Sigla!
Yippee-ki-yay! Mi venisse un colpo secco se Texarkana non è uno dei posti più interessanti di questo piccolo pianeta. La città di Texarkana (143mila anime nella totale area metropolitana) è divisa nettamente in due dalla linea di confine tra Texas e Arkansas, ma proprio che la linea di confine è segnata fieramente davanti al Texarkana Federal Building, centro nevralgico della comunità che fa da tribunale, ufficio postale e probabilmente minimarket e negozio di armi, se quanto ci insegna il cinema sul Sud degli Stati Uniti è veritiero (spoiler: non lo è). Personalmente l’ho aggiunta tra le mete da visitare prima di lasciarci la pelle, anche solamente per avere la soddisfazione fare così:
In questa ridente comunità è accaduta una serie di eventi tra i più spaventosi, inquietanti e innegabilmente cinematografici che io abbia mai sentito (secondi solo, forse, ai delitti di Lake Bodom in Finlandia o ai Torso Murders): tra la primavera e l’estate 1946, un tizio incappucciato e armato, The Phantom Killer, attaccò otto persone, uccidendone cinque. La serie di delitti venne battezzata dalla stampa The Moonlight Murders, conclusi i quali il killer sparì senza lasciare traccia e senza mai essere smascherato, un po’ come un moderno Jack lo Squartatore.
Da questi eventi Charles B. Pierce (principalmente autore di western, tra cui L’uomo delle grandi pianure, e sceneggiatore di Coraggio… fatti ammazzare) trasse La città che aveva paura, un film che, rivisto oggi, non ha perso un filo di fascino. Si tratta di un film particolare, un proto-slasher che anticipa un sacco di roba: la maschera del Fantasma ricorda il sacco indossato da Jason in L’assassino ti siede accanto (o meglio, questo ricorda quello), ma ha anche una sfumatura di KKK e dunque politica; la struttura, con l’aderenza manifesta (ma non del tutto onesta) ai fatti e il taglio quasi documentaristico della ricostruzione storica anticipano invece Zodiac, e nessuno mi convincerà mai che Fincher non se lo sia rivisto millemila volte prima di girare il suo film. Il tutto è avvolto in un’atmosfera quasi western, tra gente con cappelli a tesa larghissima e uno sceriffo forestiero che giunge per applicare la legge in una comunità in preda all’anarchia.
Ora, perché vi sto facendo tutta questa premessa? Perché oggi sono qui per parlarvi di un film che con quello di Pierce condivide il titolo – quello originale, The Town That Dreaded Sundown – e la premessa, pur non essendo un remake. The Town That Dreaded Sundown 2014 (d’ra in poi TTTDS) rientra invece in quella poco frequentata sotto-categoria di seguiti post-moderni che potremmo definire “meta-sequel”. E lo so che ogni volta che si cita la parola “meta” da qualche parte muore un cucciolo di Pitbull, ma qui si applica a pennello. Perché il nuovo TTTDS è un seguito del film di Pierce ambientato in un mondo in cui il film di Pierce ESISTE e viene proiettato ogni anno a Texarkana per ricordare gli orrendi delitti del Fantasma. Ovviamente non ci vuole molto prima che il matto di turno decida di prendere spunto dal film (seguendo abbastanza alla lettera la scia di delitti così come immortalata, con più di una libertà, da Pierce nel 1976) e lanciare la sua carriera nel dorato mondo dei serial killer. Una premessa neanche originalissima, per carità, visto che già è stata usata in Nightmare – Nuovo incubo e, in misura minore ma siamo lì, in My Name is Bruce. Resta comunque una premessa bomba ma, per citare il Bardo, devi stare attento che non ti esploda nel culo.
Che è un po’ quello che succede ad Alfonso Gomez-Rejon (regista di un botto di episodi di American Horror Story e… Glee) e al suo collega rigorosamente latino-con-doppio-cognome Roberto Aguirre-Sacasa (sceneggiatore del remake di Carrie e… GLEE). Le intenzioni sono buonerrime: rendere omaggio a un cult abbastanza dimenticato aggiornandone le premesse senza realizzare il solito, stanco, inutile remake del cazzo. La riuscita è tutta un’altra faccenda: TTTDS è uno slasher molto più canonico, è carino ma ha un finale del menga in cui, in nome del Sciamalaian Twist, si manda un po’ a puttane quel minimo di credibilità che il film aveva racimolato per strada. In definitiva, però, si fa guardare e Gomez-Rejon piazza anche qui e là un paio di sequenze non male, tra inquadrature sbilenche e ammazzamenti ben coreografati e montati. Il ragazzo ha occhio e si farà.
I guai del film sono altri: prima di tutto, un’adesione eccessiva ai codici standard dello slasher, a partire dal trauma che colpisce la comunità nel passato, per arrivare alla commemorazione attuale che “riattiva” il killer e poi, ovviamente, alla final girl che gli darà del filo da torcere e rimetterà più o meno le cose a posto. La final girl in questo caso è Jami, morosa di una delle vittime (Spencer Treat Clark, sguardo da triglia che ho riconosciuto, dopo essermi scervellato per qualche minuto, come il figlioletto di Bruce Willis in Unbreakable) determinata a scoprire la verità sul vecchio e nuovo Fantasma. Il fatto che Jami sia interpretata da quella gran figa di Addison Timlin non guasta, anzi. Ma resta il fatto che il suo è un personaggio privo di mordente e carisma.
E non fatemi nemmeno cominciare a parlare dell’assenza totale di riferimenti western che rendevano l’originale così “originale”: ovviamente qua tutto è affogato in quella patina finto-sporca da slasher moderno che ha probabilmente origine nel remake nispeliano-bayano di Non aprite quella porta e che, siccome a noi ci piacciono le definizione buffe, chiameremo “Nispelgram”. Il Nispelgram è uno dei flagelli dell’horror contemporaneo, con la sua grana stilosa che non è altro se non la versione hipster dello SPORCO vero, quello del Non aprite quella porta di Tobe Hooper, quel lurido sudiciume che ti si attacca addosso come puzzo di maiali scannati in una fattoria dell’East Texas sotto il sole d’agosto. E niente, alla fine gli anni Settanta vincono sempre.
DVD-quote:
“Il passato visto da un filtro Nispelgram”
George Rohmer, i400Calci.com
“Yippee-ki-yay, Texarkana!”
Un contadino dell’Arkansas
Non credo che vedro’ questo film, se non altro perche’ di questi horror “meta” ne stanno uscendo a pacchi e uno non ha proprio il tempo di seguire tutto.
Tornando al film, credo che tu abbia centrato il problema, anche se (mi permetto) indirettamente: non c’e’ quasi niente che lascia credere che i due tipi col doppio cognome potessero fare un horror minimamente decente o orginale. Saguirra-Sacasa viene dal teatro, ha lavorato per la Marvel, e in televisione si e’ occupato di Big Love e Glee. Il regista e’ un collaboratore di Ryan Murphy, produttore di Glee e American Horror Story. Ho l’impressione che i due abbiamo deciso di collaborare insieme e fare un horror (prendendo spunto da un film sconosciuto, e giocarci su, tanto per… ) solo come sfida intelletuale o per far vedere quanto sono bravi a giocare coi generi. Tanto vale andarsi a vedere i film di Adam Wingard e Ti West, almeno loro ci credono e si sente.
Roberto Aguirre-Sacasa, ho addirittura sbagliato a copioincollare il nome…
Visto qualche tempo fa con aspettative troppo alte…e infatti sono rimasto deluso dalla prevedibilità del tutto.
oh ma avete visto che bello il nuovo trailer di Chappie di Blomkamp!
sembra fico assai tipo un Automata con il quadruplo dell’ azione…
è uscito pure il trailer dell’ultimo über-liam…senza contare quello di kingsman che ormai un altro pò ed esce in sala…i regaz sono diventati pigri sui trailer…
Metacinema con la pala, accademia e piacionismo estetico a pioggia, saturazioni e smarmellamenti in ogni dove, insomma che sia della premiata ditta Murphy-Gomez te ne accorgi al volo. Ha il pregio di durare poco e sembra avere tagli di produzione mal ricomposti ed ha almeno una morte ben coreografata, tutto sommato ha meno infamie di altri ma si dimentica già mentre lo si vede.
Non seguo American Horror Story (men che meno Glee) perché in genere me ne parlano tutti piuttosto male. Mi sa di quelle serie che le guardi perché sì, ma ti lamenti di ogni singolo episodio.
@Zen My Ass: ti assicuro che NON E’ sfida intellettuale. L’unica cosa vagamente “intellettuale” è l’idea di base, la realizzazione rientra completamente nei canoni dello slasher. E la realizzazione di certe scene è comunque la cosa migliore del film. Tizio col doppio cognome secondo me potrebbe fare belle cose, se gli scriverà qualcun altro la sceneggiatura.
Una domanda necessaria: Addison regala gioie?
No, perché ho ancora nella retina la 4×01 di Californication e, sai com’è…
Purtroppo no.
Detto ciò è il raro slasher in cui vedi tette (non di Addison), e questo ho dimenticato di dirlo.
Il film secondo me non è male. George Rohmer dice alla fine il giusto. Si lascia guardare benissimo e nonostante la patinatura con cui bisogna fare dei compromessi è girato con cura. I movimenti di macchina sono tosti e se c’è una cosa che Alfonso Gomez-Rejon sa fare in American Horror Story è girare e lo fa alla grande (tralasciando che la sceneggiatura è una merda. Tranne la seconda stagione che è una bombetta). Per il resto è stato seconda unità di un sacco di cose fighe (Babel, Argo) dove ha acquisito esperienza. Come in AHS la questione sta tutta in sceneggiatura e vedendo cosa ha fatto chi scrive gli è andata pure bene perché nonostante nessun guizzo il film scorre. certo, si fa anche dimenticare ma non annoia e arrivi alla fine ricordandoti quella cosa del film vero nel film finto e un paio di omicidi non male. Ho visto di peggio. Ho visto Ouija.
Horror orrendo come ormai è la prassi, l’unica cosa positiva è che almeno tra una grattata di coglioni e un pensiero a veronica moser, non si spegne per forza dopo 10 min con una bestemmia
Charles B. Pierce è un autore molto curioso. I suoi western sono film per ragazzi ultra-romantici, ma comunque parecchio violenti. Comunque è soprattutto conosciuto come autore di “The Legend of Boggy Creek” del ’72, un altro docudramma horror parecchio cult in America, che è il vero ispiratore di “Blair Witch Project” (non tanto “Cannibal Holocaust” come piace dire a noi italiani).
Scusate, ma cosa significa KKK? Kentucky Kried Khikcen?
@Dan credo tu lo sappia, visto che anche il film piu’ famoso del tuo quasi alter ego se non sbaglio li buttava nella mischia, il Ku Klux Klan, movimento razzista americano
@Dan
KKK significa questo:
Kuanto Kazzo Konti, per la serie, conti un ℅ x quel che conti.
(Ti Basta?)
Onesto Horror da un regista dal buon potenziale.
Una cosa molto interessante è che Texarkana era anche la città dove viveva Pierce da piccolo:quando si svolsero gli sgradevoli fatti narrati nel film lui c’era, ed era già abbastanza grande da essere un buon testimone dell’atmosfera di paranoia che serpeggiava nella zona