Dio mi è testimone, io ho sempre cercato di dare dignità a tutti i film brutti.
Sul serio.
Dare dignità a un film brutto non significa sforzarsi di trovarne i pochi elementi riusciti.
Non significa neppure “andarci piano”, ammorbidire il giudizio, moderare i termini – tutt’altro.
Dare dignità a un film brutto è una cosa diversa: è sprecare tempo ed energie per demolirlo nel modo giusto, è cercare il suo profilo peggiore per illuminarlo nella maniera meno lusinghiera, è studiarne i punti deboli per capire dove sparargli con più gusto e cognizione di causa. È, in altre parole, tentare di incasellarne la bruttezza in una determinata classificazione Dewey di bruttezza. Tutti sono capaci di guardare una merda e dire che è merda, ma non tutti si prendono la briga di assaggiarla a cucchiaiatine per capire che tipo di merda è. È robusta alla vista ma friabile alla masticazione, come un mobile tarlato? È farinosa e secca, come certe mele? È papposa come l’avena? Se calpestata, assomiglia di più alla neve fresca, alla neve artificiale, alla neve ghiacciata? Presenta tracce di arachidi? Presenta arachidi intere? Tracce di sangue? Muco? È salata, dolciastra, strutturata, fruttata, floreale? In tutti questi anni di visioni che cosa sono diventato io – e che cosa spero siate diventati anche voi, amici lettori – se non un sommelier della merda?
Badate bene, è giusto così: anche il più indifendibile dei brutti film merita una reazione fisica qualsiasi. Accessi d’ira, irritazioni allergiche, braccia che cascano, latte alle ginocchia, palle gonfie, secchezza delle fauci, quello che volete, anche la più antipatica o inacidita o violenta delle reazioni. Tutto, ma non l’indifferenza. Tutto, ma non un semplice «È brutto» buttato via, un non-giudizio che non rende giustizia a noi come spettatori prima ancora che al film in quanto tale – noi che di fronte a quel film di merda abbiamo appena passato (e probabilmente buttato nel cesso) due ore della nostra vita.
Ecco perché ho sempre, SEMPRE cercato su queste pagine di dire un minimo di più di quelle due paroline d’ordinanza, anche nei confronti dei film più sciatti e impresentabili.
Ce l’ho messa tutta.
Fino a oggi.
Oggi devo scrivere di Leprechaun: Origins, e Leprechaun: Origins è il film dove tiro una riga.
Basta. Niente recensione, stavolta. Niente paragoni fantasiosi, niente espedienti buffi, niente barzellette, calembour, tricchetracche; niente aneddoti sulla mia vita per introdurre un discorso sul film, niente aneddoti sulla vita di redazione, niente sforzo di attribuire una dignità a chicchessia. Ci ho provato, ci ho SEMPRE provato, a parlar della merda come gli eschimesi parlano della neve. Ma Leprechaun: Origins è un film che chiede, che PRETENDE il disinteresse. C’è un limite. Basta.
Niente sigla, nemmeno.
Un accenno di contesto storico, giusto per rispetto dei fondamentali:
quella di Leprechaun è una serie di film iniziata nel 1993 con Leprechaun e proseguita nel corso degli anni con ben cinque sequel (il primo uscito al cinema nel 1994, gli altri direct to video) tutti prevedibilmente peggiori del primo e tutti caratterizzati da una progressiva discesa nella scempiaggine. Se già il primo film era un godibile horror balengo con fortissime derive comiche e grottesche (a cominciare dal fatto che il protagonista assassino era un folletto irlandese in calzettoni che snocciolava filastrocche), i successivi aumentano a dismisura la percentuale di ridicolo fino a sfociare in Leprechaun 4: In space, che avrete già capito dove sia ambientato, e negli ultimi due, Leprechaun: In the hood e Back 2 tha hood, tutti a base di ghetti, Ice-T nel cast e leprecauni che si stonano col bong. Per farla breve, un divertente film di culto imbevuto di primi anni novanta, seguito da una schiera inutilmente lunga di buffonate perfette per una serata con i vostri amici più beoti. Valori aggiunti: una giovanissima Jennifer Aniston da deridere nel primo film, e il grande Warwick Davis a interpretare il Leprechaun in tutti e sei, ritagliando così alla serie un posto d’onore nella storia del Cinema di Nani.
Passano gli anni e diventa il 2013. Di tutte le compagnie di produzione che ci sono nel mondo, a interessarsi alla possibilità di un reboot della serie di Leprechaun è la WWE Studios, sussidiaria della World Wrestling Entertainment nonché responsabile di molti film interpretati da wrestler, dal Re Scorpione a 12 Rounds a Il collezionista di occhi. Quindi OK, non esattamente la Amblin, ma il potenziale non manca – e se c’è un personaggio che tutto sommato avremmo voglia di vedere new and improved è proprio il turpe e volgare folletto nano.
Poi, alla presentazione del film alla NY Comic Con del 2013, annunciano quanto segue:
Non aspettatevi il maligno folletto spara-battutacce dei film originali. […] Leprechaun: Origins sarà un film a sé stante, con un tono più dark e un approccio molto più serio.
Peccato, ma… almeno i nani restano, giusto? Che senso avrebbe fare un film su un leprechaun senza un leprechaun? O peggio, con un leprechaun alto?
Tranquilli, dicono quelli della WWE, ci pensiamo noi: e per interpretare il leprechaun reboottato scelgono il nano principe della loro scuderia: Dylan Postl, in arte Hornswoggle, wrestler nano a 24 carati.
Nano.
Wrestler.
Atletico ed esuberante.
Nel ruolo che fu di Warwick Davis.
Stacco su: i miei occhi che hanno assunto la forma di due cuori trafitti da tante piccole spade d’amore.
Stacco su: Nanni Cobretti che, ovviamente, mi indica e dice: «Questo lo recensisci tu».
Dissolvenza in nero.
Fine del flashback, torniamo a oggi. A quando ho scritto che Leprechaun: Origins è il film che mi rifiuto di recensire.
E non scherzo, eh. Giuro che non lo recensisco. Non ne ho voglia. Non se lo merita. Ve l’ho già detto e lo ripeto.
Però fate attenzione: questo non vuol dire che Leprechaun: Origins sia il film più brutto che io abbia mai visto.
Anzi. L’ho guardato senza annoiarmi troppo, con un minimo sindacale di attenzione verso la storia raccontata. Ci sono milioni di film che mi hanno fatto incazzare di più, girati peggio, più ridicoli, più disonesti, più antipatici; ci sono miliardi di film più noiosi.
Questo è uno slasher brutto. Punto.
Quattro giovani turisti passano la notte in una sinistra cabin in the woods, vengono aggrediti dal mostruoso leprechaun, scappano, muoiono. Tutto qua. Zero idee, zero personalità. Uno slasher iper canonico e brutto. Se non avessi giurato a me stesso che non avrei sforzato il cervello neppure di un ampère per trovare qualche definizione originale, avrei potuto scrivere cose del genere:
– Questo film sta al genere slasher come la muzak da ascensore sta alla musica.
– Più che un film sembra il risultato di un identikit ricavato dalla media matematica delle testimonianze di cento persone a cui è stato chiesto “Mi descriva un film slasher in cinque parole”.
– Colore paglierino scarico, erbaceo al naso con ricordi di letame. Manca di struttura in bocca e il finale denota una carenza di ferro.
Ma ho giurato che non avrei recensito questo film e quindi ecco, SMETTO di parlarne.
Parliamo invece di un’altra cosa.
Parliamo del leprechaun, e del povero Hornswoggle che lo interpreta.
Succede questo: succede che «il tono più dark e l’approccio più serio» promesso al Comic Con si è tradotto, nella mente di quel fuoriclasse del regista Zach Lipowsky (uno famoso per essere stato finalista in un reality show in cui il vincitore si beccava i soldi per fare un film, GIURO), si è tradotto, dicevo, nella decisione di abbandonare completamente l’iconografia tradizionale del leprechaun come folletto irlandese col cappello per sposare un’idea di mostro che Lipovsky definisce «più dark e più seria» e che io invece definisco «banale, insensata e che non ha un cazzo di motivo per chiamarsi leprechaun». In pratica è una specie di mostro bavoso che assomiglia molto – per intendersi – a quelli di The Descent; le uniche caratteristiche leprecane di questa disgraziata aberrazione sono il fatto che vive in Irlanda e s’incazza se gli rubi l’oro. Per il resto, eccolo qua: un mostro normalissimo. E nel caso ve lo stiate chiedendo, NO, in nessun ramo della tradizione irlandese antica o moderna i leprechaun hanno mai avuto questo aspetto.
Ma non è questo che mi fa incazzare, no.
Quello che mi fa incazzare – anzi, quello che mi SBIGOTTISCE D’INCREDULITÀ – è che questo mostro si vedrà si e no tre minuti in tutto il film, e quasi sempre inquadrato in primo piano. Di campi lunghi in cui la bestia compare nella sua interezza ce n’è forse uno. Il resto sono soggettive sbilenche in Predator-vision (cioè coi colori saturati tipo visore notturno), e qualche artiglio fuggevole quando proprio va di lusso. Capite? È tutto un correre e urlare e guardare fuori campo, un inquadrare mezze schiene di sfuggita, una mano di gomma, una scia di bava. Il mostro non si vede mai.
Vabè, direte voi. Ce ne sono tanti di film che, per mancanza di budget, tirano il più possibile al risparmio sul mostro.
Ok.
Respiro profondo.
Ok.
Ma allora,
mi chiedo,
PERCHÉ CAZZO AVETE FATTO INTERPRETARE IL MOSTRO AL NANO FAMOSO?
Il nome di Dylan “Hornswoggle” Postl campeggia PRIMA DEL TITOLO SULLA LOCANDINA, porca! puttana!, eppure questo disgraziato non solo sta tutto il tempo inguainato in una tuta da mostro che (per quel pochissimo che mi è parso di capire) non è nemmeno lontanamente follettiforme ma è una sorta di creatura ALTA NORMALE vagamente ingobbita su sé stessa, ma per di più non è neanche mai inquadrato se non nei PRIMI PIANI DI UNA MASCHERA DI GOMMA!
Ma che senso ha chiamare un nano famoso, che deve la sua celebrità a (1) l’essere nano, (2) la presenza scenica e (3) l’atletismo, per interpretare un cazzo di crosta di merda che (1) non è nano, (2) non si vede mai e (3) non si muove se non fuori campo? E vi ricordo che quello SAREBBE IL PERSONAGGIO CHE DÀ IL TITOLO AL FILM.
Vorrei che vedeste Leprechaun: Origins solo per dimostrarvi che non sto esagerando. Il ruolo del povero Hornswoggle, venduto come selling point del film, è veramente al livello di simpatica curiosità da scoprire nella sezione Trivia di IMDb. Ma lui era lì, disponibile tutti i giorni sul set! Perché non lo avete usato meglio? Perché seppellirlo di protesi gommose, quando oltretutto è evidente che non avevate i soldi per farle bene? Lui vive in te! Si muove in te! Con mani cucciole! È in te, respira in te, gioca e non sa che tu vuoi buttarlo via! Siamo sempre i primi a dire «morte ai falsi nani», ma l’idea di un vigliacchissimo falso nano interpretato da un bravo nano vero è un corto circuito ideologico di fronte al quale non so più come reagire.
È come se a Natale tua mamma dicesse «Preparati perché faccio IL BUDINO DI CIOCCOLATO» e tu passi giorni e giorni a pregustare il budino di cioccolato e…
No, niente, avevo giurato: niente paragoni, niente simpatia, niente digressioni buffe. Tanto avate capito dove stavo andando a parare.
Dal colore carico, al palato risulta molto saporita; persistente; morbida; quasi cremosa, sostenuta da una vena garbatamente acida. Il suo bouquet olfattivo è molto aromatico, con forti sentori speziati e fruttati, quindi profuma di cannella e noce moscata, ma anche di pesca e liquirizia.
DVD-quote suggerita:
httpv://www.youtube.com/watch?v=PRxpEZssa64
(Luotto Preminger, i400calci.com)
>> IMDb | Trailer
visto solo il primo una vita fa e con tutta la stima che si può volere a warwick davis cresciuta ulteriormente dopo life too short, è propio un film che non si sfangava, troppo poverinata con tempi morti insostenibili.
Come un film con Collo Tatum in cui lui indossa tutto il tempo una sciarpa ?
Mi è venuta in mente una storia che si tramanda nella mia famiglia su questa fantomatica zia Anna:
C’era suo figlio che non stava bene, solita influenza o simila, e il pediatra dopo la visita le disse di controllare se le feci fossero acide. Bene, lei alla prima evacuazione del pargolo ci affondó il dito dentro per poi assaggiarlo e decretare che no, non sapeva di acido. Ha anche chiamato il pediatra tutta soddisfatta.
Ciao zia Anna, non ti ho mai conosciuta, ma la tua leggenda vivrà per sempre in me
Sul film boh, chiaramente lo salto dato che non conoscevo neanche l’esistenza del 1… ma quindi non vale la pena di recuperare manco l’originale? neanche per dovere di completezza? insomma NANO
@rocky oppure un film con Aaron Paul in cui indossa sempre una bandana
Chissa’ perche’ per tutta la recensione ho pensato a Rumplestiltskin, credo film analogo, ma lo sgorbio in questione insegue un neonato non l’oro per tutto il film…
secondo me avrebbero fatto meglio a dargli un coltellaccio in mano a Hornswoggle ed a raccomandargli di fare del suo peggio con le vittime…meglio di questa umiliazione
non lo vedrò mai ma grazie lo stesso per avermi fatto immedesimare tantissimo nella figura del sommelier della merda.
@dembo: l’originale e’ simpatico, e in piu’ Jennifer Aniston giovane. E il ciccione di Voglia di vincere, per gli estimatori. Non azzardo altre parole oltre al simpatico e non garantisco sui sequel.
Li ho visti tutti.
Questo, come già è stato detto, è una putrida merda e non c’entra niente col resto della saga.
I più divertenti sono il 3, ambientato a Las Vegas, e il 4, ambientato nello spazio.
@Nanni beh dai, simpatico potrebbe anche bastarmi, recupero almeno il 1, thanks
Concordo con anna Magnanima: Luotto anche senza sforzo è capace di regalare immagini deliziose – e quella del sommelier della merda, oltre che ricordare delle passate avventure di Venerdì 12 di Leo Ortolani che sta già affilando il coltello per vendicarsi di questa gravissima violazione del SUO diritto di autore, è un momento di silenziosa comunione per tutti noi che crediamo in un cinema di genere che possa dare qualcosa di più della merda che invece continuiamo a deglutire.
Spero che nessuno si sia strangolato per leggere il mio commento con nuo degli incisi più grossi della settimana.
Magari
Hoornswoogle c’e anche di sfuggita….da vedere a prescindere!!!