Avete mai la sensazione, quando guardate un film cinese coi sottotitoli, che i sottotitoli siano fatti completamente a caso?
Io quasi sempre, ma tendo a non badarci perché la maggior parte dei film cinesi che guardo sono di arti marziali e la gente si mena per due terzi e inneggia in modo più o meno plateale alla gloria del Partito Comunista nel tempo che rimane, perciò se anche mi perdo qualche battuta non è la fine del mondo. Con The Taking of Tiger Mountain di Tsui Hark è stato un pochino diverso. Non che il film non inneggi alla gloria del Partito Comunista, anzi, è che credo sia la roba in lingua straniera col più alto numero di personaggi e scene dialogate che abbia visto quest’anno, e il fatto di non incasellarsi alla perfezione nel tipico prevedibilissimo film di combattimento o di guerra della tradizione asiatica, mi ha mandato completamente a male.
Devo confessare di essermici buttato un po’ a peso morto: il fatto che Tsui Hark avesse fatto un epic action in costume con un abuso vergognoso di effetti speciali in CGI mi sembrava una motivazione più che sufficiente per comprarlo a scatola chiusa, voglio dire, con le stesse premesse mi sono sorbito cose ben peggiori, per la precisione Detective Dee 2.
Ciò che ignoravo è che il film è l’adattamento cinematografico di “Tracce nella foresta innevata” (“Taking Tiger Mountain by Strategy”, o 智取威虎山), testo fondamentale della rivoluzione culturale cinese e grande classico della yàngbanxì, l’Opera di Pechino riformata secondo gli standard e l’ideologia del Partito Comunista: non più vicende di re, cortigiane e generali, ma le eroiche gesta di operai, contadini e dell’Esercito Popolare di Liberazione — immaginate che palle. (Era un grande classico anche perché era l’unica opera che i teatri cinesi erano autorizzati a mettere in scena, mentre chi non la andava a vedere veniva considerato un dissidente.)
Dal testo teatrale, a sua volta ispirato a un romanzo che è tratto da una storia vera, era già stato fatto un film negli anni 70 (uno dei più grandi successi al box office della Storia del Cinema, per gli stessi motivi di cui sopra: era l’unico film che facevano in Cina, e chi non lo andava a vedere lo mandavano in prigione) e, per qualche motivo, un album di Brian Eno.
Sigla!
httpv://www.youtube.com/watch?v=unmwse1v2vY
Manciuria, 1946. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e il crollo dell’Impero giapponese, in Cina imperversa la guerra civile. Un contingente dell’Esercito Popolare si trova a dover liberare una regione sotto il controllo di uno spietato gruppo di banditi che ha la propria base in un’inespugnabile ex fortezza nipponica sul picco di una montagna. Per fare ciò, uno dei soldati si infiltra tra le fila nemiche fingendosi un bandito, mentre i compagni avanzano valorosamente liberando un villaggio alla volta e raccogliendo consensi tra la folla.
Vicenda, dicevamo, storicamente documentata, dove addirittura alcuni dei personaggi ritratti sono esistiti realmente. I miei soldi sono sul capo dei banditi interpretato da Tony Leung:
Al netto di una quantità spropositata di personaggi secondari che continuano a venire introdotti ogni dieci minuti, un milione di sottotrame che comprendono tra le varie cose non uno ma DUE bambini (bambini = la morte di qualunque film d’azione che non sia L’ultimo boyscout), frasi e modi di dire chiaramente inventate dal tizio che ha fatto i sottotitoli e il fatto che a un certo punto ha chiamato mia madre e sono stato 15 minuti al telefono senza mettere in pausa il film, posso dire molto serenamente di non aver capito proprio tutto-tutto quello che succedeva.
Quello che ho capito è che neanche a Tsui Hark doveva fregare proprio tantissimo della storia. L’unica cosa che frega a Tsui Hark, ormai da diversi anni a questa parte, è sfruttare al massimo tutte le possibilità che la moderna tecnologia gli mette a disposizione in funzione dello spettacolo più totalizzante e fine a sé stesso.
Come i registi teatrali (bravi) del 900, che dicevano “bella raga, adesso facciamo Goldoni… ma dando le spalle al pubblico per tutto il tempo e il pubblico sarà costretto a chiedersi perché!”, Tsui Hark prende il testo originale senza quasi cambiarlo di una virgola, al costo di rendersi ridicolo o di passare per un simpatizzante del Partito, ma lavora di fantasia su costumi, scenografie e scene d’azione (poche, ma che dilata all’inverosimile) e trasforma il tutto in un action che più contemporaneo non si può, pirotecnico, ipercinetico, che omaggia il cinema di Hong Kong (sia quello tradizionale che quello di rottura) e il kolossal fracassone americano.
Vi ricordate quando dicevamo che Detective Dee era la versione cinese dello Sherlock Holmes di Guy Ritchie? Ogni scena d’azione di Tiger Mountain — fatta di ralenty, cambi di prospettiva, bullet-time e addirittura sequenze riavvolte per essere mostrate di nuovo da un’altra angolazione — è il doppio e il superamento della sparatoria nel bosco al rallentatore di Sherlock Holmes 2, ma non solo. L’eco dei Bond-movie risuona per tutto il film, dall’immancabile inseguimento in sci che dici minchia zio facciamo un film sulle montagne e non ci mettiamo neanche un inseguimento in sci?, alle pose ridicole del capo dei cattivi, un Tony Leung Ka-fai conciato in maniera ridicola come solo le superstar hongkongesi possono permettersi; i banditi minori, tutti caratterizzati da capigliature improbabili e curatissimi look anarco-punk montanari paiono usciti da un film di Miike o da Mad Max (d’altronde, la desolazione del dopoguerra è postapocalittica quasi quanto l’Australia di George Miller), quanto al protagonista della vicenda, dal soldato che si finge un bandito al poliziotto infiltrato il passo è breve e non ve lo devo dire io dove e grazie a chi quel genere ha fatto scuola.
3D e CGI sono usate sempre nel modo giusto (Tsui Hark non si chiede “cosa possiamo fare in CGI per fare prima?” ma “cosa possiamo fare solo in CGI?”) e perfettamente integrate, tra scene di massa, sparatorie infinite e battaglie combattute a colpi di mortaio o a bordo di carrarmato, ma anche tanti scenari mozzafiato, evoluzioni impossibili (c’è una scena in cui un soldato a bordo di sci salta da un picco a un altro di una montagna che fa venire il magone solo a vederla) e innecessari, non per questo meno appaganti, duelli mortali tra un uomo e una tigre. La sproporzione tra quanto gli importa dello spettacolo e quanto poco della trama viene del tutto palesata quando, pur di girare una scena della madonna in più, Tsui si inventa un secondo finale, in cui all’interno di un racconto-cornice — la storia di un giovinastro che ha dimenticato gli antichi valori della sua gente ma li riscopre rievocando gli eroici avvenimenti del ’46 — il protagonista/voce narrante rimugina: «so che le cose sono andate così, ma a me piace immaginare che siano andate colà» e parte così, dal nulla, una nuova, incredibile sequenza, una seconda resa dei conti tra il protagonista e il cattivo a bordo di un biplano in decollo che striscia e si cappotta per decine di chilometri prima di sfrociarsi tra mille scintille contro la montagna.
Ora, lo so che raccontato così sembra una figata, ma tenete presente che ho condensato in due paragrafi 140 minuti di film di cui 15 passati al telefono con mia madre: tutto quello che succede quando una granata non esplode in slow motion è un’autentica palla al cazzo. Il prezzo di cotanta azione messa in scena da un maestro assoluto si paga con: scene coi bambini, scene con l’infermierina che fa gli occhi dolci al soldato con gli occhiali, scene di gente che si lamenta del freddo, che si lamenta della fame, che canta, che piange i morti, scene di vita quotidiana per farci sapere che i valorosi soldati dell’Esercito Popolare sono dei gran bravi ragazzi, scene di vita quotidiana per farci sapere che i banditi sono dei pezzi di merda, una scena in cui la pupa del boss (una milf non male) cerca di sedurre il soldato infiltrato ma visto che su in montagna fa un freddo porco non scopre neanche una spalla, scene del sopraccitato racconto-cornice in cui il regaz nel presente visita i luoghi della vicenda e scruta l’orizzonte con aria riflessiva.
Non lo dico con cattiveria, ma molto di quello che succede in due ore e venti poteva succedere in un’ora e mezza o non succedere affatto e il film non ne avrebbe perso in fruibilità. Per chi desiderasse recuperarlo suggerisco un pisolino nella parte centrale per arrivare belli riposati al combattimento finale.
DVD-quote:
“Eh..?! Cos…” *si sveglia di soprassalto* “Bravo! Bis!” *applaude a scena aperta*
Quantum Tarantino, i400calci.com
NOTA: il mio parere è ovviamente falsato dal mio essere un porco capitalista occidentale, in patria The Taking of Tiger Mountain è stato un successo clamoroso e ha fatto uno sfacelo di soldi piazzandosi al decimo posto tra i film più visti di tutti i tempi in Cina — e questa volta senza costringere la gente a vederlo con la minaccia della prigione.
Bravo, hai elencato tutti i motivi per cui il cinema cinese di oggi e’ invendibile all’estero… e considerando il successo di quasi tutti i film americani che arrivano qui, pare pure non troppo digeribile per il pubblico locale: ripetizione ad nauseam dei soliti motivi (giapponesi bastardi, cinesi poveri ed eroici, il partito che salva la situazione, CGI orrenda… ).
Bella recensione.
Comunque mi ero vaccinato contro l’entusiasmo guardando prima il trailer cinese: molta meno azione, anzi poca. Tanti primi piani di soldati eroici pensierosi e orfani e quelle che (sembrano) battute idiote.
In ogni caso il poster è uno dei pochi che mi hanno fatto esclamare “lo voglio nella mia cameretta!”
Visto 1 mese fa in anteprima la FEFF di Udine.
Rece breve: ‘na cagata mostruosa.
Rece meno breve: concordo su quasi tutto qui sopra, solo che aggiungo che in realtà la CGI è fatta malissimo e, come in tutti i “kolossal” cinesi da 15 anni a sta parte, anche in questo si vede benissimo che loro ci provano ma vien fuori la solita poWerata approssimativa e raffazonata.
Confermo quello che vo’ dicendo da anni: al cinema cinese mancano dei bravi sceneggiatori e una capacità generale di rifinitura…
Concordo con Snake Pleaskillme!
Visto in anteprima al FEFF anche io e SONO USCITO DURANTE LA PROIEZIONE: ‘nammerda senza ritegno, lento, palloso, CGI a cazzo di cane, scene action girate in maniera appena accettabile, con moltissimi raccordi MACCOSA e un numero ancora maggiore di non-sense negli intervalli.
E tutto senza arti marziali. VERGOGNA!
L’unica cosa su cui posso concordare è il tasso di nazionalismo patriottico: c’è, si vede, è tanto, ma non più di quello che trasuda dal finale di Detective Dee.
Giusto per correttezza vorrei far notare che in Cina chi non ha visto il film è stato mandato ai lavori forzati comunque…
Magari
@Zen My Ass non pretendo di essere un’esperto, dato che della marea di film che escono in Cina ne guardo solo una selezionatissima porzione (riassumibile in: film di tsui hark, film con donnie yen, film con jackie chan), ma da un po’ di tempo mi sembra davvero che non buttino fuori un film se non c’è dentro un’ode sperticata (più o meno nascosta dietro più o meno sottili metafore) al governo, al partito o a qualche altra istituzione
@the Bat(Mat) concordo, il poster (specialmente la versione orizzontale) è qualcosa da appendersi in cameretta anche se non ti frega una ceppa del film
@ snake & magari vi dirò, a me la CGI non è sembrata così drammatica, anzi, è proprio una delle poche cose che salvo, ma forse dipende dal fatto che l’ho visto sul televisore di casa mia invece che sullo schermo di un cinema
Eh, appunto.
Forse il canale di fruizione è proprio il dvd piratissimo raccattato nel retrobottega dell’ultima rosticceria in fondo al mercato del pesce di Shenzen e proiettato su una scassatissima Mivar di importazione clandestina… ma anche no!
Ti assicuro che su grande schermo la CGI era davvero orrida; a tratti mi ricordava quella delle recenti serie dei Power Rangers.
o anche il blu-ray su un dignitosissimo televisore samsung, eh.
puoi sui power ranger non ti so dire, le serie più recenti le seguo solo per la trama e non faccio troppo caso alla messinscena.
non è calcista ma “Touch of Sin” non mi è parso un’ode al governo o al partito e lo consiglio, un po lunghetto ma bello.
ah comunque sta per tornare Ringo Lam e pare con un bel noir https://m.youtube.com/#/watch?v=Fz4qVrU6lCo attendiamo speranzosi
@Tutti: è buffo, ma io l’ho trovato uno degli ultimi film cinesi con il più basso contenuto ideologico, anzi: il tributo ai sani valori della Cina di una volta concessi al regime è così posticcio che rasenta il pernacchio, perché poter dire “ma alla fine che cazzo me ne frega a me, io voglio l’Opera di Pechino, le parrucche oltraggiose, la gente che se mena”, una bella dimostrazione di autorità comunque per Tsui Hark senza rinunciare un’oncia al pragmatismo tutto cinese di farsi andar bene il peggio finché paga.
Tanto più che il secondo finale dell’aero che esplode tutto!!1111!!! arriva dopo il passaggio di maggior diabete del film, una scena del racconto cornice in cui il giovine fa il pranzo del mulino bianco con gli spettri di tutti i commilitoni trapassati della guerra: praticamente schiaffa in faccia il suo “ok, fatto, ora torniamo alle cose importanti”.
Sul soapoperismo, ci avrò fatto il callo, ma salvo il lavoro eccezionale di gente veramente in grado di fare anche “altro”, non è mai stato assente dalla cinematografia popolare cinese (da quanto ho visto io almeno): cinematografia che 3 sani minuti di botte li ha sempre regalati anche con la sceneggiatura wuxia più maccosistica, a cui sono disposto a concedere i limiti della “differenza tra culture”, e che ha reso possibile l’esistenza di quell'”altro” di qui sopra. Un soapoperismo che guardo un po’ con affetto, come quei fratellini mezzi scemi che comunque il divertimento te lo regalano anche se magari il loro ideale di umorismo è una scorreggia con l’ascella.
La CGI: effettivamente fa cagare, l’industria cinese non ha la raffinatezza di Pixar e Weta, però, a ‘raga, è anche così che la ricchezza di un paese cresce, imparando a farsi le cose da soli – le stesse cose le si diceva un tempo sulle “bruttissime automobili giapponesi”, vedi un po’ o degli smartphone che son qui-qui per invadere il mercato nostro, per rimanere su questa sponda del Mar Giallo. Però, anche qui, ci sono dei distinguo: sì sì a una CGI bruttarella, ma che cerca di farsi le ossa, oppure utilizzata in modo creativo o personale o almeno culturalmente diverso; no no quando cerca di scimiottare e fare quello che la parkinson cam ha fatto all’action hollywoodiano, il cinema action action-less…
PS: non date della merda alla cioccolata fino a quando non avete provato il vero male della Cina, il variegato cacchina denso e pastoso come il caffè greco, tipo certi film con la locandina rossa rossa che guarda, brutti, ma brutti, ma brutti, o signùr…
Ciao
@ Quantum: ti cito:
QUOTE
ma da un po’ di tempo mi sembra davvero che non buttino fuori un film se non c’è dentro un’ode sperticata (più o meno nascosta dietro più o meno sottili metafore) al governo, al partito o a qualche altra istituzione
UNQUOTE
e chioso: sì, più o meno dal 1917. Persino il primo Detective Dee aveva un solido finale leccaculista.
Ripeto: in confronto questo Tiger Mountain, che dovrebbe sprizzare retorica di partito da tutti i pori è QUASI a livelli di propaganda di partito onesti (per una dittatura d’altri tempi, è ovvio)
E comunque tutto il film faceva cagarissimo.
Da evitare come una mina ripiena di pupù.
Magari
Mmmmh, no, secondo me la questione è più complessa di così – ma lo dico dal calduccio della mia stanza dove mi vedo i filmi importati, mica nel cinema dove se non vado mi sparacchiano.
Il ragionamento è validissimo per i film prodotti sotto Pechino, per i film prodotti ad Hong Kong l’assenso al regime, fino alla reintegrazione, per motivi ovvii era (e ogni tanto, a capolino, è) meno integrale.
Certo, da quello che ho inteso, il concetto di relazione uomo-stato dei cinesi funziona più o meno così: lo Stato esiste ed è malvagio perché deve imporre la sua volontà a tutto. Le ingiustizie possono essere riscattate dai singoli eroi (a suon di mazzate con il Kung Fu, la maggior parte delle volte), ma si apre e si chiude con loro. Lo Stato è comunque necessario perché siamo 1,35 miliardi di teste da mettere d’accordo, democrazia fuck off: lo Stato vince, trangugiamo l’amara pillola, ma ricordiamo quelli che si sono alzati e hanno perso.
‘Sta roba, che è inveterata nella mentalità del più alto papavero fino al più umile bottegaio, è il motivo per cui la Cina rimarrà sempre ai nostri occhi una superpotenza sulla cui compatibilità con i nostri ideali democratici farà sempre un po’ a cazzotti (e bé, sono i boxer), ma quanto sia ideologia e quanto pensar comune nei film non sempre è molto trasparente.
Tanti film di Hong Kong sotto sotto contestavano e alla fine la simpatia andava tutta dalla parte dell’eroe, destinato di per sé fin dall’inizio a prenderla nel culo (mi sembra che a Chinese Ghost Story II avesse, tra gli altri, una visione mica troppo rosea dei regimi). Se invece la simpatia ce la metti dalla parte del regime e zitti e mosca (come fanno sottobanco la quasi totalità dei wuxia revisionisti, quelli più estetici che di menare), mhh, hai un bel po’ più da faticare a farcela digerire…
E’ un discorso davvero troppo ampio e complesso, di cui il cinema rappresenta solo una parte. Io personalmente ho notato un restringimento della libertà di espressione da 2 o 3 anni a questa parte (da quando si e’ insediato il nuovo capo del governo, Xi Jinping): serie tv, reality, film sono tutti soggetti a pesanti censure e prodotti stranieri arrivano meno e più controllati (persino Big Bang Theory è stato cassato). I cinesi vanno tantissimo al cinema e putroppo la massiccia produzione locale (si parla di 900 e più film all’anno) gira intorno a pochi temi raccontati in tutte le salse: l’amore che trionfa e sfocia in una famiglia, cinesi eroici che combattono i giapponesi o una qualsiasi influenza esterna, classici della loro letteratura adattati a strafottere.
Un film emblematico di questo clima (mi pare di averlo già scritto) è Blackhat: produzione americana, ma con metà cast cinese o asiatico, ambientato in asia, i cinesi NON fanno la figura dei fessi. C’è una breve scena a metà film (e che spiega bene perchè il film non verrà distribuito qui) in cui il poliziotto cinese riceve l’ordine di consegnare l’americano. Lui si ribella per amicizia e poi muore. Ecco, la ribellione all’autorità (anche se per fini di spettacolo e story-telling) non è ammissibile, è un concetto pericoloso che va evitato.
Voglio congratularmi con voi, Zenmyass e Affro:
i vostri commenti sono sempre interessanti da leggere,
sia per i contenuti che per lo stile. Starei a leggervi per ore
In 12 anni che vivo in Cina ho visto un film cinese al cinema, era una commedia romantica, mi ci ha trascinato mia moglie insieme ad un’altra coppia, per carità, era alla fin fine meglio di un barber shop qualunque, ma insomma, mai più voluta ripetere l’esperienza.
Per il resto dei 100 e passa canali locali, idem, per me non esistono, so a mala pena chi è Fan Bingbing, della cultura pop locale proprio non sono mai riuscito ad interessarmi, pur parlandone correntemente la lingua e anche nei miei innumerevoli KTV ho sempre cantato rigorosamente canzoni anglo-americane.
Detto questo, il buon Xi Jingpin ha portato ad una moralizzazione dei costumi, che è partita con una pulizia abbastanza estrema del partito comunista, modello tangentopoli, ma molto più estesa e che è ancora in atto. Come sempre quando la Cina attraversa un periodo di crisi, preferisce chiudersi su se stessa andando a ripescare modelli virtuosi del passato e mettendo barriere ai valori che arrivano dall’esterno. Tutto questo influisce ovviamente sulla cultura pop e quindi non è facile trovare prodotti non politicizzati. Se non impossibile.
Paradossalmente però, tutto ciò che è censurato a livello ufficiale lo si trova ovunque nel mercato pirata che di solito non è in un basement nascosto ma in un negozio alla luce del sole e ce ne sono migliaia in tutti i quartieri delle principali città e sono tantissimi i cinesi che si riforniscono e possono dunque avere accesso ai vari Black Hat…
Quello che sta facendo Xi Jingpin e’ esattamente quello che Mao ha fatto negli ‘anni ’50 e ’60: epurazione mascherata da moralizzazione. Si stanno facendo fuori tutti gli oppositori e quelli non precisamente allineati, e stringere sul campo della censura e dei valori e’ un modo per vedere di chi ci si puo’ fidare e di chi no.
Il periodo di crescita a due cifre percentuale annuo e’ finito, e l’economia sta rallentando di brutto (chiedi in giro, la paura cresce e cosi’ il rischio di instabilita’ sociale) e la politica estera aggressiva (specialmente nel South China Sea) serve a garantirsi riserve di petrolio e nuovi territori.
Il cinema e’ solo la punta dll’iceberg, ma serve a cogliere i mutamenti del clima politico, e l’ultima cosa che questo governo vuole e’ diffondere idee “pericole”.
@John Blacksad: uuh, grazie, troppo gentile per un cazzaro come me (^_^)V!
Ringrazio anch’io invece Zen My Ass e tutti i commentatori che sono in grado di darmi un riscontro sul campo: io vedo un sacco di asianate, ma da vicino per ora li ho visti ancora poco, quindi corro sempre il rischio di diventare l’albanese stile Striscia la Berisha del caso. Condivido molto comunque l’osservazione su cercare di capire quello che frulla nei cervellini delle persone a distanza cercando di interpretare (piuttosto che prendere alla lettera) quello che vedo nei film, e a questo proposito i film brutti o quelli mediocri spesso danno più il polso della situazione.
Il che poi ci fotte a tutti quando tra 30 sarà cambiato il clima, guarderanno i film di Hollywood segnati dal bigottismo del Pg-13 ed etichetteranno la nostra come la Ned Flanders generation…
“etichetteranno la nostra come la Ned Flanders generation…”
Dai, speriamo di no
Con i giapponesi cattivi mi ricordo un con Cristian Bale che faceva il prete che proteggeva delle cinesine che i jap cattivi volevano trombarsele……….
I fiori della guerra?
Sì, era quello
Con i giapponesi cattivi mi ricordo un film con Christian Bale che faceva il prete che proteggeva delle cinesine che i jap cattivi volevano trombarsele……….
Scusate l’errore
E’ Flowers of War di Zhang Yimou, del 2008.
Non era male, devo dire.
Potrebbe essere tra i migliori di questo filone.
SPOILER
Una cosa simpatica era che il personaggio di Bale non era un vero prete cattolico ma un faccendiere che si spacciava per tale nella speranza di
non farsi ammazzare, e nascondeva a un certo punto queste ragazzine in un bordello scontrandosi per un’pò con le sue occupanti; tutto questo aiutava ad avere un feeling un pò più sciolto, meno didascalico
Con i giapponesi cattivi mi ricordo un film con Christian Bale che faceva il prete che proteggeva delle cinesine che i jap cattivi che volevano trombarsele……….
Scusate l’errore
porco capitalista pure mi…sta roba la trovo inchiavabile.
i cinesi, stilisticamente e non solo, stanno inguaiati.
Sì, Quantum, ma che voleva mamma tua?
a proposito di finali spoilerati dalle locandine, ma avete mai visto quella cinese de “Il Sesto Senso”? LOL
Brian Eno ha dato il nome “Taking Tiger Mountain by Strategy” al suo album del 1974 perchè si è sempre interessato alla cultura cinese otto/novecentesca
(è sempre stato di estrema sinistra ma mai maoista per quanto ne so):
ho scoperto l’esistenza di quest’opera proprio grazie a quel disco,
che tra l’altro è ottimo e vi consiglio di ascoltarlo tutto
“era l’unica opera che i teatri cinesi erano autorizzati a mettere in scena”
In realtà no, ce n’erano anche altre
Ma che belli sono ‘sti film tratti da storie verissime con tigri antigravitazionali? Fondere la leggenda con la storia fino a renderle indistinguibili l’una dall’altra, tutto diventa più epico, forse per qualcuno solo più stupido, sicuramente più divertente di un film documentaristico con gli stessi drammi.
La citazione a Project A mi ha fatto sorridere.