Per chi è cresciuto negli anni Ottanta, quando l’erba era più verde, la vita più semplice, l’aria più pulita e il sesso più sporco, il Duemila è stato uno shock culturale. Non esistono solo gli hamburger, ci sono anche gli hamburger di soia e quelli di seitan. L’aria condizionata ti rinfresca la stanza, ma ti riscalda il pianeta. Puoi anche essere oltre la linea dei difensori, ma se la palla non è diretta a te non è fuorigioco. I pilastri stessi della nostra esistenza vengono messi in discussione, reinterpretati, contestualizzati. Ricordo quella volta che mi spiegarono che alcune creme a protezione solare 100, invece, che, ecco, proteggerti dal sole, rischiano di bruciarti la pelle: mi chiusi in camera una settimana a elaborare il lutto.
Io, per esempio, trovo sconvolgente che nessuno parli più di “saghe”. No, oggi esistono i franchise e i brand, ma quando da piccolo giocavo a Indiana Jones and the Fate of Atlantis mica pensavo che stavo fruendo di un’altra iterazione dell’IP creata da George Lucas; Indy era un personaggio che di mestiere faceva delle cose, declinabili in un milione di modi diversi, perché quanti tesori sepolti ci sono sulla Terra, e mi volete dire che per ciascuno non esiste un’antica maledizione/profezia/incantesimo che possa fare da MacGuffin e scusa per farci passare altre due ore in compagnia dell’archeologo dagli occhi azzurri?
Non sto sostenendo che le saghe siano state inventate negli anni Ottanta e prostituite nel Duemila, naturalmente. Il decennio del cotone nei capelli e dell’hair metal, però, è stato quello del protagonista carismatico, il fulcro di una serie potenzialmente infinita di storie; gli davi due tratti caratteristici, gli costruivi un gimmick intorno e voilà, solo tempo e denaro ti impedivano di girare dieci film all’anno su di lui. Ritorno al futuro, per dirne una, puntava su un protagonista cazzuto, sì ma abbastanza normale da facilitare l’immedesimazione; il trucchetto del viaggio nel tempo faceva il resto: ogni film un’epoca storica diversa, con l’àncora di Marty McFly per non farsi sfuggire di mano l’identità della saga. Se Zemeckis e compagnia si sono fermati al terzo capitolo invece di continuare con Ritorno al futuro 4 – Marty e i cavalieri della Tavola Rotonda e Ritorno al futuro 5 – Ooga Booga Cavemen Ninja è solo per decenza, non perché la saga non avesse più benzina per proseguire.
È nel momento in cui non ti devi preoccupare di cose tipo “la dignità”, “il tuo buon nome”, “i freni inibitori” che nasce un progetto come Trancers.
Sul finire degli anni Settanta, sulla scia delle prime grandi saghe horror che ahinoi ci continuano ad ammorbare ancora oggi con remake di sequel di prequel di reboot di parodie, Charles Band era uno dei tanti innamorati di Roger Corman e della serialità da pulp magazine, figlio d’arte (il padre faceva l’assistente di regia di John Huston), fondatore di non una ma due case di produzione che hanno fatto delle saghe, o degli IP, o dei franchise, la loro fortuna. Il segreto era sempre lo stesso: trovare un soggetto infinitamente ripetibile e spremerlo fino a che il pubblico non se ne fosse stancato. Puppetmaster, Ghoulies, Subspecies, più di recente Gingerdead Man, oltre all’assurda saga di Evil Bong: quelli che un tempo erano i Conan e i Tarzan e i Superman di letteratura e fumetti, e che oggi sono grosso modo confinati alla tv, e non venitemi a parlare dell’universo Marvel e dei suoi ottocentoquarantadue film previsti per i prossimi sei mesi perché una mega-trama orizzontale sviluppata in [x] capitoli non vale come prendere un protagonista che viaggia nel tempo e farlo saltare di epoca in epoca, anno dopo anno, film dopo film. Thor, Hulk, Batman, Superman, Manman: tutta gente che ha un futuro, un obiettivo, che non è rimasta intrappolata in un perenne loop i cui limiti sono i sei miliardi di anni di esistenza del nostro pianeta.
Iron Man beve perché è depresso? Se invece di Tony Stark dentro quell’armatura ci fossero Jack Deth e la sua maledizione, Avengers sarebbe una saga sulla cirrosi epatica. Sigla!
Trancers è una saga di fantascienza arrogante. Non quella fantascienza rigorosa e che pone domande, e racconta la sua storia in cerca di potenziali risposte, ma quella ai confini con la magia dove le risposte sono scontate, le regole già stabilite e il motore della storia viene pescato in altri generi, in altri ambiti. Nessuno si preoccupa del viaggio temporale e dei suoi paradossi, nel mondo di Trancers, e gli orologi che fermano lo scorrere tempo per dieci secondi a uso sparatoria sono parte del corredo di Jack Deth tanto quanto il suo impermeabile. È fantascienza funzionale, concreta, non speculativa. L’arroganza, appunto, del protagonista che straborda e schiaccia tutto il resto.
L’anno è il 2247, la città Angel City* e i limiti quelli che ci si aspetta da un film a basso budget del 1985. Il futuro immaginato da Band esiste in gran parte nelle nostre teste: due o tre interni con le pareti color ossidiana, qualche marchingegno tecnologico, grandi discorsi su quello che c’è là fuori e che è messo in pericolo dal cattivissimo Martin Whistler, che fedele alle radici horror del suo creatore è un uomo con poteri psichici mai spiegati ma in grado di trasformare la gente in trancers (appunto), sorta di soldati-zombie-formiche controllate dalla mente della regina. Whistler ha l’idea cattivissima più migliore di sempre: tornare indietro nel tempo, a quel filmabilissimo 1985 dove vivono gli antenati dell’attuale Supergoverno Galattico della Terra. Uccidendo loro, Whistler vuole fare piombare il 2247 nel caos, e diventarne lui il dittatore assoluto grazie al suo esercito di formiche zombie trancers.
L’idea di scaraventare un eroe fantastico nel presente per risparmiare su set e ambientazioni permette a Band alcune cose. Innanzitutto, limitare l’utilizzo di aggeggi magico-scientifici e le sequenze d’azione in generale: il suo eroe, sorta di incrocio tra Rick Deckard e Dick Tracy, poliziotto in trench con la sigaretta sempre in bocca e che si esprime solo a one-liner da supermercato («I’m from another time, another world. I don’t even know what you people eat for lunch»), è ricalcato senza alcuna finezza sullo stereotipo del tormentato protagonista di un noir, che non ha bisogno di piantare una pallottola in fronte a dieci cattivi a ogni scena per ricordarci che lui è il più figo di tutti.
Tim Thomerson, un caratterista di quelli che neanche ti ricordi di aver visto altrove ma che sicuramente «ha fatto qualcosa che», è il vero segreto di Trancers. Scriverei che affronta il suo ruolo con autoironia ma non vorrei passasse l’impressione di un protagonista che stacca sul resto del film e infrange implicitamente la quarta parete ogni volta che carica una battuta più del dovuto allo scopo di darci virtualmente di gomito e sussurrare «visto? Come Marlowe». La dedizione di Thomerson al suo essere costantemente sopra le righe è totale e priva di ogni traccia di condiscendenza: sa di recitare in una farsa in cui sono le idee, più che la realizzazione, a contare, e ci si dedica con ogni fibra del suo essere, anche a costo di risultare ridicolo.
Come Whistler, anche Deth può viaggiare nel tempo: il segreto è una droga che trasporta l’anima di chi se la inietta nel corpo di un suo antenato – questo intendevo quando parlavo di arroganza, di fantascienza delle risposte più che delle domande – e che lo trasforma, nel primo capitolo della saga, in Phil Dethton, giornalista suo antenato. Tre quarti del film a questo punto sono dedicati a far ambientare Deth al corpo e alla vita di Dethton, e il brodo è allungato dalla comparsa di una giovanissima Helen Hunt, love affair di Deth fino al terzo capitolo, dove la scelta tra sci-fi d’accatto e carriera portò la nostra amica nasona ad abbandonare la nave, e dare il via al declino di un mito.
Stabiliti i ruoli e le dinamiche (Whistler scappa in un’epoca a caso dove comincia a zombizzare la gente, Deth lo insegue), la saga è già scritta e pronta a proseguire quanto volete. Immaginatevi i titoli di coda di 22 Jump Street ma con un cinquantenne catarroso al posto di Hill e Tatum. Già il secondo capitolo esce in direct to video: è più debole e noioso del predecessore, concentrato (giuro, e forse SPOILER) più sulle crisi di coppia Deth-Helen Hunt, sposatisi alla fine del primo capitolo, che sulla caccia a Whistler. L’ingresso nel quadro dell’ex moglie di Jack, che si credeva morta ma invece indovinate un po’ no, peggiora la situazione, oltre ad aprire la strada all’addio di Helen Hunt, e a salvare Trancers II sono due idee geniali: mettere Whistler a capo di un’organizzazione ambientalista, GreenWorld, che con la scusa di pulire il pianeta rapisce disabili, ritardati e barboni per trasformarli in zombie. E incasinare i paradossi temporali inventando la camera del viaggio nel tempo, che può portare una persona nel futuro ma non nel passato, e dà dunque modo a Band di inscenare alcune simpatiche gag con protagonista il capo del futuro di Deth, che negli anni Ottanta si reincarna in una quindicenne maialina, tornata nel passato per riportare Jack al suo presente che è ormai diventato il suo futuro da quando lui è Phil Dethton.
L’addio di Helen Hunt e la staticità delle soluzioni – l’orologio magico che ferma il tempo e permette a Deth di fare i numeri e uccidere i cattivi funziona una volta, due, tre, poi invecchia – sono il motivo per cui Trancers III è un mezzo fallimento, nonostante sia di fatto il primo della saga a svolgersi seriamente nel futuro. L’approccio è da Terminator all’incontrario, o se volete da Esercito delle 12 scimmie: Deth, che a questo punto vive nel 1995 e sta per divorziare dalla moglie, viene richiamato in un futuro più futuro del suo futuro (tipo il 2300), dove il mondo è stato conquistato dai Trancers e la resistenza, guidata dalla sua ex moglie (la stessa che risorge nel film prima, sì), vuole che il nostro Dick Tracy dell’Unes torni al 2005 per individuare le origini dell’ondata letale di zombieformiche. Non basta che al solito cast si aggiunga un robocyborg senziente: Trancers III dura un’ora e un quarto e pare un film di Malick.
Perché parlare così profusamente di una serie che, a quanto vi ho detto finora, funziona per un capitolo e mezzo e si è comunque trascinata fino al sesto? Perché mi dà l’occasione di soffermarmi sulla riscossa di Band, il colpo di genio, il numero da circo, la locura: il quarto, nonché ultimo di cui consiglio la visione, film della saga, Trancers 4: Jack of Swords, dove il Nostro azzecca un clamoroso Raimi e scaraventa Deth in una dimensione parallela e pericolosamente simile all’Inghilterra medievale, dove la gente gira vestita di stracci e brandisce grossi pezzi di metallo appuntiti e non ha vergogna a pronunciare frasi come «PREPARE TO DIE, SON OF CALIBAN!».
Girato nello stesso castello in Romania dove Band stava creando anche Subspecies, Trancers 4 è un incosciente concentrato di follie. Deth ha le tasche piene di nuovi gadget: il fermatempo con cariche infinite, la pistola al plasma distruggicose con proiettili infiniti, il coltello della morte. Ecco: nella dimensione parallela dei costumi in pelle funziona tutto al contrario, l’orologio rallenta solo Jack, i proiettili non feriscono i trancers che sono diventati di fatto dei vampiri che possono esporsi alla luce del sole. Ci sono scene in cui Thomerson fa finta di muoversi al rallenty, c’è un mago cattivo di nome Caliban, c’è un finale assolutamente idiota in cui Deth scopre la magia che uccide Caliban il quale dieci secondi dopo torna altrettanto magicamente in vita perché Trancers 5 è stato girato in back-to-back con il 4 ed è in sostanza la seconda parte della storia.
È come se Band avesse cominciato a sentire puzza e avesse quindi deciso di dare libero sfogo alla sua idiozia, mettendo alla prova con un pianeta alieno un personaggio finora inserito solo in contesti a lui familiari. È la stessa intuizione che ha portato Ash del reparto ferramenta a scontrarsi contro l’Armata delle tenebre, che ha messo Maciste contro gli uomini della Luna, che ha catapultato un americano alla corte di re Artù. Solo la scelta di dividere la storia in due capitoli, il secondo dei quali, tra titoli di testa e recap, non arriva all’ora di girato, ammoscia quello che sarebbe potuto essere il film camp definitivo. E c’è comunque tempo per scaraventare un ormai spaesatissimo Jack Deth in posti come The Heart of the Storm e The Castle of Unrelenting Terror.
Dopo l’escursione tra libri magici e talismani incantati, Jack avrebbe dovuto appendere il trench al chiodo e dedicarsi ai nipoti che non ha. Purtroppo, la saga è proseguita nel 2002 con uno stiracchiatissimo sequel privo di Tim Thomerson, nel quale Deth (che si vede solo in immagini d’archivio, manco la decenza di girare due minuti con quello vero) si reincarna nel corpo della figlia. Immaginatevi Indiana Jones 5 – Shia LaBeouf edition. Ora guardate nel congegno sparaflashante di Men in Black. Puff! Vi siete dimenticati dell’orrore che vi ho appena suggerito.
Scusate. Potete fare un altro giro con il congegno.
Come molte altre saghe resuscitate all’inizio del Duemila, anche Trancers non è sopravvissuta al “ritorno alle origini”, all’attitude sbandierata fin dalla locandina, alla necessità di darsi un tono. Alle ambientazioni urbane e gritty, per Dio!, che nonostante l’impegno di Zette Sullivan con trench e sigarette hanno la personalità e il fascino di un film di Marcus Nispel.
Per una serie la cui forza era l’impilarsi disordinato di elementi sempre più folli, un “ritorno alle origini” è insieme ingiustificata ammissione di colpa («Ci siamo fatti prendere la mano») ed epitaffio. Non è mai stato né il viaggio nel tempo, né una Marlboro all’angolo di una bocca a fare Trancers, piuttosto l’incondizionata aderenza al baraccone di un protagonista sublime come Tim Thomerson, la sua arroganza, la faccia di tolla di un uomo che può permettersi di pronunciare frasi come queste, con tutto il loro sottinteso di “Rick Deckard puppa la fava”:
Last January, I finally singed Martin Whistler out on one of the rim planets. Since then, I’ve been hunting down the last of his murdering cult. We call them “Trancers:” slaves to Whistler’s psychic power. Not really alive, not dead enough. It’s July now, and I’m tired. Real tired.
VHS quote suggerita
«I don’t care if you’re a kid, an old lady, or a kitty cat, I’m gonna kick your ass!»
(Jack Deth)
IMDb 1, 2, 3, 4, 5, 6 | Trailer 1, 2, 3, 4, 5, 6
POSTILLA!
I fan di Jack Deth delusi dalla sua scomparsa dalle scene potrebbero apprezzarlo in un piccolo cameo nel primo film di un’altra saga creata da Band, quella di Evil Bong. Io stesso ho imparato dell’esistenza di Trancers grazie a Evil Bong e al suo sequel King Bong, che ho visto insieme ai miei amici dei King Bong, un gruppo del musicale che fa la musica del rumore, i quali poi mi hanno accompagnato anche alla scoperta dei sei capitoli di Trancers. In breve, “bong” fa rima con “amicizia”.
*pensavate davvero che ve l’avrei spiegata? Siete scesi giù a leggere apposta?
Helen Hunt mi ha sempre fatto un sangue violento. Ci tenevo a dirlo.
In pratica Band con la sua Full Moon ha anticipato i tempi dell’Asylum.
Saga che urla REBOOT. Però solo in mano alla gente giusta, quindi magari anche no. Comunque grazie, Stanlio.
questa saga non la conoscevo! grazie stanlio: la recupererò assolutamente!
@jackie
http://www.imdb.com/title/tt3490764/
Scusami Stanlio, il post di prima era per te
Leggendo Jake Deth ho fatto un mischione di nomi.
@Ace: sì conosco, non l’ho inserito perché è un corto fatto solo di stock footage purtroppo…
Grande Stanlio è da giugno dell’ anno scorso che aspetto sto pezzo!
Per me l’ essenza della saga è nei particolari tipo Jack Death che si riempie di gel appena tornato indietro nel tempo.
Peccato che sono disponibili solo in qualità video dell’ isis
Leggendo il titolo ho pensato fosse la rece di quel film dal titolo molto simile con protagonista quel fallito di twilight e mi è venuto un ictus.
Oh ma che bomba era fate of atlantis, ogni volta che lo sento nominare vengo rapito dalla nostalgia. Quelli si che erano giochi per gente seria, impersonavi un uomo rude e giusto in un’avventura della madonna, mica come mò che muovi un transessuale coi capelli fino al culo con la spada + grossa di lui che picchia nemici altrettanto froci a suon di mosse da breakdance. Sul seitan meglio nn mi pronunci che sennò mi sale un olocausto tale che mi devono portare via gli infermieri. Ah cmq vedrò di recuperare almeno i primi 2 capitoli di sta serie
Ho visto che nel primo film sono coinvolti Danny Bilson & Paul De Meo, che ricordiamoci hanno preso parte a quei capolavori di Flash e Viper…
se non sbaglio la Full Moon aveva sfornato anche un altro film con un detective extraterrestre bifolco che insegue il cattivo sulla Terra. Una volta atterrati però – come notano tra lo sgomento e l’ilaritá un paio di teppisti passati lì per caso – la forza di gravitá riduce il protagonista alle dimensioni di un bambolotto (da cui il titolo “Dollman”).
Però sticazzi, anche se piccolo ha una pistola dagli effetti devastanti che riduce la gente a frappè
E grazie anche per i King Bong.
http://www.imdb.com/title/tt3490764/?ref_=nm_flmg_act_3 ritorno sulla scena del crimine
@Rocco: già risposto sopra, non è un film nuovo ma un corto fatto solo con stock footage, roba che si può ignorare tranquillamente…
ma quindi esce il seguito di PINNG o no? e se sì: quando? chiedi agli amici, grazie.
@cinepathia: non è che voglia fare pubblicità ad amici e familiari andando OT nei commenti, eh, però clicca qui.
Serie che ignoravo totalmente…andrò alla ricerca,la recensione mi ha troppo incuriosito.