Una storia semplicissima, da una frase sola, che funziona anche senza verbi. Poliziotto, distretto di polizia, ultima notte. Bum. È praticamente fatta, no? Hai già l’attenzione del pubblico. A questo punto, puoi aggiungere due o tre elementi per farci salire la fotta, sviluppare interesse nei confronti del tuo film. Soprattutto se il tuo nome poi è Anthony DiBlasi. Chi? Dai, Anthony! Non ti ricordi? Il regista di quel piccolo film che era Dread, tratto dal racconto di Clive Barker. Sì, dai, era quello con la fissa proprio per Barker; a un certo punto era stato in lizza anche per dirigere il remake di Hellraiser. Eh, lo so. Sì, praticamente giusto io e te non siamo stati proposti per il remake di Hellraiser, però guarda che il DiBlasi non è male. Certo, non è proprio uno dei registi più dotati di personalità o fantasia che si siano mai visti in attività, (il suo Cassadaga era – e ve lo dice il Miike – una merda) ma è uno che sa fare il suo mestiere. Lascialo fare, lascialo.
Per cui: il poliziotto è in realtà una poliziotta. È una recluta, una al primo giorno di lavoro (una che non è ancora troppo vecchia per queste stronzate). Suo padre è rimasto ucciso in servizio. Lei, contro il volere materno, vuole tenerne in vita il ricordo facendo lo stesso. Il Distretto in questione invece è all’ultimo giorno di vita. Domani lo chiudono: una storia di vecchie tubature, perdite, vecchiaia… Lascia stare. Come dici? Distretto 13: Le Brigate della Morte. Eh, sì. Sì, anche lì c’era questa cosa dell’ultimo giorno di un precint in una zona della città non proprio frequentata benissimo. Però qui, guarda, è più una cosa di citazionismo tangente, un piccolo elemento che serve a far capire lo spirito, l’attitudine con cui si sceglie di raccontare le cose. No, poi a parte questa cosa, non c’è quasi nessun altro punto di contatto centrale con il capolavoro di Carpenter.
La ragazza deve passare la notte da sola in questo distretto di polizia che sta per chiudere. Tutta la notte. Da sola. Ma perché? Ti ringrazio per la domanda. A un certa dovrebbero arrivare quelli della scientifica che portano via le ultime prove, quelle dei casi che non sono stati risolti o non hanno poi portato a nulla. Sì, è un po’ un lavoro del menga, ma in realtà non è neanche così pesante. Ti metti lì, ti leggi un libro, aspetti i ragazzi e domattina te ne puoi andare a casa. Il Sergente è contento, tu fai una bella figura e ciao. Easy peasy, lemon squeezy. Solo che poi succede che accade che capita la circostanza per cui si verifica che nel distretto di polizia c’è anche il Morbo della Morte.
La nostra simpatica poliziotta comincia a ricevere delle strane telefonate. C’è una donna in pericolo: dice che è stata rapita da una famiglia di pazzi squilibrati, non sa dove si trova, sa solo che ci sono dei maiali che urlano… Oddio, mi dica dove si trova! Vedo qualcuno, qualcosa? Niente. La linea continua a cadere. Nel frattempo nel distretto abbandonato succede di tutto: armadietti che si aprono da soli, barboni che entrano di nascosto e pisciano in terra, rumorini sospetti di ogni specie, porte che sbattono, visioni di fantasmi cor sacchetto de Satana in testa, angosce varie… Una cosa a un ritmo sostenutissimo, tra l’altro. Ogni sequenza un bubu7te, per dire. Pim Pum Pam. La nostra poliziotta – saggiamente – se ne vorrebbe andare a casa a bere una tisanina calda e vedere l’ultima puntata di Narcos sul divano con copertina annessa, ma non vuole fare la figura della mammoletta. Se chiedete a me, me ne sarei andato via al primo rumorino, sia chiaro, ma lei decide di rimanere lì. E scopre che tutto quel casino lì è colpa della famiglia Paymon, una sorta di Manson Family dei poveri che anni prima terrorizzò la zona e che, guarda caso, è anche responsabile della morte del padre della protagonista. Una coincidenza? Non penso proprio. Ciliegina sulla torta, i terribili tre della Paymon Family si sono impiccati proprio in quelle celle e nottetempo…
Last Shift è un piccolo filmettino horror piuttosto gustoso, di quelli da vedersi a notte fonda, facendosi prendere dall’atmosfera pauperistica del film. Oppure di quelli da cineforum tra cinque amici, una chitarra e uno spinello di droca. Non c’è nulla infatti se non un set, una protagonista e voglia di accelerare sul pedale dello spavento. Nulla di rivoluzionario, niente per cui strapparsi i capelli, ma se siete tra i giusti che pensano che lo scopo di un filmetto horror sia beccare almeno un paio di sequenze forti e che spaventino, beh, Last Shift è lì apposta.
DVD-quote:
“Filmettino bomba!”
Casanova Wong Kar-Wai, i400Calci.com
Bella topa la produttrice Mary Lankford Poiley…
Citazione a Elio: check
Grazie Casanova, grande recensione
titolo rischioso…meno male che gli è venuto bene…
Dopo aver visto la prima immagine e letto il primo paragrafo ho temuto una stronzata alla Liberaci dal male. Questo mi pare di capire che sia meglio. Magari ci butterò un occhio.
avevo letto LAST SHIT e per gran parte della recensione non capivo…
Last Shit è un film con i tenori de “Il Volo”.
questo l’agge visto attirato dal 6.2 su imdb (ora sceso a 5.5) seguendo la cara vecchia proporzione:
6.2 su IMDB : film horror = 7.6 su IMDB : film rom-com
sono però rimasto più scettico rispetto alla rece perchè oltre al difetto passabile di non inventarsi nulla, ha anche quello di non fare particolarmente bene quello che fa.
certo gli spaventerelli e un minimo di tensione ci sono ma, a te che stai leggendo il mio commento e sei alla ricerca di un filmetto horror, consiglio di vederti Let Us Prey: stessa L come prima parola del titolo, stessa ambientazione, tematiche simili, protagonista femminile simile, ma riuscito meglio come film.
me lo vedo subito.
“Last Shift” cmq mi intriga quindi una visione è d’obbligo…
“Let Us Prey” ce l’ho nel cassetto da settimane e sinceramente non avevo idea delle potenzialita’, a questo punto stasera me lo guardo! ;)
un po’ una cacatina pure Let us Prey…
ok ma last shift l’hai visto?
Ok Samuel, hai il mio polliceChuckNorris in su, appena ho il tempo di respirare, recupero.
Dite quello che volete, ma per sono questi i tipi di film a cui si dovrebbe dare fiducia.
Trama semplice, diretta e onesta messa in scena.
Ma forse sono io che ho un debole, per tipo genere.
Visto! Al Barone e’ piaciuto assai!
You had me at “maiali che urlano”. Maiali che urlano = WIN.
Grunf!
quello è il grugnito..l’urlo è più qualcosa tipo
SCREEIGHH SCREEEEIGHH SCREEEEEEEEEEEEEEEEEEEIGGHHHHH
Mi sto allenando grazie alla preziosa guida onomatopeica di Samuel. La prossima volta che incontro un maiale NON AVRA’ SCAMPO. Vieni qui, dead pig walking.
+1 a cicciolina e samuel
Casanova sei un mito. Questi film non fanno per me, ma ogni volta mi fai morì con ste recensioni!
E comunque ‘il morbo della morte ‘ mi fa sempre, e dico sempre, sbellicare.