Quando Nanni mi ha presentato 88 come una sorta di Sliding Doors in salsa thriller, io ho fatto su e giù con la testa emettendo un sordo “Mmm mmm” di consenso. La questione è che non ho mai visto Sliding Doors e se c’è un girone dell’inferno a cui sono destinati coloro che si sono sistematicamente rifiutati di vedere film con Gwyneth Paltrow, eccomi, io sono uno dei dannati. Volete farmene una colpa? Ma andiamo avanti. Nanni ha anche detto che 88 era stato presentato a un Frightfest canadese (o giù di lì) sperando che questo fosse un buon motivo per farmelo vedere senza il dito fremente sul fast forward. Sinceramente sarebbe bastato dirmi che 88 è un film in cui Chrystopher Lloyd tira su bamba dalla punta di un coltello per farmi volare in sala senza nemmeno passare a ritirare le 20mila lire. Perché 88 è anche questo: un film in cui Chrystopher Lloyd pronuncia più “fuck” di quanti “Great Scott” abbia mai pronunciato in tutta la trilogia di Ritorno al futuro. E qui finiscono le note positive.
Il problema principale, l’enorme problema principale, è che 88 è un film degli anni 90 girato con 25 anni di ritardo. Un anacronismo lungo 90 minuti in cui la regista, April Mullen (che ha all’attivo una manciata di titoli che non ho visto), dimostra di essere una nostalgica della peggiore specie: quella cioè che prova ad analizzare il presente, di cui è profondamente ignorante, alla luce di un passato idealizzato. De facto 88 può essere tranquillamente associato a una recensione di Luzzato Fegiz. O agli ultimi 20 anni di Rifondazione Comunista.
I limiti insostenibili di questo lungo lamento sui bei tempi che furono si manifestano tanto sul fronte macroscopico quanto sui piccoli dettagli. A contraltare di una storia sostanzialmente costruita su una versione estremamente semplificata di Memento, con due trame parallele atte ad arrivare a ricongiungersi in un sorpresone finale vagamente telefonato, troviamo infatti personaggi che “stampano” le foto fatte con il cellulare (True Story), realizzano DVD video con i filmatini privati girati con una handycam (True Story), in un mondo privo di cellulari e in cui si può avviare un’automobile facendo fare contatto ai proverbiali due fili celati sotto il volante. Detta in termini semplicistici: 88 è un film in cui il MACCOSOMETRO eiacula a getto continuo in più di un’occasione. E sporca tutti i momenti in cui, invece, la trama dovrebbe andare via pulita e liscia.
A tutto ciò si deve aggiungere un serissima confusione sull’intero tono dell’opera: se da un lato si è quasi sempre in presenza di un canonico rape and revenge d’antan, dall’altra non mancano innesti lisergici totalmente privi di senso che prendono, di volta in volta, la forma di personaggi mostruosi (il gestore di motel con l’occhio in pietra blu), scene surreali (la commerciante d’armi Lemmy, interpretata dalla stessa regista, che peraltro risulta uno dei personaggi più divertenti dell’intera pellicola) o visioni decontestualizzate e vagamente inquietanti che, sebbene abbiano qualcosa a che vedere con la storia principale, non di meno non hanno ragion d’essere. Spesso, spessissimo, la sensazione che si ha è che April Mullen deragli pericolosamente sulla via della narrazione, crogiolandosi beatamente in intuizioni che, per carità, a volte sono pure interessanti (se prese singolarmente) ma che stonano completamente con tutto il rimanente dell’opera. È l’effetto Infascelli: se lo zio con la pilla ti regala il Fish Eye mentre stai girando un film, puoi anche trattenerti da usarlo anziché buttarcelo dentro a casaccio per vedere l’effetto che fa.
E dire che un paio di momenti 88 li prende anche, merito soprattutto di Christopher Lloyd che gongola in quello che è il suo primo ruolo da cattivo davvero moderno, la presenza del sempre ottimo (vagamente asmatico ma ottimo) Michael Ironside e Katharine Isabelle, la protagonista Wendy, che le rare volte in cui non recita terribilmente sopra alle righe (è dura vedere 40 minuti abbondanti di una per cui la sicurezza in sé stessa passa da una deformazione della colonna vertebrale che manco Rosario Dawson in Sin City) riesce a trasmettere qualcosa di buono anche se rimane una titolare al massimo in serie B. Al netto dei suoi problemi narrativi e a indugiare in scene di raccordo a volte irrazionalmente lunghe e smielatamente romantiche, un paio di inquadrature serie, di quelle che fanno ben sperare, la Mullen le becca in quello che pare il massacro senza limiti e senza pathos messo in scena in La Rabbia Giovane di Malick. E non sto parlando di cose simpatiche che fanno ridere noi giovani, ma scene che ti fanno pensare che alla fine la ragazza ha del potenziale, solamente che è terribilmente confusa e probabilmente vittima di un entusiastica disorganizzazione. Di quelle brutte però. Quelle dell’aspirante autore che non fa la scaletta del romanzo perché “mi piace farmi sorprendere dalla storia che di volta in volta creo” e alla fine scrive 800 pagine su come se lo sgrulla dopo la prima minzione mattutina. E riesce, nonostante tutto, a farti venire il dubbio che ci siano dei buchi nella trama.
Alla fine 88 è un tema poco riuscito, di quelli dove il professore ti rimprovera di non aver fatto la brutta e di aver peccato di presunzione. Un paio di frasi sono anche ben scritte, ma non bastano a salvare quattro fogli protocollo di minchiatone confuse.
DVD-Quote Suggerita
“Un film che spara nel mucchio. E qualcosa tira su.”
Bongiorno Miike, i400Calci.com
Un plauso alla definizione di Luzzato Fegiz.
Grande recensione, ma ho paura che Bongiorno Miike non abbia retto anni e anni di film inguardabili e sia andato in burnout.
Miike! Hai più visto un film che ti abbia entusiasmato? Hai trovato un titolo di cui poterci dire “guardatelo, magari vi farà cagare, ma cagherete con il sorriso sulle labbra”?
Sono preoccupato per il tuo amore per il cinema dei 400 Calci: se guardi troppi film del zacco, alla fine i film del zacco saranno tutto quello che vedrai.
Non vorrei che tu un giorno ti avvicinassi a Bertolucci…
Tutto vero, tutto bello (la recensione eh, mica il film)
però caro Miike fatti “smaledire” perché non è possibile che ogni volta che vedo il titolo della rece e sotto il tuo nome penso “vabbé è una cazzata, non me lo cerco nemmeno”.
Chiedi al capo almeno UN film bello ogni tanto!
p.s.
eh la presenza di Katharine Isabelle (would bang!!) mi costringe a vedere tutta la robaccia che fa…
Appena ho letto le prime righe su facebook ho pensato che era la recensione di quell’altro aborto di thriller di 88 Minuti
E’ da Ginger Snaps che aspetto un’uscita di tette di Katharine Isabelle (quella robetta di Freddy Vs. Jason non conta). Dopo le promesse non mantenute di Hannibal e American Mary, se questo è quello giusto per me film dell’anno!
Solo una cosa non è chiara: i 3 Iron Man fanno parte dei film con la Paltrow che non hai visto?
In Iron Man ci sono le armature.
In Iron Man c’è Robert Downey Jr.
In Iron Man ci sono razzi. E propulsori. E ancora armature. E armature.
In Iron Man NON C’È LA PALTROW.
RIPETO
IN IRON MAN NON C’È LA PALTROW
Io non ho ancora capito che film sia.
E l’ho visto.
Il problema principale di questo film è che ‘sta Katharine Isabelle non mostra mai i capezzoli. Eccheccazzo, non si fa così!
Eppure in qualche maniera la recensione mi ha incuriosito…a me la roba dove infilano dentro di tutto non sempre dispiace…
Marlon: guardalo così poi ne parliamo qui.
Per tutti gli altri: NIENTE TETTE
Il maccosometro eiacula? Cioè io me lo immaginavo tipo il rilevatore di energia psicocinetica di Egon, però a questo punto, Miike, ho paura di chiederti che forma abbia!
Classico film di merda!!!