È uscito in Italia Creed, l’attesissimo spin-off ufficiale di Rocky, saga leggendaria cominciata quasi quarant’anni fa.
Per celebrare l’evento abbiamo trattato a mitraglia tutti i film di Rocky uno dietro l’altro, e ora ci concentreremo su tutti i film scritti e/o diretti da Sylvester Stallone, autore completo, nume tutelare del cinema da combattimento, vincitore di prestigiosi premi per la recitazione, eroe.
Buona lettura.
STAYING ALIVE, DI GEORGE ROHMER
Sigla!
httpvh://youtu.be/9xrOzaUvgao
È stupefacente vedere come il Sylvester Stallone autore sia tanto diverso rispetto allo Stallone star del cinema action anni ’80. Da un lato abbiamo uno dei massimi simboli del machismo di quegli anni, dall’altro un regista e sceneggiatore passato dalla poetica dei perdenti dei primi due Rocky (e di Taverna paradiso) a uno stile di regia e montaggio che lascio descrivere qui di seguito al mio amico Ken Jeong:
httpvh://youtu.be/eAEiI_x71Ko
Un’estetica fatta di corpi scolpiti nel marmo in costante movimento, sudati e immortalati in pose plastiche al ritmo di una colonna sonora di synth-pop tamarro. Vi devo forse ricordare questo?
O questo?
O il fatto che, come abbiamo detto più volte e come ha anche ribadito di recente il Capo nel suo intervento su Ricciotto, Rocky IV è di fatto un musical, per l’importanza che la colonna sonora assume nel film non in quanto semplice accompagnamento, ma strumento di narrazione? Alla luce di tutto questo, non può certo stupire che Stallone abbia diretto un film danzereccio anni ’80, anzi. Piuttosto, stupisce che non ne abbia diretti altri, visto che, negli anni seguenti, roba come Footloose e Dirty Dancing divenne DA BOMB.
Ma focalizziamoci sul nostro film del giorno. Se guardate nei siti aggregatori di recensioni, scoprirete che Staying Alive è considerato tipo “il peggior sequel di sempre”. Sono quelle affermazioni un po’ esagerate che si fondano sul ricordo più che su una valutazione oggettiva fatta a distanza di tempo. È ovvio che è stato fatto ben di peggio, ma sono anche certo che, quando uscì nel 1983, Staying Alive deluse tutti quelli che si aspettavano di ritornare alle atmosfere de La febbre del sabato sera (anche se comunque fece un sacco di soldi). Il film di John Badham, neanche serve che ve lo dica, era una cosa molto diversa. Nelle parole del saggio Nanni Cobretti, “Staying Alive sta a La febbre del sabato sera come Rocky IV sta a Rocky”. In effetti è proprio così: La febbre del sabato sera è talmente simile a Rocky nel suo raccontare una periferia squallida e la vita misera di un signor nessuno che trova riscatto solamente sul ring sulla pista da ballo, che non a caso lo doveva dirigere lo stesso John G. Avildsen, salvo mollare tre settimane prima delle riprese per questioni relative alla sceneggiatura. Pure il finale assomiglia a quello di Rocky, ma in maniera speculare: Tony Manero affronta il concorso di ballo e vince, ma in realtà perde, perché il premio gli è stato assegnato solo per via del razzismo dei suoi amici italo-americani, incapaci di premiare una coppia di latinos. Dunque Rocky perdeva per vincere e affermare di essere un vincente, nonostante tutto. Manero vince per perdere e restare perdente, salvo trovare un lieve riscatto nell’amicizia con Stephanie.
In estrema sintesi, La febbre del sabato sera è un film della New Hollywood fatto e finito, vuole parlare di persone normali inserite in un contesto molto plausibile e contemporaneo. Staying Alive è invece figlio di un’era in cui la New Hollywood era tramontata, lasciando spazio al cinema di intrattenimento che usava la contemporaneità non per riflettere sul presente ma per cavalcare le mode e attirare gente al cinema. Tony Manero non è più il ragazzotto di Brooklyn che diventa un dio quando indossa il completo bianco coi pantaloni a zampa e balla i Bee Gees: è cresciuto, ha preso lezioni di danza e ora vive a Manhattan, dove sta cercando la sua occasione a Broadway. Nel frattempo rosica per il successo della sua ragazza e tra un provino e l’altro le mette le corna con una ballerina inglese, Laura, protagonista dello spettacolo Satan’s Alley (non questo). L’occasione per Tony arriva ovviamente quando riesce a entrare nello spettacolo in un piccolo ruolo. Ma lui è determinato a fare di più e a dimostrare al regista di poter essere il protagonista. Il resto ve lo potete immaginare, come vi potete immaginare che, a un certo punto, ci sia anche un training montage preso di peso dalla saga di Rocky ma tradotto nel mondo della danza – con tanto di “prova da superare” (lui che deve sollevare la ballerina sopra di sé e in un primo tempo non ce la fa) che viene superata brillantemente alla fine.
Sì, Staying Alive non è decisamente un film memorabile come La febbre del sabato sera. Sì, Sly scrive tutto col solito pennarellone sottolineando ogni singolo passaggio, svolta emotiva e crescita personale venti volte, in modo che anche il più scemo tra gli spettatori capisca tutto alla perfezione. Eppure, esaminiamo per un attimo i pregi del film: tanto per dirne una, Stallone fa le prove generali di Rocky IV, sperimentando il mix di montaggio e musiche (di suo fratello Frank, che fa anche una piccola parte) che avrebbe reso grande quel film. Poca gente lo sapeva fare bene come lui, checché ne dicano tutti quelli che pensano che, registicamente, Stallone sia un mediocre. Andatevi a vedere Creed per capire come questo dettaglio faccia la differenza: Ryan Coogler non è Sylvester Stallone e fallisce proprio nel crescendo emotivo che a Sly riusciva così bene, (anche) perché non sa lavorare allo stesso modo con la musica.
Nei numeri musicali di Stallone succede di tutto: non c’è solo gente che balla, non ci sono solo belle coreografie riprese come dio comanda ma fini a se stesse. C’è tantissima narrazione, giochi di sguardi, rapporti che si spezzano o evolvono. Il ballo e la musica sono usati, insomma, per far procedere la trama – proprio come in Rocky IV. L’atto finale, quello che parte dopo il training montage, è un tripudio di coreografie e synth-pop, corpi senza un filo di grasso (Travolta è scolpito come mai più lo sarà) avvolti in costumi kitsch (e l’immancabile fascia del protagonista, che è uno dei marchi di fabbrica dello Stallone regista), iper-cinetici, determinati a superare i limiti umani per portare a casa il risultato. C’è persino uno scontro tra le due star – Manero e l’inglesina – che trasforma per un attimo il palcoscenico in un ring. C’è, in sostanza, tutto l’immaginario di Stallone condensato in venti minuti, pure essendo questo un film girato su commissione.
Alla fine Tony Manero vince e dimostra finalmente a tutti di che pasta sia fatto. È la conclusione di Rocky e, ancora di più, Rocky II sotto steroidi, votata all’estetica sopra le righe degli anni ’80. Che vi posso dire, a me generalmente i film di danza mi fanno schifo al cazzo, e questo Staying Alive non è proprio un “bel” film in senso canonico. Ma in quanto espressione della poetica stalloniana, della sua voglia di riscatto intrisa di superomismo, è imperdibile per qualunque fan che si rispetti.
DVD-quote:
“La perfetta synthesi di poetica ed estetica stalloniana”
George Rohmer, i400Calci.com
NICK LO SCATENATO, DI JACKIE LANG
Non è piaciuto a noi e non è piaciuto a lui, eppure aveva rinunciato a Beverly Hills Cop (sarebbe stata una tragedia) e All’inseguimento della pietra verde (forse anche peggio) per farlo. Nel 1983, dopo tre Rocky e un Rambo, dopo i film seri e quelli d’azione, Stallone era pronto per una commedia. Certo a lui sarebbe piaciuto un umorismo più nero, voleva ambientare tutto a New York e farne un Rocky più leggero e romantico, con musiche particolari a margine di quelle di Dolly Parton, voleva una storia di un outsider come i suoi personaggi e non qualcosa di favolistico e leggero, ma chi ha vinto lo si nota subito dai titoli di testa.
Nick, lo scatenato è praticamente l’unico film della carriera di Sylvester Stallone in cui tenta un personaggio chiacchierone e simpatico, che non sta mai fermo, scherza su tutto, mena molto poco e ha sempre la risposta pronta, uno che sembra sapere tutto ed è pronto ad uscire da qualsiasi situazione non a pugni ma a parole. Uno di quelli che sanno stare al mondo, esattamente l’opposto della filosofia che l’ha sempre guidato alla scrittura. Fu Bob Clark a volere questo tono, a voler fare una screwball comedy tipica, di quelle in cui lui&lei baccagliano, bisticciano e alla fine si innamorano; anche lui però sbagliò tutto. A partire dall’amore. Non sta a noi dirlo qui e prendiamo l’argomento con le pinze tenendolo lontano dal naso, ma in tutto il film non si vede nemmeno un bacio serio! O uno dei due è di spalle oppure clamorosamente le labbra non si toccano nemmeno. Non sarà questo mai il metro per giudicare un film di Stallone ma partecipare in una storia d’amore in cui i baci non si vedono per bene è come fare un film di combattimento in cui il menare è ripreso male. Posso solo immaginare il fastidio del pubblico di questo genere. Semplicemente non si fa.
Quel che si vede bene invece è il cantare. Purtroppo.
La sceneggiatura di Phil Alden Robinson, che adatta il libro autobiografico di Glenn Campbell (bestseller circa 9 anni prima), fu molto rimaneggiata da Stallone al punto che Robinson pensava di far togliere il suo nome. Il sentore è che in origine l’impianto dovesse essere My Fair Lady (“per scommessa prenderò questa popolana e la trasformerò in una vera signora”), infatti Nick, da tassista che odia la musica country, dovrà diventare un credibile cantante per vincere una scommessa assieme a Dolly. Dall’altra parte le intenzioni di Stallone erano palesemente di trasformare tutto in Rocky (“c’è un compito che devo portare a termine anche se non sono a livello, ma con l’allenamento e il cuore ce la farò!”), ribaltando molti presupposti della saga e sperimentando alcuni elementi che torneranno in Rocky IV.
Questo film di cantare ha infatti in mezzo qualche piccolo momento di menare come i suoi film di menare contenevano dei videoclip. In più c’è una grande prova finale per la quale il suo Nick si deve allenare, come gli incontri che fanno da punto di arrivo per le trame dei Rocky. La novità è che l’allenamento va fatto lontano, in un luogo in cui il protagonista è a disagio, non conosce nessuno e tutto è diverso, ma va fatto lì perché solo lì le condizioni sono propizie, immergendosi in una realtà che lo assorba per essere in grado di reggere la grande prova.
Altra premonizione di Rocky IV sarà poi l’idea di dover di vincere l’approvazione del pubblico. Il successo della prova e la vittoria della scommessa infatti dipenderanno dalla reazione del pubblico alla sua serata country. In tutto questo Dolly Parton non fa Adriana ma Apollo, il suo pari che motiva il raggiungimento dell’obiettivo e lo allena.
La lotta tra la sceneggiatura di Stallone da una parte, che cerca di dare al suo personaggio leggero quel tono da combattimento contro le avversità posseduto da Rocky, col grande cuore e la tenacia che rendono possibile qualsiasi cosa, e dall’altra la regia di Bob Clark che cerca sempre di fare una commedia frizzante, alleggerisce tutto e cerca un ritmo saltellante ma non porta a molto. Alla fine ha vinto Bob Clark e dall’inizio alla fine Nick, lo scatenato è un continuo tentativo di trasformare Stallone in Eddie Murphy. Da quando entra in scena riempiendo di discorsi alcuni giapponesi e scorrazzando sul suo taxi, guidando come lo stereotipo italoamericano che è, fino a quando alla fine chiude tutto a furia di parole e non di cazzotti.
L’esperienza sarà così deleteria da tener lontano Stallone dalla commedia fino a che le cose non si metteranno davvero male (1991, Oscar – Un fidanzato per due figlie con John Landis inutilmente intento a far marciare tutto).
Detto questo Dolly Parton ne è uscita con due singoli da top10.
DVD-quote:
“E i vestiti non sono la parte peggiore del film”
Jackie Lang, i400calci.com
Eh sì, che uno gli anni 80 se li ricorda solo per le cose belle, ma succedevano anche queste atrocità contro l’umanità e che un pezzo così esca nel giorno della memoria non credo sia un caso…che certe cose non succedano mai più.
Per carità, che paragone! XD Filmacci e filmetti sono usciti in ogni epoca. XD Per fortuna vanno avanti quelli belli di solito! XD
Nick lo scatenato non l’ho mai visto….devo farmi del male!
P.S.: ma quando li fate i Sylvester 2016? l’anno scorso erano il 26 di questo mese?
Però a me Sylvester all’inseguimento della pietra verde sarebbe piaciuto vederlo.
Voi no?
Si anche a me sarebbe piaciuto vederlo,per Beverly Hills Cop meglio sia andata cosi.
Uhm, quanto Tom Selleck che Indiana Jones, cioè poco. XD
La cosa che mi ha fatto sempre più impressione è che tra “Staying Alive” e “La febbre del sabato sera” fossero passati solo sei anni. Cioè sembrano due film appartenenti a due epoche lontanissime, con usi, costumi, suoni, colori, diametralmente opposti.
Vero! °_O
“È stupefacente vedere come il Sylvester Stallone autore sia tanto diverso rispetto allo Stallone star del cinema action anni ’80. Da un lato abbiamo uno dei massimi simboli del machismo di quegli anni, dall’altro un regista e sceneggiatore passato dalla poetica dei perdenti dei primi due Rocky (e di Taverna paradiso) a uno stile di regia e montaggio che lascio descrivere qui di seguito al mio amico Ken Jeong:”
Già! Come detto anche quì, ci fu l’ 82 come via di mezzo con “Rocky III” mistero e “Rambo” old-school decennio precedente.
misto
Boh,sparatemi,ma a me Oscar-un fidanzato per due figlie è piaciuto.L’unica commedia di Sylvestro che mi ha fatto ridere.
E’ una buona commedia, infatti.
Credo che se non fosse un film di Landis (per cui si resta delusi nell’attesa di un sua pennellata anarchica che non arriva mai), sarebbe generalmente molto meglio considerato. Ma allo stesso tempo è un buon film perché è diretto da Landis, che anche a mezzo servizio conosce i tempi comici meglio di un Roger “Fermati, o mamma spara” Spottiswoode qualsiasi.
Sylvestro? come Sylvestro Stallone, che sarà chiamato Mister Uccellone? Làvora nel bordello di un castello?
Grande Mitola!
@Bohbeh no,fa il menestrello.
Già! Come detto, lo preferisco al gradevole originale. Lì si regge su De Funes, il film di Landis è decisamente più corale.
A me hanno fatto cagarone tutti e due. Peraltro in due film dove la musica svolge un ruolo importantissimo non c’è una sola canzone che mi è piaciuta.
Staying Alive forse non sarà il peggior sequel della storia, ma il baratro che separa i due capitoli della saga di Tony Manero è bello profondo.
In particolare ho trovato le parti dedicate al ballo terribili. Piene di slowmotion che fa tanto “arte” e dei movimenti che invece di essere sensuali erano grotteschi.
Il tira e molla di Travolta con Laura è tirato troppo per le lunghe e spesso mi è sembrato gestito male. La cosa migliore, più vera, mi è sembrata il personaggio della fidanzata di Travolta.
L’unica cosa che crea un collegamento con La febbre del sabato sera (a parte ballo e protagonista) e il percorso che Manero fa a piedi per tornare a cada sua, un po’ stordito da ritmi ed emozioni di Manhattan.
Poi mi sono sempre chiesto se il nome dello spettacolo non sia una specie di rimando a Paradise Alley l’esordio di Stallone (in Italia Taverna Paradiso).
Nick lo scatenato è invece una merda proprio totale, non sono riuscito a trovare nulla di buono.
Ho addirittura preferito le parti di N.Y. a quelle fatte nel paese del country che sono uno strazio di noia e tempi sbagliati.
Comunque se dovessi fare un parallelo con un Rocky ,,sceglierei il 3, non il 4. A parte che in questo caso si va a casa dell’allenatore a prepararsi, aiutati da gente di fiducia dell’allenatore anche il risultato finale (spoiler) e cioè vittoria + bel rapporto mi sembra che vada da quelle parti. E anche il camp qui mi sembra più casereccio come nel 3 che carichissimo e levigato tipo il 4.
Una sola domanda ma le tette della tizia sono vere o sono fatte tipo Godzilla, con un nano infilato dentro al corpetto della cantante?
No no, Dolly Parton si porta tutto da casa.
Ma infatti i due singoli da top10 a cui si riferisce Jackie sono le sue bocce.
@Pillole: è oggetto di speculazione, anche se sembra sia stata una delle prime a rifarsele negli anni’70, ma mi pare partisse già con delle basi mica da ridere. Butta un occhio a “dalle 9 alle 5”, che è una commedia mica male.
Si, pare se le sia rifatte. Che delusione scoprilo! XD Comunque sempre simpatica! ^^
“Ryan Coogler fallisce proprio nel crescendo emotivo che a Sly riusciva così bene, (anche) perché non sa lavorare allo stesso modo con la musica”.
Ma che film avete visto?
Fallisce nel crescendo emotivo? Non sa lavorare con la musica? Forse vi confondete con Il risveglio della forza.
Le musiche di Creed non saranno forse dello stesso livello di quelle dei primi quattro film (e grazie al ciufolo: tra cinquant’anni i tamarri in palestra le useranno ancora per gasarsi), ma fanno il loro lavoro più che egregiamente. E l’utilizzo del tema classico, per quanto breve, è eccezionale.
Meh. Io ho trovato il training montage abbastanza spompo, in confronto a quello di Avildsen del primo film e a quelli di Stallone nei successivi. La musica non lascia assolutamente traccia di sé e la conclusione con lui che chiama Sly alla finestra con intorno i giovini che impennano con le motorette è terribile.
Sul discorso utilizzo del tema classico… appunto, troppo facile buttare nel mix Bill Conti, è OVVIO che funzioni. Sono le musiche originali e le parti che tentano di creare qualcosa di altrettanto valido (fallendo) che palesano la loro inadeguatezza. Il film ha delle ottime parti – il piano sequenza del primo incontro è pazzesco e dimostra che forse Coogler avrebbe fatto meglio a tentare proprio strade diverse anziché ricalcare il primo Rocky.
Purtroppo con le colonne sonore ormai pare ci dobbiamo rassegnare per ora! -.-
Il connubio autoriale Staying Alive-Rocky dimostra ancora una volta che Stallone è come Tarantino, solo che prima dei 400 calci, Stallone autore non se lo cagava nessuno. Comunque Tarantino su ballo e violenza disse: To me, violence is a totally aesthetic subject. Saying you don’t like violence in movies is like saying you don’t like dance sequences in movies.
No no no no no no, aspettate, dai. Le scene di ballo di Staying Alive erano “gli anni ’80”. C’è più culturismo ed estetica che danza, e questo sicuramente stranisce gli appassionati di quest’ultima, ma è cifra stilistica precisa e coerente del suo autore. È un film di danza diretto da un appassionato di boxe. È un Rocky che non può stendere avversari ma in compenso può sfogarsi sulle coreografie di contorno tirando fuori una roba che sta al limite del lisergico. È Billy Elliott al contrario, tipo. E Far From Over è praticamente la musica del training montage di Rocky IV con le parole sopra. Poi ovvio che il resto del film sia indigesto, perché se togli Tony Manero nei panni del cugino Balboa ambizioso invece che umile tutti gli altri personaggi sono monofunzione. Però personalmente ho finito per gasarmi a mille e chiedermi cosa sarebbe stato uno Strade di fuoco diretto da Sly con le canzoni e la libertà sia di menare e sfasciare tutto che di sfogarsi visivamente con un’ambientazione favolistica. E magari con Cobra al posto di Cody (e senza ovviamente togliere nulla all’originale).
Eh, eh! L’ unica parte del film che mi sia paciuta e che mi fa gasare! ^^
Comunque Bob Clark è protagonista di una delle parabole discendenti più malinconiche della storia del cinema.
Nei primi anni 70 se ne esce con horror geniali e satirici come “Children Shouldn’t Play with Dead Things”, “Dead of Night” e il capolavorissimo “Un Natale rosso sangue” in cui sembra voler giocare nello stesso campionato new horror dei Romero, Carpenter e Craven.
Negli anni 80 passa ai Porky’s, per poi sfracellarsi con roba appunto come “Nick lo scatenato” o “Polizitti a due zampe”. Finisce carriera e vita dirigendo “Un genio in pannolino” 1 e “2”.
grazie per il title dropping degli horror.
segnati
Che carriera curiosa!
Penso che questo film lo potesse fare solo Celentano e non scherzo.
https://www.youtube.com/watch?v=iu3u_i2cW64
Come i400calci riescono a fare interessanti riflessioni su due filmetti! XD Riesce solo con gli autori e Sly a suo modo lo è! ^^