere.
Scemenzuole, pirotecniche scazzottate in cucina preparando i ravioli, bei paesaggi, un po’ di cosce, spranghe digitali che ti arrivano negli occhi per esaltare il 3D: come avevo scritto in quel vecchio post, «Mi piace immaginare i cinema vietnamiti pieni di spettatori che dapprima sospirano e trepidano, poi esultano e ululano a ogni calcio volante, in una alternanza di toni che – alla lontanissima – ricorda un po’ l’India (ma senza un filo d’ironia né di comicità)». Ecco, in Lady Assassin abbiamo anche l’ironia e la comicità buffonesca, e persino una gag incentrata su UN CAZZO CHE SI RIZZA.
Mancano solo le canzoni e il melodramma tragico.
Eh, no, aspetta.
Prima arriva un intermezzo musicarello tutto languido e ubriaco, poco più che una scusa per far cantare e ballare le figliole al chiar di luna. Poi, com’era prevedibile, vien fuori che ognuna di queste etère etèree e manigolde ha in realtà un cuore grande così e/o un passato tormentato. Dopo una serie di dialoghi noiosi, cali di ritmo e colpetti di scena, arriva un tizio che, dall’alto delle righe sopra cui recita, ostenta intenzioni omicide e scatena i suoi ninja contro il bordello. (Siamo tutti d’accordo, credo, che un film dove VENGONO SCATENATI NINJA CONTRO UN BORDELLO può farsi personare qualunque intermezzo musicale).
Sia come sia, i ninja forniscono una nuova – e ottima – scusa per mostrare un altro po’ di wire-fu estetizzante, e soprattutto conducono il film verso un inevitabile
[SPOILER]
finalone tragico in cui TUTTI muoiono in maniera violenta e/o disperante e/o spezzacuore, con profluvio di lame malamente digitali che si conficcano nei toraci e io che indico lo schermo urlando «VISTO? VISTO? Incipit comico-stupido, canzoni, finale melodrammatico! Non dicevo cazzate quando citavo il cinema indiano!».
[FINE SPOILER]
Bon, che cosa rimane di questo film leggero come l’acquetta? Poco poco. A qualche ora dalla visione restano in mente solo i colori dei vestiti, e qualche immagine delle protagoniste girate di schiena, levigate, impeccabili.
In più, la consapevolezza di stare assistendo alla nascita di una cinematografia nazional-popolare con belle potenzialità artistiche e commerciali (le maestranze ci sono, i soldi a quanto pare anche), che per il momento si ferma al livello “culi e simpatia” da cartolina estiva, ma in futuro chissà.
Guardate Lady Assassin: è una roba da poco, ma se tra dieci anni il cinema vietnamita sarà allo stesso livello di Cina e Corea, voi potrete fare gli stronzi con gli amici dicendo Ah sì, me ne interessavo quando ancora non era mainstream.
DVD-quote suggerita:
«Che poi io in Vietnam non ci sono mica mai stato»
(Luotto Preminger, lonelyplanet.com)
luotto, tu che sei il mio esperto, mi spieghi meglio la scena in cui una lei “si fa turboschiacciare tra i cespugli da un sudicio capraio”?
Ehi, qualcuno si ricorda «The Best Little Whorehouse in Texas» (1982)!
Magari si tratterà di una vasta cultura cinematografica a posteriori (non mi sorprenderebbe certo), ma riesce lo stesso a non farmi sentire l’unico Roger Murtaugh in mezzo ad una moltitudine di Martin Riggs (solo per l’anagrafe, sia chiaro).
Grazie di questo e della rece, spassosa quanto illuminante: non vedo l’ora di acquistare il film su eBay (ho già qualche precedente dalla Sud Corea e da Hong Kong).
P.S. – La “gag incentrata sul cazzo che si rizza” è grafica, come usa dirsi, oppure velata tipo «Non guardarmi…Non ti sento»? Mi riferisco a quando Gene Wilder finge di avere una pistola in tasca, di fronte a Joan Severance appena uscita dalla doccia, ed in séguito confessa al sodale Richard Pryor: “Ho appena minacciato una donna con una mia erezione”.
Mica per altro: parlando di scene sexy, alla maniera di Tom Arnold ed Anthony Anderson – cultori del filone lesbian – sotto gli end credits di «Ferite mortali», anch’io mi riconosco nel postulato “Non voglio vedere cazzi”.
(Ma per me, in verità, è più un orientamento che una regola).
Luotto, recensione magnetica e carburatissima. E quando scrivi “dall’alto delle righe sopra cui recita” rasenti l’orgia semantica tudofada.
@anna: semplice – una delle ragazze ha una storia con un pastore dei dintorni. Niente sguardi sognanti e sentimenti sublimati da languidi tramonti – la loro relazione viene introdotta in una scena in cui lei scappa nottetempo e va a bombarsi il pastore sui prati, con tanti saluti a Tony Leung e Maggie Cheung.
@marco: ovviamente non è che si vede IL CAZZO, però c’è una gag molto pierinesca e assolutamente gratuita in cui un viandante ha un’erezione mentre lei gli versa il tè
Ladyboys everywhere
Best recensione of ultimi mesi.
Grazie Luotto, grazie Vietnam.