No, quello che voleva dire Tony è che è sono state le locandine estere (ce n’è anche una krukka) a fare il markettone.
La locandina italiana e la trama non sembrano avere nulla a che fare con Indy http://pad.mymovies.it/filmclub/2007/10/127/locandina.jpg
Beh, se lo facevano all’estero, ci sta anche! Probabilmente da loro Tex non è quel totem generazionale che è stato da noi e il prodotto andava venduto.
Se interessa ecco cosa ne avevo scritto anni fa su un forum…
Ce la facciamo a rivalutare anche questo? Direi di no. Il film era e resta miserello, intrappolato tra le ambizioni troppo alte (il voler essere un film all’Indiana Jones e la trasposizione cinematografica di un mito fumettistico) e la povertà della messa in scena. Non è solo una questione di budget, è che nell’Italia di metà anni ’80 il cinema d’azione italiano era già morto e sepolto. Gli stuntman si buttano dai tetti e fanno le capriole come un tempo, ma anche loro hanno un che di goffo, sembrano fare parte di un ingranaggio ormai arrugginito che nonostante le buone intenzioni non ce la fa a ripartire. I personaggi hanno le facce più o meno note e invecchiate dei caratteristi di film di Leone (Aldo Sambrell: il bandolero Eldorado, Frank Braña: l’affarista trafficante) o Fellini (José Luis de Villalonga: il dottore che tenta l’autopsia), ma l’effetto più che nostalgico è solo triste. Anche i vecchi set western devastati del villaggio in cui i pards si scontrano con Eldorado stringono il cuore. Come tristezza mette la tremenda resa sonora dei dialoghi, con l’accavallarsi di voci in presa diretta e altre doppiate. Gli effetti speciali… lasciamo perdere.
Bisogna però ricordare che in realtà questo doveva essere solo l’episodio di un telefilm, trasformato in film solo a riprese già iniziate. Il passo è infatti da sceneggiato italiano, quindi montaggio pigro e abbondanza di tempi morti. Da piccolo schermo sono anche la fotografia stinta e la regia, tutta giocata sui piani medi, senza mai un vero primo piano e nessuna concessione al paesaggio o agli ambienti (se non nei momenti di raccordo): una catastrofe per un western da grande schermo. Difficile in un tale contesto giudicare quello che avrebbe potuto fare o non fare Duccio Tessari, il regista di gioielli come “Una pisola per Ringo” e “Il ritorno di Ringo”, ma bisogna pur dire che la sua regia non è solo “fiacca”, come la definisce fin troppo generosamente Giusti nel suo dizionario, ma semplicemente inesistente.
Invece il tanto criticato cast, se minimamente diretto poteva benissimo funzionare. Giuliano Gemma fisicamente era l’attore ideale, anche se sarebbe stato meglio doppiarlo. William Berger ha l’aria di divertirsi un mondo, è l’unico a sembrare a suo agio e ad avere il giusto ritmo di recitazione, il suo è un Carson semplicemente perfetto. Carlo Mucari non assomiglia per niente a Tiger Jack o ad un indiano, ma resta sempre in secondo piano. La bonona Isabella Russinova non è più improbabile di tante altre bambolone che sempre hanno decorato il cinema di genere nostrano. Flavio Bucci ha un’ aria troppo teatrale, ma la faccia da azteco ce l’ha tutta. Al di là del bene e del male il cameo di GLB con la parrucca da stregone.
E la storia è bella. Se il film nonostante tutto si lascia vedere in tutti i suoi cento minuti è merito dell’originale commistione tra fantastico e western ideata da GLB, la cui forza funziona anche in un contesto tanto mesto. La prima parte, quella più legata al linguaggio e ai luoghi comuni texiani, scorre abbastanza. La parte centrale più genericamente western è quella che funziona meglio. Nella sparatoria nel villaggio abbandonato e nell’agguato al pozzo degli avvoltoi (“Il pozzo degli avvoltoi! Il posto ideale per un appuntamento!”) il film sembra trovare persino un certo stile. Ma tutto sprofonda nel trash degli ultimi 40 minuti, dove pare di tornare ai peplum di Maciste e Ercole (l’antro di cartapesta del Signore degli Abissi, con fumi le luci surreali, sembra preso da “Ercole al centro della Terra” di Bava), tra rocce di polistirolo e aztechi con facce da borgatari, ma senza quella genuina semplicità.
C’è o c’era comunque l’impressione di vedere muovere e parlare in tre dimensioni e incarnati da attori veri personaggi tanto famigliari in versione disegnata. O almeno, ad undici anni e al cinema, la sensazione ai tempi fu bella forte, tanto che devo ammettere che allora il film non mi dispiacque affatto…
Ho paura a controllare l’anno di questo film. Prima o dopo il 1981?
1985…siamo dei poveracci!
In realtà è il poster dell’edizione francese… :-)
Sì, ma il film è del 85! Pensa che miseria: un mito locale come Tex derubricato ad imitazione di Indiana Jones per fare due spicci….
No, quello che voleva dire Tony è che è sono state le locandine estere (ce n’è anche una krukka) a fare il markettone.
La locandina italiana e la trama non sembrano avere nulla a che fare con Indy
http://pad.mymovies.it/filmclub/2007/10/127/locandina.jpg
E poi ci fanno pure la morale :p
Beh, se lo facevano all’estero, ci sta anche! Probabilmente da loro Tex non è quel totem generazionale che è stato da noi e il prodotto andava venduto.
ma il film com’è?
Se interessa ecco cosa ne avevo scritto anni fa su un forum…
Ce la facciamo a rivalutare anche questo? Direi di no. Il film era e resta miserello, intrappolato tra le ambizioni troppo alte (il voler essere un film all’Indiana Jones e la trasposizione cinematografica di un mito fumettistico) e la povertà della messa in scena. Non è solo una questione di budget, è che nell’Italia di metà anni ’80 il cinema d’azione italiano era già morto e sepolto. Gli stuntman si buttano dai tetti e fanno le capriole come un tempo, ma anche loro hanno un che di goffo, sembrano fare parte di un ingranaggio ormai arrugginito che nonostante le buone intenzioni non ce la fa a ripartire. I personaggi hanno le facce più o meno note e invecchiate dei caratteristi di film di Leone (Aldo Sambrell: il bandolero Eldorado, Frank Braña: l’affarista trafficante) o Fellini (José Luis de Villalonga: il dottore che tenta l’autopsia), ma l’effetto più che nostalgico è solo triste. Anche i vecchi set western devastati del villaggio in cui i pards si scontrano con Eldorado stringono il cuore. Come tristezza mette la tremenda resa sonora dei dialoghi, con l’accavallarsi di voci in presa diretta e altre doppiate. Gli effetti speciali… lasciamo perdere.
Bisogna però ricordare che in realtà questo doveva essere solo l’episodio di un telefilm, trasformato in film solo a riprese già iniziate. Il passo è infatti da sceneggiato italiano, quindi montaggio pigro e abbondanza di tempi morti. Da piccolo schermo sono anche la fotografia stinta e la regia, tutta giocata sui piani medi, senza mai un vero primo piano e nessuna concessione al paesaggio o agli ambienti (se non nei momenti di raccordo): una catastrofe per un western da grande schermo. Difficile in un tale contesto giudicare quello che avrebbe potuto fare o non fare Duccio Tessari, il regista di gioielli come “Una pisola per Ringo” e “Il ritorno di Ringo”, ma bisogna pur dire che la sua regia non è solo “fiacca”, come la definisce fin troppo generosamente Giusti nel suo dizionario, ma semplicemente inesistente.
Invece il tanto criticato cast, se minimamente diretto poteva benissimo funzionare. Giuliano Gemma fisicamente era l’attore ideale, anche se sarebbe stato meglio doppiarlo. William Berger ha l’aria di divertirsi un mondo, è l’unico a sembrare a suo agio e ad avere il giusto ritmo di recitazione, il suo è un Carson semplicemente perfetto. Carlo Mucari non assomiglia per niente a Tiger Jack o ad un indiano, ma resta sempre in secondo piano. La bonona Isabella Russinova non è più improbabile di tante altre bambolone che sempre hanno decorato il cinema di genere nostrano. Flavio Bucci ha un’ aria troppo teatrale, ma la faccia da azteco ce l’ha tutta. Al di là del bene e del male il cameo di GLB con la parrucca da stregone.
E la storia è bella. Se il film nonostante tutto si lascia vedere in tutti i suoi cento minuti è merito dell’originale commistione tra fantastico e western ideata da GLB, la cui forza funziona anche in un contesto tanto mesto. La prima parte, quella più legata al linguaggio e ai luoghi comuni texiani, scorre abbastanza. La parte centrale più genericamente western è quella che funziona meglio. Nella sparatoria nel villaggio abbandonato e nell’agguato al pozzo degli avvoltoi (“Il pozzo degli avvoltoi! Il posto ideale per un appuntamento!”) il film sembra trovare persino un certo stile. Ma tutto sprofonda nel trash degli ultimi 40 minuti, dove pare di tornare ai peplum di Maciste e Ercole (l’antro di cartapesta del Signore degli Abissi, con fumi le luci surreali, sembra preso da “Ercole al centro della Terra” di Bava), tra rocce di polistirolo e aztechi con facce da borgatari, ma senza quella genuina semplicità.
C’è o c’era comunque l’impressione di vedere muovere e parlare in tre dimensioni e incarnati da attori veri personaggi tanto famigliari in versione disegnata. O almeno, ad undici anni e al cinema, la sensazione ai tempi fu bella forte, tanto che devo ammettere che allora il film non mi dispiacque affatto…
Ammazza che popò di risposta! Grazie mi sa che non tento il recupero..
Ma perchè Giuliano Gemma nel poster ha le fattezze di Tom Berenger?
Sbaglio o il cavallo e’ un attimino grande?
http://pad.mymovies.it/filmclub/2007/10/127/locandina.jpg
Dai, era una merda.
Basta un rigo.