
Steve Wolsh, “Retro”, chiappe su tela, 2015.
disclaimer: tutte le immagini che trovate nell’articolo sono state selezionate in modo casuale, skippando in punti random del film e scattando una foto. Vi dà fastidio perché il ritmo del mio discorso viene continuamente interrotto da visioni di culi? Sticazzi, ho appena visto un’ora e mezza di film così. Vi fa piacere perché culi? Appunto, ho appena visto un’ora e mezza di film così
Bla bla qualcosa qualcosa metahorror Scream Wes Craven Cabin in the Woods.
Seriamente, Steve Wolsh, ti sembra questo il modo di esordire nel luccicante mondo del cinema? Con un horror adolescenziale concettuale che fa il verso, senza neanche aggiornarlo, a un altro horror adolescenziale concettuale che faceva il verso a tutti gli horror che erano venuti in precedenza? Il film di squartamenti che fa l’occhiolino agli esperti di film di squartamenti ha rotto il cazzo più o meno all’altezza di Scream, poco prima o poco dopo a seconda di come vi collocate nell’annosa diatriba, e tu, Steve Wolsh, neanche ci metti quel minimo sindacale di regia interessante o di talento inespresso che mi permetta almeno di salvare a fatica i tuoi sforzi?
Sai perché non passerò il resto del pezzo a insultare te e Muck, dannato Steve Wolsh? Perché comunque mi hai fatto ridere perché sei un cazzone. E poi perché

TETTE.
Tette. Bocce. Poppe. Mammelle. Seni. Meloni. Angurie. Cocomeri. Palloni. Airbag. Protuberanze dell’amore. Escrescenze della felicità. Ghiandole mammarie. Pere. Tette. SIGLA!
Seriamente, dire «mi è piaciuto Muck perché è un’interessante riflessione sulla ripetitività ciclica del nostro genere preferito e perché risponde a una di quelle Domande Fondamentali che per una questione di principio ci rifiutamo di porci di fronte alle nostre pellicole dello spavento preferite» è come dire «ho visto il video di Blurred Lines su MTV, gli arrangiamenti sono una bomba!». Non sono del tutto sicuro che a quel marpione di Steve Wolsh interessasse davvero raccontare la sua storia, considerando quanto spesso la interrompe con strip tease, scene di nudo, docce, strusciamenti, strizzate di poppe, rallenty di culetti in mutandine di pizzo.
Sto parlando di un film che, tra il primo e il secondo morto (il quale arriva intorno ai tre quarti d’ora di pellicola), si prende cinque minuti per piazzare Jaclyn Swedberg in una scena sponsorizzata da Intimissimi nella quale prova una serie di reggiseni in cerca di quello che meglio le risalta il seno.
(alla fine sceglie quello leopardato)
Ora vi vorrei dire qual è stato il mio primo pensiero dopo cinque minuti di Muck, ma immagino che se siete interessati alla storia potreste anche saltare il prossimo paragrafo perché indovinate un po’, ci avevo azzeccato subito!, e quindi potreste rischiare di bruciarvi il finale. Facciamo che piazzo un altro screenshot così siete storditi e lo spoiler passa in secondo piano.

Sopra: sì, ci sono anche dei morti.
Muck comincia in medias res, con cinque ragazzi (MM FFF) che fuggono da una palude nella quale hanno perso un paio di amici morti male per motivi mai specificati, e si ritrovano sulla soglia di una casa di campagna abbandonata. La spiegazione di quanto avvenuto fin lì non viene neanche fatta presagire, si dà per scontato che i ragazzi siano lì e che gli sia successo “qualcosa da film horror” prima.
«Vuoi vedere che quel furbacchione dello Wolsh ha deciso di fare l’horror che spiega cosa succede ai protagonisti degli horror dopo che sono scappati dal mostro e si stanno allontanando nel bosco lividi e sanguinanti, ma ancora vivi?»
Muck è praticamente il sequel concettuale di tutti gli slasher mai usciti. Sapete dov’è ambientato? Nella regione di West Craven, dove il cast ha letteralmente (questa è una roba forte, glielo concedo allo Wolsh) girato di notte tra paludi acquitrini e vento gelido nel corso di tre settimane, e considerando quanta carne nuda si vede nel film non dev’essere stata un’esperienza piacevole per le almeno otto fregne spaziali che si alternano nel ruolo di protagoniste di questa farsa.
Ovviamente la casa nella campagna nel mezzo del nulla dell’acquitrino della palude non ha il telefono, e qui Wolsh comincia a snocciolare in ordine sparso tutti i cliché dell’horror – e fastidiosamente del metahorror, con il monologo di uno dei protagonisti dopo pochi minuti a fare da esempio più preclaro e irritante. «Non lo capisci? È un film horror! Prima morirà lei perché è puttana, poi io perché sono ferito…» bla bla BLA LALALALALALALA NON SENTO NULLA VAFFANCULO, a casa di Steve Wolsh questi ultimi vent’anni non sono mai passati.

Steve Wolsh, “MILF”, botox su tela, 2015.
Muck sembra seriamente un collage di meme presi da una pagina Facebook sugli horror. Da quando i cinque protagonisti arrivano nella casa isolata, smette tutto di avere senso, ognuno dei protagonisti segue il filone dettato da un meme (“scappo in cerca di aiuto”, “vado a farmi la doccia al piano di sopra”, “scendo in cantina”, “esco in giardino”) e Wolsh fa una gran fatica a tenere le fila di tutte le sottotrame, con tanto di pezzi di scena ripetuti a distanza di qualche minuto per ricordarci che cosa cazzo ci facesse di preciso “quella bionda con il nasone” in “quel posto lì dove ci sono i Dimmu Borgir”.
Ogni horror ha bisogno di un cattivo maniaco omicida, no? E poi qui a West Craven le home invasion sono la moda della stagione! Wolsh decide che la scelta migliore per il suo editoriale sullo stato del cinema horror è un cattivo che sembra uscito da un gruppo symphonic metal circa 1996, proprio quando usciva Scream tra l’altro, il che mi porta a pensare che il nostro amico avesse scritto il film qualche giorno prima di quello con Neve Campbell, senza però essere un Kevin Williamson che avesse la forza di produrselo e costruirci attorno il marketing perfetto per attirare “i fidanzati di quelle che guardano Beverly Hills”, e da allora si è roso il fegato finché qualcuno, forse la sua nuova compagna, un’artista visuale giapponese di nome Toshira Mifuna, l’ha convinto a ritirare fuori dal cassetto quella sceneggiatura che, in ultima analisi, verrà ricordata solo per un motivo.

Steve Wolsh, “Poppe”, poppe su poppe, 2015.
L’approccio assolutamente anarchico dei cattivi, che sono appunto degli albinostupratori che ringhiano e sbavano e violentano e uccidono senza che ci sia una vera motivazione dietro alle loro azioni, è sintomatico del problema principale di Muck: a un certo punto vuoi prendere Wolsh per le spalle, scrollarlo con forza e chiedergli «E QUINDI? E QUINDI?». L’esperienza è un po’ come guardare una granata a frammentazione che esplode: parte in mille direzioni diverse, ciascuna delle quali ha come unico risultato finale la morte. E così si sega via un personaggio dopo l’altro, una tetta dopo l’altra, finché Wolsh non si rende conto che con i saggi critici non si va da nessuna parte, e che bisogna riprendere le fila della storia e cominciare a girare un film.
Ci si arriva scremando personaggi e sottotrame, finché giunti al dunque Wolsh decide che quello che stava provando a dimostrare non è poi così interessante, e da lì Muck tira dritto come un fuso fino al finale, concentrandosi su un trio di personaggi che possiamo decisamente troppo tardi identificare come “i veri protagonisti del film”. Potrebbe essere l’ennesimo commento di Wolsh sullo stato pietoso della scrittura dei personaggi nell’horror, commento che viene vanificato dalla scelta di Muck di puntare sempre e comunque su dialoghi forzatamente whedoneschi e ammiccanti, che essendo copiati da uno più bravo vengono fuori forzati e raramente brillanti. Finisce che Wolsh si prende per il culo da solo, insomma.

Steve Wolsh, “Dimmu Borgir ist krieg”, metallo su capra vagante, 2015.
E finisce anche che quando finisce la lectio magistralis e si fa sul serio Wolsh collassa sulla sua incapacità di girare scene horror chiare ed efficaci, preferendo puntare sulla confusione e le ingiustificatissime camere a mano. Il grandissimo Kane Hodder nei panni del supercattivissimo GRAWESOME CRUTAL salva la baracca? Tristemente no, e il finale conferma solo che qualsiasi cosa che Muck volesse provare a dire l’aveva già detta molto esplicitamente nei primi cinque minuti.
Né era poi una cosa così imprescindibile od originale, ecco.
Tutto quello che rimane è inutile contorno.
E tette. Un sacco di tette.

Steve Wolsh, “Kinky and I know it”, fetish su tela, 2015.
DVD-quote suggerita
«DVD-quote di film horror!»
(Sito di cinema horror, www.sitodicinemahorror.it)
Nota a pie’ di pagina: non voglio neanche commentare, ma

WITH ANO.
Anche “Boys” della Salerno come sigla sarebbe andata bene. .
WithAn0 production…
…
…
viviamo in un mondo meraviglioso…
Disastro….!!! Avete messo la versione censored di Blurred Lines ;(
Dove andremo a finireeeeeeee?!?!?
Citando l’autore in un suo precedente articolo, sto film PUZZA DI CAZZO e non lo guarderò mai
Il tipo di film che viene prodotto solo per leggerne la recensione sui Calci.
«Commento sagace per stigmatizzare l’opera che non si è vista ma di cui è bastata la recensione per capire che non vale la pena»
«Frase simpatica sulla presenza di tette e culi femminili»
Tra l’altro nel film è presente anche la bocciona supersonica JORDAN CARVER, la mia domanda è: le esce? questo è il suo instagram http://instagram.com/jordancarverofficial
Ma la withanO Productions è eleggibile per il Premio Jimmy Bobo?
(Io voto sì.)
Il mio interesse per sto film è pari a -1, però gli albini mi sembrano uguali a quelli di Prometheus. Bevono anche il caffè del MacDonald’s?
PS: non ho mai capito sei vei dei 400 siete o no a favore di Scream. Io all’epoca lo apprezzai molto, anche se si lasciò dietro un’eredità di horror fatti con lo stampino e sempre peggio
@munky: http://www.i400calci.com/2011/04/la-memoria-del-pesce-rosso-%E2%80%9Cscream%E2%80%B3-wes-craven-1996/
Poteva farlo come Hatchet le bocce e i culi servono per non addomentarsi presumo,finito di vedere la trilogia di Thunder (rip off di Rambo)il secondo è il migliore, il regista e quello del Kimono d’oro.
@nanni sì l’ho letta quella rece ma mi rimane comunque un po’ di dubbio perchè ogni volta che si viene citato Scream, diciamo che ci sono pareri molto contrastanti
@munky: se non ti basta la mia rece allora chiedi al redattore specifico, siamo persone diverse…
Il film, a giudicare dalla recensione di Stanlio e’ indiscutibilmente una ciofeca, ma la disamina sull’argomento tette mi ha convinto a dargli un occhiata.
@AlessioB: mi hai terrorizzato perché sono superfan della Carver ma non l’ho notata nel film, poi ho scoperto che in realtà è prevista nel sequel.
@Munky: personalmente non sono a favore di Scream come operazione e come concetto, ma sono un megafan stupido dell’intera saga, nel senso che ogni anno me li riguardo tutti con gli amici uno dopo l’altro. Usa questa informazione come meglio credi.
I tags più belli che abbia mai letto
Ho avuto la sfiga di vederlo qualche settimana fa…dico solo che è peggio pure di nurse 3d e pare scritto da un sottosviluppato. Nell’era del freeporn ovunque, scomodarsi a girare un film tutto a culi e zinne mi pare proprio una mossa da ritardati, a sto punto esagera, falle lesbicare duro e fai fare orge con i mostri. Invece no, gente che cammina in intimo…che mattata eh. E c’è in produzione pure il sequel ma che in realtà è un prequel e mostrerà cosa è successo prima dell’inizio di stammerda…ah che ridere oh
Scusa Stanlio, parli di culi nel disclaimer ma poi nell’articolo infili sole LETETTE?
Va be’ vale la pena di vederlo almeno per le tette o è il solito filmetto dove l’erotismo è appena accennato giusto per attirare l’attenzione?
In tanti anni ho visto tanti film brutti e tante mammelle, sviluppando un certo gusto (sicuramente innato) per entrambi. O almeno credevo, prima di vedere muck.
Questo film era talmente pessimo che neanche le mammelle sono riuscite a salvarlo.
Ed erano anche belle mammelle.
Siete dei maledetti, spoilerare quale reggiseno sceglie dopo cinque minuti di prove dovrebbe comportare la pena di morte
Questo film non va catalogato nel genere film horror ma nel genere film orribili!!!!
Due noterelle veloci:
– la milf bionda, dallo splendido nome “Victoria Cougar”, è interpretata da Gia Skova, che l’internet mi dice essere nata nel 1991. Non ci sono più le ventiquattrenni di una volta.
– End credits: i primi sei attori, poi Lauren Francesca, poi stacco: “Special thanks to Lauren’s ass” e poi continuano i crediti.
Steve Wolsh, sei un cazzone. TVB.