Anno 1977
George Lucas, al tempo giovane regista trentatreenne, fa debuttare al cinema il suo terzo film, una pellicola abbastanza famosa intitolata Star Wars che farà un discreto successo al botteghino e aprirà la strada a un intero franchise ragionevolmente noto negli ambienti cinematografici.
Star Wars è un fantasy molto classico, la cui struttura da fiaba tradizionale (l’eroe ignaro, le brutte cose che lo convincono a entrare in azione, il saggio che lo guida, il supercattivo, il potere magico che fa trionfare il bene) si affianca a un più che leggero sapore da sci-fi d’esplorazione vecchio stile, quella che fa più capo a Jack Vance che ad Asimov per intenderci. Ci sono le astronavi, gli alieni, i pianeti lontani, quanto basta perché il mix sorprenda intere generazioni e li convinca che le belle avventure non devono necessariamente svolgersi sulla Terra o in un mondo fatato.
Lo spazio è un luogo vivo e brulicante di cose da scoprire: non è il primo livello di lettura di Star Wars, né interessava particolarmente a Lucas se non nella misura in cui era funzionale alla creazione di pupazzoni alieni bizzarri, ma certamente è un tarlo potente da annidare nel cervello degli spettatori. Nel ’77 lo sbarco sulla Luna era ancora un evento recente, ma la sua unicità stava smettendo di essere motivo di ammirazione per diventare causa di irritazione: possibile che non si possa tornare nello spazio? Che Armstrong e Aldrin avessero fatto la loro passeggiata solo per far vedere ai russi che l’Occidente ce l’ha più lungo?
In questo senso, Star Wars ha il merito di ammantare la spinta all’esplorazione spaziale di un caleidoscopio di invenzioni visive e concettuali – a noi, a giudicare dalla famigerata seconda trilogia, sono rimaste le briciole e gli avanzi, i Midichlorian e le supercazzole sulla Forza e sull’amore, ma per un ragazzo degli anni Ottanta volare sul Millennium Falcon era un sogno, e volare sullo Shuttle verso la Luna il sostituto più plausibile e abbordabile. Il sogno di tornare nello spazio, o quantomeno di scoprire di non essere soli quaggiù, che tanto ha animato il cinema spielberghiano e dintorni (e dunque, una buona parte del cinema punto) per un decennio, ha le sue radici anche nel viaggio dell’eroe di Luke Skywalker.
Anno 1984
Steven Spielberg, sempre lui, convola a giuste nozze con Kate Capshaw, la Willie di Indiana Jones e il tempio maledetto. Sto cercando qualcosa da aggiungere a questa informazione per arricchirla, ma non saprei: Kate Capshaw al tempo era così, cosa volete dire all’uomo che si chiama come un carcere?
Anno 1986
Succedono due cose.
La prima è che il 28 gennaio lo Shuttle Challenger fa una brutta fine. Muoiono i sette membri dell’equipaggio, il programma spaziale americano – in particolare quello relativo al volo con piloti – subisce un brusco stop, l’America si vergogna della propria incapacità. Solo due anni dopo, con la missione Return to Flight, gli yankee torneranno in pista.
Nel 1986, però, esce anche, il 6 giugno, SpaceCamp. Protagonista è Kate Capshaw, che grazie all’intercessione del marito ingaggia John Williams, Tom Skerritt e l’intero Space Camp di Huntsville, Alabama, per ambientarci quella che doveva essere una meta-risposta allo Star Wars di Lucas. E cioè: se le guerre stellari hanno fatto venire la fotta di andare nello spazio a milioni di tredicenni, e se mio marito ha scoperto che fare i film per tredicenni tutto sommato non è male per pagarsi il mutuo, perché non fare un film che parla proprio degli adolescenti che grazie a Star Wars hanno deciso che vogliono andare nello spazio?
Affidato alle mica tanto sapienti mani di Harry Winer, SpaceCamp è un film corale à-la-Goonies ambientato, appunto, allo Space Camp, un campo estivo per aspiranti astronauti che per qualche giorno possono provare la gioia dello spaccarsi la schiena e il cervello in una simulazione di che sbatta inconcepibile sia diventare un astronauta di quelli veri che vanno nello spazio. Nel pieno rispetto della tradizione delle avventure anni Ottanta, è un film leggero e spensierato, con un primo atto che ricorda molto da vicino Starship Troopers senza le docce e un cast di simpatici guasconi quindicenni ciascuno corrispondente a uno stereotipo etnico-sociale, con i quali l’adolescente americano possa facilmente identificarsi e rinfocolare così il fuoco della passione astronautica.
Il problema è che il secondo atto del film prevede che i simpatici guasconi, per motivi che sotto vado a illustrare, partano davvero per una missione spaziale non prevista, e da bravi dilettanti volenterosi debbano improvvisarsi astronauti e salvare la baracca, riportando lo Shuttle sulla Terra. Ovviamente, il fatto di uscire cinque mesi dopo il peggior disastro spaziale della storia americana non aiuta SpaceCamp, che viene pisciato dalla critica e snobbato da grandi e piccini, incassando una decina scarsa di milioni di presidenti e finendo dimenticato da tutti insieme alla carriera di Kate Capshaw.
Anno 2013
Dalla Spagna arriva un film sui rischi provocati dal mandare nello spazio, nei pressi dell’ISS, dei dilettanti impreparati al mestiere di astronauti. Si chiama Gravity e incassa qualche soldo.
Anno 2015
Riscopro SpaceCamp, grazie alla solita brillante intuizione del Capo, e penso a quanto devi essere profondamente SFIGATO se ti chiami Harry Winer e il tuo film esce così a ridosso di una tragedia da far pensare a uno scherzo di pessimo gusto, e quanto la tua carriera avrebbe potuto svoltare se il pubblico si fosse potuto godere la tua opera con il cuore più leggero.
Ho scritto che SpaceCamp è un film corale, e forse dovendo indicare un protagonista principale la signora Spielberg, in quanto unica astronauta professionista in mezzo a un branco di dilettanti ciascuno dei quali supera i propri difetti e contribuisce al buon esito della missione improvvisata, è la scelta più logica. Ma tornando al discorso di Star Wars e del meta-cinema: Max, il più giovane del gruppo, interpretato da un imberbe Joaquin “Al tempo mi facevo chiamare Leaf” Phoenix, si è iscritto allo Space Camp perché è innamorato della trilogia di Lucas, vuole essere Luke Skywalker e sogna di poter volare nello spazio per sul serio davvero. Si fa anche amico il suo personale C1-B8, un robottino della NASA che contribuirà non poco al casino. Max, in pratica, è l’epitome del fan di Star Wars che grazie a Luke Skywalker ha scoperto lo spazio e ha deciso che vuole fare l’astronauta.
È anche quello che fa casino.
Va così: Max ama lo spazio ma gli capita, il primo giorno di Camp, di venire bulleggiato da Kevin (che è Tate Donovan). Ferito nell’orgoglio, corre a nascondersi nella sala delle tute spaziali a piangere e imprecare. «Vorrei essere nello spazio!» grida, il robottino lo sente e decide di approfittare dell’imminente simulazione di accensione motori dello Shuttle per spedire il suo amico fuori dall’orbita terrestre.
Va davvero così. I membri dello Space Camp che nella prima mezz’ora vengono identificati come i protagonisti, e cioè:
• Kevin, lo zarro supponente da film anni Ottanta. L’America degli anni Ottanta doveva essere abitata prevalentemente da zarri supponenti, oppure gli zarri supponenti erano una piaga tale che ogni singolo autore di film d’avventura di quel decennio ha sentito la necessità di inserirne uno nella sua pellicola. Ovviamente zarro supponente => scoprire l’importanza di prendere le cose sul serio, cambiare, diventare adulto.
• Kathryn, alias la madre incestuosa di Marty McFly. Kathryn è la secchiona più brava di te e probabilmente bruttina, che non vuole lavorare di squadra perché non crede che gli altri siano all’altezza e che teme il momento in cui il suo talento dovrà essere messo davvero alla prova.
• Tish, la signora Travolta. È scema e vacua e ha sempre i brillantini agli angoli degli occhi. Indovinare chi ha due pollici e scoprirà di essere in realtà un genio dalla prodigiosa memoria fotografica?
• Rudy, la quota politicamente corretta. Lui è un crasto e le azzecca tutte.
Noterete tra l’altro un’anomalia nel cast, soprattutto se pensate al 1986: i protagonisti sono tre donne, un bambino, un nero e un idiota. Alla faccia del cast full WASP Y-chromosome che ci si aspetta da un medio prodotto d’intrattenimento americano, in cui “il nero” e “la donna” sono spesso se non sempre inseriti per questioni di quote e politicamente corretto, Space Camp dimostra una volta di più come la fantascienza sia, in ultima analisi, un genere inclusivo e, soprattutto, disinteressato agli stereotipi di genere. Di più: nell’ottica in cui SpaceCamp doveva essere (anche) uno spottone per la NASA, e se pensate allo smacco sovietico che la prima donna a volare nello spazio veniva dall’URSS, non dal Paese delle libertà, ci si aspetterebbe che la scelta di Kevin, Kathryn e Tish fosse più una chiamata alle armi che un tentativo di de-genderizzare i protagonisti. E invece: le ragazze spaccano culi perché sono brave e intelligenti, non perché sono donne o nonostante siano donne. Non è la NASA che affigge cartelli con scritto «PRENDIAMO ANCHE LE DONNE, EH!», piuttosto un approccio freddo e ingegneristico (e dunque doppiamente apprezzabile) alla professione: volete fare gli astronauti? Pensate di esserne in grado solo perché avete il cazzo? Pensate di NON esserne in grado perché le donne devono stare in cucina e non tra le stelle? Too bad, noi assumiamo la gente brava, non la gente dotata di pene. E infatti le questioni di genere non vengono neanche sfiorate per sbaglio dalla sceneggiatura. Nello spazio, nessuno può sapere cos’hai tra le gambe.
Mi piace pensare tra l’altro che sia un modo per one-uppare Star Wars, che già prendeva lo stereotipo della principessa in pericolo e, in una certa misura, lo ribaltava nella figura di Leia, la principessa incazzata. Bel tentativo, ma pur sempre la frantumazione di un canone dall’interno, il che prevede l’ammissione dell’esistenza di questo canone; SpaceCamp, invece, tira dritto e dimostra sommo disinteresse per i ruoli tradizionali legati al genere. Di quanti film degli anni Ottanta potete dire qualcosa di simile?
Ho perso il filo. Comunque, questo gruppo + l’insegnate Kate Capshaw + il giovane Anakin Phoenix sono sullo Shuttle a provare l’ebbrezza dell’accensione dei motori quando il robottino entra nei terminali della NASA e costringe l’astronave a decollare.
Segue Gravity interpretato dai Goonies.
L’aspetto più sorprendente di SpaceCamp è come riesca a tenere sotto controllo la presenza di adolescenti ormonati in un contesto di emergenza estrema nel quale anche il più cazzaro deve imparare a restare concentrato pena la morte per soffocamento nello spazio profondo. Piuttosto che puntare sulla goliardia, sulle battute a effetto e sugli oh, you! che risolvono miracolosamente la situazione, Winer prova a imbastire un vero film catastrofico e infondergli quel pizzico di umorismo che faccia sentire a casa anche i più giovani o i meno interessati allo spazio in sé.
Di fatto è un film semplicissimo: i Nostri si ritrovano per sbaglio nello spazio e devono mettere in pratica quanto imparato in aula in una situazione di vita o morte. I problemi che affrontano sono prevedibili: poco ossigeno, come rientrare in orbita?, inesperienza. La fortuna di avere il vero Space Camp a disposizione è che, anche se mai arriverei a parlare di realismo, quantomeno i set hanno una loro plausibilità e coerenza, e gli ostacoli con cui si scontrano i Groonities sono quelli, orrendamente mondani e alieni insieme, che la signora Bullock ha fatto scoprire un paio d’anni fa a quella immensa fetta di popolazione mondiale che dei viaggi spaziali s’è sempre disinteressata.
SpaceCamp avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato con trent’anni d’anticipo: pur se più dilatato del tipico film d’avventura anni Ottanta – lentezza più che giustificabile con motivazioni tipo “assenza di gravità” e “assenza di ossigeno” –, ha un secondo atto teso come una corda di violino, e tanto efficace quanto realistico, o almeno plausibile. Piuttosto che scegliere la strada del film ammonitore con l’adulto che salva la situazione, e lanciare dunque un messaggio fondamentalmente conservatore e retrogrado («State alla larga dai vostri sogni»), Winer e gli sceneggiatori puntano alla parabola di formazione, sottintendendo così che volare nello spazio non è impossibile, non è improbabile, ma anzi è auspicabile!, è una figata!, è una carriera che anche voi volete intraprendere!, anche se ogni tanto ci sono gli incidenti!, con la buona volontà si rivolte tutto! SpaceCamp è quasi una chiamata alle armi, un film di propaganda e reclutamento, di venite alla NASA, abbiamo astronavi!
Mi rendo anche conto che poche delle cose che ho scritto sopra si attagliano al profilo del film fancalcista classico, e di fatto sfrondato delle parti comiche, delle parti di introspezione, delle parti prive d’azione, rimane troppo poco in SpaceCamp per consigliarlo a cuore aperto a tutti voi, lettori terrestri. Se però a dodici anni guardavate la Luna e pensavate «che figata, vorrei troppo andare lassù», e se non ve ne frega nulla di avere dodici anni anche se ne avete già trentaquattro, SpaceCamp potrebbe anche colpirvi alle ginocchia.
E voglio dire, nel 1986 c’erano solo i programmi statali. Oggi anche i privati stanno provando ad andare nello spazio!
DVD-quote suggerita:
«Gravity meets Goonies: Groonities!»
(Stanlio Kubrick, sloganorrendi.it)«Sandra Bullock puppami la fava»
(Kate Capshaw)
piu` che i goonies a me ricorda un gravity fratto la rivincita dei nerd
cmq chicchissima, vedro`
mi hai messo una fotta di vederlo pazzesca.
e complimenti per la rece scritta da dio.
magari dirai “e chi cazzo sei per decidere se una rece è scritta di merda o da dio?”
ti risponderei “hai ragione, ma l’ho pensato e credevo potesse farti piacere saperlo”.
torno nel mio autismo.
Si, ne ho letto alcuni anni fa sul Mereghetti che ha rimarcato il fatto che uscì a ridosso della tragedia dello shuttle.
Io non ne sapevo niente ma scopro adesso un’altra delle tante ispirazioni per l’episodio di Community con il simulatore spaziale.
Tra l’altro, il fatto che Stanlio non guardi Community è, insieme all’ISIS, uno dei maggiori problemi di questo mondo alla deriva.
Due cose:
1) mai sentito, il che, visto che nell’86 avevo ero un tredicenne, pone cupe ombre sul film o, in alternativa, sul giovanissimo me;
2) sulla tragedia dello shuttle, consiglio il bellissimo The Challenger
@spitefix: come spiegava Stanlio, il problema del film e’ che nessuno lo voleva vedere dopo la tragedia dello Shuttle, per cui e’ finito nel dimenticatoio alla velocita’ della luce. Non stiamo qua a dire che e’ un capolavoro, ma non fosse stato per questa botta di sfiga abominevole oggi godrebbe di tutt’altro trattamento.
@nanni: Capo, non dire altro. Oggi me lo recupero, sono troppo curioso.
io pure lo recupererò.
Altra rece da salvare e mettere in archivio.
orco mondo, e chi lo conosceva questo film? Grazie. Subito a cercare. Tragedia l’incidente, le immagini dello shuttle che esplode sono ancora ben impresse nella memoria. Credo anche io che il film avrebbe preso un’altra strada se non fosse accaduto l’incidente.
“Una volta, al campo dello spazio, mi sono infilata una cloche su per la passera”
cit. (circa)
Mi sembra molto nato sulla scia di “Scuola di polizia”. XD
““Una volta, al campo dello spazio, mi sono infilata una cloche su per la passera””
Oh, mamma! XD
Wow, articolone per un film mai sentito nominare neanche per sbaglio. E sì che ci sono dentro bei attoroni ed è un genere che adoravo/adoro. Recupererò al più presto.
Ho ancora da qualche parte i disegni che facevo da bambino di shuttle in fase di lancio. La tragedia del Challenger fu un trauma della mia prima adolescenza.
PS lo so che nulla più indispone dei consigli nei commenti ;) …ma riprovo a buttarvi lì un titolo che già vi feci presente tempo fa: “Joey” del molto calcista Emmerich, incredibile ambaradan visivo e tematico di tutto quello che faceva “fantastico per ragazzi” in quel 1985, con tali e tanti WTF nella trama dal risultare involontariamente un’operina folle e con un che di malsano.
Siii “Joey”, lo beccai la mattina su Italia 1 da piccolo! Non lo finii a vedere perché c’ era quel malefico, o presunto tale, giocattolo che mi faceva paura XD! Film dalle atmosfere piuttosto cupe per essere per bambini.
Solo qualche anno fa mi hanno detto come si chiama e che è stato realizzato da Emmerich!
La colonna sonora di Williams rimane uno dei suoi migliori lavori “minori”, una sorta di Bignami tra Star Wars, Superman ed ET… Capolavoro
Piccolo estratto:
https://www.youtube.com/watch?v=ioBq6XcXVMo
Per la cronaca il film è intubato per intero:
https://www.youtube.com/watch?v=6ZJGe7sZvxo
PS: Grazie anche il titolo “eliatico”… citabile anche l’Astronauta Pasticcione :)
Penso che “Sandra Bullock puppami la fava” potrebbe essere la dvd-quote definitiva. Ti rende un must see qualsiasi film a cui la applichi, dal Padrino a Red e Toby nemiciamici.
Uno dei film preferiti da me e mia sorella…
Fenomenale!
E dimostra come la stessa tematica viene declinata a seconda del decennio, in Space Camp c’è tensione, in Gravity c’è depressione e angoscia.
1986, ci tornerei in un battibaleno.
Salvo immediatamente la recensione, bellissima!
Recensione grandiosa,il film non l’ho mai visto e non è che abbia voglia di vedermelo ma la rece è da appausi.
Visto.
Davvero bello.
Lo avessi visto quando avevo l’età del mio coetaneo Phoenix nel film lo avrei adorato.
Gran dritta, grazie.