Takashi Miike, è chiaro come il sole, è un regista che non puoi imbrigliare in una definizione. Cristo, non lo potresti imbrigliare neanche in tre, forse con cinque ancora ancora ce la fai, ma devono essere cinque definizioni robuste, potenti, che si sottopongono da quando sono nate a durissimi allenamenti per riuscire a definire Takashi Miike, e comunque, anche così, non è facile.
Da Audition a 13 assassini passando per il live action di Yattaman, dai 2 ai 5 film all’anno, vi sfido a dare una spiegazione alla produzione artistica di un uomo che fa semplicemente qualunque cosa piuttosto che stare fermo. C’è il Miike politico, il Miike ultraviolento, il Miike demenziale e il Miike impegnato, il Miike amico degli yakuza e il Miike amico delle guardie, non volendo farci mancare niente noi ci siamo fatti il Miike Bongiorno, c’è il Miike horror, il Miike per ragazzi e il Miike autore di videoclip, il Miike che adatta un videogioco di avvocati, il Miike per il sociale e per forza di cose, dopo quasi 25 anni di film, c’è il Miike col pilota automatico: quello che per correttezza, in nome dell’amicizia e del fatto che tutti hanno diritto al beneficio del dubbio, facciamo finta di credere si sia presentato almeno di tanto in tanto sul set per controllare che i suoi assistenti e la seconda unità non stessero facendo fuori tutti i soldi della Warner in droga e puttane.
Palese imbucato a Cannes 2013 e inspiegabile candidato alla Palma d’oro, Shield of Straw, titolo internazionale di Wara no tate, è l’adattamento, finanziato con capitale americano, di uno di quei best seller da spiaggia con la copertina rigida buoni giusto per menare il tuo vicino d’ombrellone se riesci a prenderlo di taglio, nonché probabilmente il film più sciatto e incolore nella carriera di uno che, ci tengo sempre a ricordarlo, 10 anni fa si presentava a Venezia vestito da Zebraman.
Una bambina viene trovata morta. Il principale sospettato ha la faccia da culo di Tatsuya Fujiwara, quindi, secondo una legge introdotta in Giappone dopo i due film di Death Note, è automaticamente colpevole. La bambina aveva un nonno, immancabilmente ricchissimo e a cui manca poco da vivere che come logica conseguenza di ciò si dice fottesega della legge e mette sulla testa dell’assassino una taglia spropositata, una cifra così ridicolmente alta da far vacillare i principi di chiunque. Lo Stato, che non può permettere che la gente si faccia giustizia da sola come nel Far West, imbastisce una colossale operazione di polizia per scortare Fujiwara, vivo e in un pezzo solo, fino a Tokyo, dove sarà regolarmente incriminato e processato. Non sarà facile.
Nel 2008, la mia attuale compagna Karen Gilliam andò in vacanza in Giappone. Appena arrivate a Tokyo dall’aereoporto di Narita, non riuscendo a trovare l’albergo dove avrebbero dovuto alloggiare, lei e l’amica che la accompagnava chiesero aiuto a due poliziotti, i quali le fecero girare in tondo per ore per poi arrendersi anche loro e chiedere indicazioni a un edicolante. L’albergo era a due passi da dove erano partiti. Ora, per quanto nella vita di tutti i giorni io mi sforzi di non fare mai di tutta l’erba un fascio, confesso che questo aneddoto ha compromesso per sempre la mia capacità di prendere sul serio qualunque storia ambientata in Giappone in cui a dei poliziotti viene affidato un compito di responsabilità — ma se già così Shield of Straw non partiva sotto i migliori auspici, mai mi sarei preso la briga di iniziare a vederlo se avessi saputo cosa veramente mi aspettava.
Il modello è il thriller ad alta tensione con poliziotto superumano (ma fallibile!) che porta a termine la missione a ogni costo di chiarissimo stampo amereggano, e dell’America si affretta a prendere tutte le abitudini peggiori: mangiare di merda, fare poco moto, personaggi tratteggiati con l’accetta e una trama che non sta né in cielo né in terra. Per capirci, i due poliziotti protagonisti (gli stessi, credo, che hanno fatto carriera dopo aver risolto il caso delle due gaijin che non trovavano l’albergo) vengono introdotti prima mostrandoli al poligono di tiro, che sono super badass motherfuckers perché sparano con aria risoluta, e poi facendoli incontrare con un terzo agente che li saluta dicendo “ah, lei è il detective famoso per essere un uomo dai valori incrollabili e lei è la poliziotta che eccelle in tutti i test ma che non avanza di grado perché discriminata in quanto madre single”.
Completato il quadro con una serie di comprimari che non ci si è neanche presi il disturbo di stereotipare e un cattivo irritantissimo (per forza, è Tatsuya Fujiwara) che non fa che piagnucolare e ridere per quasi tutto il tempo completamente a caso, il film procede con lo stesso schema che si ripete sistematicamente (e senza un vero climax) per due ore e dieci: i pulotti escogitano un modo per trasportare l’assassino da un punto A a un punto B > qualcuno li tradisce > sparatoria > un membro della squadra muore.
“Vale la pena rischiare la vita per proteggere un delinquente?” è il dilemma morale attorno cui ruota il film e che molto probabilmente il pubblico avrebbe intuito anche senza bisogno di farlo ripetere ad alta voce, cronometro alla mano, ogni 10 minuti da ogni singolo personaggio. A quanto pare a Miike, o chi per lui, interessa a pacchi il tema della fedeltà allo Stato, il senso del dovere che prevale su pancia, cuore e convinzioni personali, ma nella foga di questa scialba lezioncina di educazione civica filogovernativa, si perdono per strada una quantità di spunti di gran lunga più interessanti sul senso della vendetta (un nonno distrutto dal dolore ha il diritto di mettere a ferro e fuoco un Paese per la propria soddisfazione?), sul rapporto tutto sorto del Giappone odierno col denaro (i soldi possono comprare qualunque cosa? le persone hanno tutte un prezzo?), sui vizi e le contraddizioni del sistema giudiziario (l’assassino viene salvato solo per poterlo poi giustiziare “legalmente”); qualunque opinione viene accuratamente messa a tacere, ogni strada alternativa evitata (il Miike di 15 anni fa non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di portarti a tifare per l’assassino pedofilo per il puro gusto di farti vergognare di te stesso), la violenza tenuta a debita distanza, quando non sbrigata addirittura fuori campo. In tutto questo, la cosa più audace che fa Miike è far esplodere un camion, e pure lì c’è grossa puzza di green screen.
Non ha alcun senso fare i puristi e non biasimo il Take per la “commercialata” (non è la prima e non sarà l’ultima e non è detto che non possa essere divertente) né per aver fatto un film in cui i cervelli rimangono nella scatole craniche: quello che davvero fa specie è la pigrizia di raccontare una storia in modo così impersonale, senza adottare alcun punto di vista, senza sollevare un dubbio che sia uno. Forse per il regista che nella sua carriera ha osato tutto, la sfida finale è non osare niente. Nel dubbio, vaffanculo Warner.
DVD-quote:
“Pensavo fosse Miike, invece era un neMiike”
Quantum Tarantino, i400calci.com
Visto qualche tempo fa. Davvero sottotono rispetto al solito Miike (anche recente, basti pensare a Il canone del male), però il meccanismo è abbastanza interessante da farti arrivare fino in fondo e col mestiere almeno la sufficienza (risicata) per me se la porta a casa. Uno che nel commerciale invece ha sbracato davvero male è Takashi Shimizu con 7500, watch at your own risk.
Quoto.
Visto or ora, alla fine non è cosi male. Non sarà Ichi the killer ma il 6 glielo do.
Ma… ma… una volta Karen Gillan mi ha baciato nelle vicinanze dell’angolo esterno della bocca e ritenevo, a ragione, di avere delle possibilità oggettive….
Il film sarà così così, ma i tuoi tag meritano un oscar!
Sembra la trama di S.W.A.T. con Samuel Jackson. Anche quel film aveva la trama ridicola ma almeno era divertente nelle scene d’azione. Ve l’immaginate nella realtà? Toto Riina deve assere trasportato dal punto A al punto B,offro 100 milioni di euro a chi lo ammazza. Io dico che la polizia si fa un bel viaggio di piacere senza nessuna interferenza.
L’ho visto in aereo andando in Giappone, coi sottotitoli in Inglese.
A me non era dispiaciuto (anche se non mi ero manco reso conto fosse dello stesso regista di 13 Assassini, che è obiettivamente di altro livello).
Grazie per i tag.
qui non sembra il miike da pilota automatico.. speriamo bene:
Kamisama no iu tôri (As the Gods Will)
@giammin cosa diavolo… LO VOGLIO ORA!
Ma solo a me è venuta l idea che dopo il primo intoppo nel trasporto avrebbero putto fingere la sua morte e portarlo tranquillamente in auto fino a Tokyo???