Il mio amico e illustre collega Jackie Lang giorni fa ha puntualmente analizzato la sua scena preferita di James Bond in un post pregno di conoscenza -anche io adoro lo 007 di Lazenby- e per cui mi congratulo. Nondimeno mi sento di rilanciare sul tema e per farlo devo necessariamente partire dal mio Bond preferito, ovvero Missione Goldfinger, per mettere in luce sì una delle mie scene preferite ma quella che secondo me sancisce una cosa cruciale di Bond e il motivo per cui lo ho subito amato: le sue atmosfere. Atmosfere in cui il pericolo aleggia costantemente e gli avversari sono entità diaboliche.
Goldfinger non lo scelgo però a caso o solo di pancia: è da sé il film che definisce la gran parte delle cose che pensiamo quando pensiamo “James Bond”. Tutto quello che definisce la narrativa e l’estetica di Bond in Goldfinger viene sancito per sempre. Contiene tantissime icone del personaggio ed è un film disegnato per eccellere. L’Aston Martin con i sedili eiettabili, la donna placcata d’oro, lo smoking bianco, Odd Job, molto di quello che è Bond nella testa delle persone viene da qui.
Sarei bugiardo se dicessi che da Goldfinger non ho pensato di citare la scena della tortura col laser, chiaramente è una delle scene per antonomasia del personaggio e una delle sue battute più celebri ma sarebbe stata l’ennesima lode ad una scena già citatissima. Di Goldfinger amo un’altra scena, cruciale ma molto più sobria, che descrive, racchiudendolo tutto lo spirito del Bond classico conneriano senza che 007 faccia praticamente nulla, quasi senza apparire.
È la scena in cui Goldfinger riunisce i suoi complici nella sala hobby per spiegargli il piano, li riunisce tutti attorno ad un plastico di Fort Knox -l’oggetto del colpo- e una volta che ha la loro attenzione e li ha tutti radunati vicini li uccide con un gas letale che fuoriesce da un compartimento segreto del tavolo. Avrei potuto scegliere a caso in tutto il minutaggio del film eh, è una scena cult dopo l’altra, quindi perché questa scena? Innanzitutto per come è girata. Guardiamo la prima parte insieme.
L’ambiente gigantesco viene presentato con una carrellata ampia, con i gangster sparpagliati in giro intenti a giocare con i vari svaghi di Goldfinger. Subito dall’ingresso di quest’ultimo il caos comincia ad ordinarsi attorno a lui e ad ogni fase della scena i gangster si compattano verso il centro mentre Goldfinger si mette invece da parte e grazie ad un pannello di comandi nascosto nel biliardo la stanza viene oscurata. Il centro dell’ambiente viene illuminato e da lì emerge dal pavimento il gigantesco plastico di Fort Knox. In maniera teatrale e tra lo stupore generale i complici di Goldfinger si radunano incuriositi come bambini a osservare la scena e nascosto lì dentro al plastico c’è nascosto sotto al naso di tutti proprio James Bond.
Il centro di quella stanza diventa un’ allegoria della pellicola: ci sono i gangster tutti radunati attorno al simulacro del malloppo che è l’obiettivo del colpo e del film e osservano avidamente la preda inconsapevoli che Bond gli sta addosso. Nello stesso tempo Bond è anche accerchiato e in pericolo. Tutte le dinamiche convergono al centro di quella stanza gigantesca che ora però si è fatta più piccola grazie a paratie e muri mobili azionati a distanza. Tutto è al centro tranne Goldfinger che invece se ne sta da una parte, a gestire le apparecchiature della stanza, a sottolineare come lui sia l’entità che tira i fili, il deus ex machina pieno di idee letali e che manovra le cose a debita distanza; poco dopo lo ribadirà uccidendo tutti, trasformando l’ambiente in una trappola mortale che verrà azionata quando Goldfinger lo avrà lasciato, congedando i suoi “ospiti” con cinica noncuranza. Narrativamente, come gestione delle azioni e fotografia, è una scena impeccabile.
L’iconicità della scena è sancita poi dal lavoro di scenografia di quel genio di Ken Adam che la rende in un ambiente solo una summa capace di trasmettere tutta la coolness bondiana: forme asciutte e filanti, finestre gigantesche, materiali opulenti che alternano caldo legno e fredda pietra in tipico glamour anni sessanta, macchinari tecnologi che sbucano nascosti da tutte le parti, mappe strategiche gigantesche che si sollevano da terra, una stanza che da spaziosa, elegante e luminosa diventa sempre più opprimente, buia, ristretta fino a trasformarsi prima in un bunker militare e poi in una camera a gas. Tutto è progettato per dare la precisa sensazione di che mente raffinata ma anche criminale sia Goldfinger e Bond, impeccabile nel suo completo grigio, è prigioniero di quel plastico al centro dei piani di Goldfinger quasi a simboleggiare quanto sarà difficile svincolarsi dalle trame del suo avversario.
Se il personaggio di Bond è quello che è, lo è per ciò che attorno: le sue ambientazioni sono luoghi sempre connotanti, per descrivere chi li abita e per sottolineare cosa succede. Le ambientazioni e gli antagonisti di Bond sono come l’ombra che descrive un oggetto, i vuoti che sanciscono i volumi dei pieni. Senza scene così 007 non sarebbe arrivato nemmeno agli anni settanta, figuriamoci ai duemila.
Grande pezzo!
Ken Adam, Gesù Cristo, che dio dorato. Designer d’eccellenza, lavorò pure con Kubrick, l’ha fatta tutta lui l’estetica di Bond. Tetesco di nascita, riparò in UK durante la seconda guerra mondiale, si arruolò nella RAF ber bombardare i teteschi (divenendo a tutti gli effetti disertore e passibile di pena di morte istantanea in caso di cattura)…se non è un’ icona 400Calcistica questa! :D :D
Già le geometrie della sala d’attesa del Dr.No lasciavano presagire cose belle, così come il design del suo antro etnico-barocco. Nei contenuti speciali dei dvd/blu ray è un piacere sentire Adam stesso raccontare i dettagli e i dietro le quinte, e vederlo gesticolare in maniera elegante col perenne sigaro in mano. Davvero un gentleman!
Personalmente (so di essere l’unico) preferisco Thunderball a Goldfinger: Emilio Largo cattivo più carismatico di quel bietolone di Goldfinger, molto più interessanti le location di Thunderball rispetto alla Svizzera e i noiosi Stati Uniti di Goldfinger. Classico comunque ovviamente a prescindere!
Una delle cose che mi colpisce sempre di goldfinger è come si dica sempre che i sequel sono sempre peggio e invece qui è stato necessario arrivare al terzo film per cristallizzare tutta una serie di caratteristiche che resistono ancora oggi nell’immaginario collettivo
Insomma poche pippe qui si e’cresciuti tutti a pane e James Bond!
ma un pezzo sul dirigibile di zorin lo farete mai?
Il miglior Bond di sempre. E i migliori titoli di testa mai visti.. il giorno che troveranno un regista che riporterà Bond a quelle atmosfere, stapperò una bottiglia di quelle buone
Potrebbe ucciderli tutti appena radunati nella stanza, ma invece da lì inizia il suo Show personale.
La scena che hai descritto è anche per me la migliore del film, ma uno dei miei momenti preferiti, in questo essere teatrali all’eccesso, resta quando Oddjob uccide il gangster che non vuole prendere parte al colpo a Fort Knox, poi pressa la macchina insieme a lui e l’oro in uno sfasciacarrozze.
Porta il cubo di lamiera che ne rimane a Goldfinger che senza fare una piega parla di recuperare l’oro che c’e dentro come fosse la cosa più normale del mondo. Il piano era quello dall’inizio, anziché semplicemente togliere l’oro dalla macchina prima che venga distrutta si preferisce, ovviamente, estrarlo da un cubo di metallo solo perché si possiedono i mezzi per farlo.
Con un po’ di ritardo, complimenti per l’articolo.