In ungherese “Saul” si pronuncia “Sciòul” e “Saul fia” si pronuncia “Sciòul fio” e si traduce in italiano con “Il figlio di Saul”, e Il Figlio di Saul è il film ungherese che quest’anno ha vinto così tanti premi che al regista László Nemes non basta più l’Ungheria per metterceli tutti. Tra i più prestigiosi allori vinti da Il Figlio di Saul ricordiamo l’Oscar come miglior film straniero (il primo per l’Ungheria dal 1981), il Gran Premio della giuria a Cannes l’anno scorso e la palma come “Film con meno probabilità di apparire sui 400 calci”.
E invece, guardate qua. La vita è piena di sorprese.
Sentite, comprendo le vostre perplessità. Il Figlio di Saul è il film d’essai che la vostra amica che ama darsi un tono col cappotto pied-de-poule vi ha detto essere «lancinante, bellissimo». Se vi appostaste fuori da una saletta che proietta Il Figlio di Saul (rigorosamente ricavata da un edificio antico rimodernato con gusto minimal, café-bar, collage pop di poster di Godard alle pareti e un fuoricorso alla cassa che si scusa ma non si può pagare col bancomat), se vi appostaste fuori da questa saletta, dicevo, vedreste uscire coppie di donne quarantenni che con una mano poggiata sul petto dicono «sensazionale», dicono «ho ancora l’ansia addosso», dicono «quel fuori fuoco!», e sapeste quanto si sentono migliori delle loro amiche che non sono volute venire a vederlo, Il Figlio di Saul, perché i film sull’Olocausto per carità, doverosi ma proprio non fanno per loro.
Già, l’Olocausto. Il Figlio di Saul è ambientato in un campo di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale. Anche questa non è cosuccia che si veda spesso su questo sito. Nazisti tanti, sì, ma solo nella loro declinazione di cattivoni da ammazzare o zombi scongelati. I nazisti veri, quelli diciamo storicamente accurati, non sono materia che il cinema di menare si trovi ad affrontare con piacere. Il fatto che l’unico ad averci più o meno provato sia stato Uwe Boll dovrebbe già servire, di per sé, a farci riflettere.
Oggi sono qui per cercare di convincervi che, nonostante la vostra amica col cappotto pied-de-poule, gli allori della critica blasonata e i temi tragici e altisonanti, Il Figlio di Saul è un’eccezione non meno meritevole di altri film che abbiamo già trattato sui Calci, senza essai e senza ma.
UNO: LÁSZLÓ
Il nostro amico László Nemes è giovane ma si è fatto le ossa come assistente regista sul set di L’uomo di Londra di Béla Tarr, il quale probabilmente gli ha insegnato a non avere altro dio all’infuori del piano sequenza. Nel 2007 Nemes, trentenne e baldanzoso, gira un cortometraggio intitolato With a Little Patience, che pur non essendo materiale da Calci contiene già molti dei temi di Saul. Vi interessa? Eccolo!
Visto? Piano sequenza, totale insistenza su un unico personaggio sempre in primo piano, contesto che si rivela a poco a poco ma che rimane quasi sempre fuori fuoco o fuori dall’inquadratura, lasciando a noi il compito – orrendo – di immaginare e rimettere insieme i pezzi del puzzle.
Il Figlio di Saul è, in questo, pressoché uguale (persino l’inizio è identico, col personaggio principale che avanza dalle retrovie mettendosi a fuoco da sé). Saul, il protagonista che ora sapete come pronunciare, riempie l’inquadratura per tutto il film. Saul è un ebreo ungherese internato in un campo di concentramento, dove lavora nei Sonderkommando, gruppi scelti di prigionieri costretti a collaborare con gli aguzzini svolgendo mansioni “di ordinaria manutenzione” che vanno dal traumatico all’assolutamente inimmaginabile. Principalmente, Saul lavora alle docce. Smista i deportati che scendono dal treno, li conduce dove li deve condurre, rimuove i cadaveri, li porta al crematorio, e via così. Cosa può pensare uno che, da chissà quanti mesi, fa questo lavoro ogni giorno? Come può reagire? Che faccia può avere? Risposta: ha la faccia imperscrutabile e quietamente impazzita di Géza Röhrig, poeta ed ex-punk che recita come se un cubista gli avesse scomposto e poi ricomposto il volto e il senno. Per un’ora e mezza Nemes gli tiene la macchina da presa aggrappata addosso, di fronte o di spalle, mentre intorno a lui è un costante e ripetitivo delirio quotidiano di morte. Delirio che noi, beninteso, non vediamo quasi mai (e per lo più di sfuggita, o fuori fuoco) ma che ascoltiamo SEMPRE, in ogni minimo abissale dettaglio, grazie a uno dei lavori sul sonoro più impressionanti di questo decennio (cinque mesi di postproduzione – Il Figlio di Saul è un film da sentire al cinema, o almeno con delle buone cuffie e, possibilmente, uno Xanax sulla scrivania).
Non sono ancora arrivato a spiegare come mai questo film sia un’eccezione meritevole, ma ci stiamo avvicinando. Facciamo così: guardate i primi 5 minuti del film, quelli che introducono il protagonista prima ancora che compaia il titolo. Sono i cinque minuti più allucinanti che vi possa capitare di vedere, e replicano l’effetto straniante del cortometraggio di cui sopra ma centuplicandone la potenza, con un’urgenza narrativa e un piglio da (sto per dirlo!) da thriller che ti fa porre mille domande (dove siamo? chi è lui? che cosa sta facendo? di chi sono le voci che si sentono? perché fa così? cosa sta per succedere?) e ti dà subito tutte le risposte, e sono le risposte peggiori che si possano immaginare. Se sono riuscito a incuriosirvi o addirittura ad appassionavi a questa breve descrizione dell’incipit, è perché il film riesce a incuriosire e appassionare il pubblico a quello che racconta. Mi spiego? Non sto parlando di commuovere, interessare, informare, tener viva la memoria, farti sentire più intelligente o meno in colpa. Queste sono cose che qualunque film sull’Olocausto che voglia vincere un Oscar può fare. Io ho detto incuriosire e appassionare. Come un thriller (l’ho ripetuto!).
E arriviamo al punto.
DUE: SAUL
La trama de Il Figlio di Saul.
Tra i tanti cadaveri che vede ogni giorno, Saul sviluppa una sorta di inspiegabile ossessione per un ragazzo. È convinto che sia suo figlio. Vuole dargli un funerale. Sgattaiola in giro per il lager cercando un rabbino che possa seppellirlo come si deve. Trovare un rabbino non è facile, provare a organizzare un funerale in segreto in un campo di concentramento ancora meno. Cosa notiamo?
Prima cosa, notiamo che C’È una trama. Non è affar da poco. In linea di massima i film sull’Olocausto che cosa fanno? Illustrano la Storia, quella con la S maiuscola, quella che sappiamo tutti come si è conclusa. Leggi razziali, rastrellamenti, ghetti, deportazioni, famiglie spezzate, sofferenze indicibili. Schindler’s List aveva la linea narrativa “Liam Neeson cerca di salvare gli ebrei”, è vero, ma qui è diverso: qui stiamo parlando di una trama che si articola all’interno del campo di concentramento, e con un internato come protagonista. Una trama che non illustra la Storia, ma fa progredire un racconto. La prima grande novità del Figlio di Saul è che restituisce un INTENTO e offre uno sviluppo a chi fino a oggi (per rispetto, paura, sciatteria, quello che volete) era stato rappresentato al cinema come la vittima per antonomasia, e in quanto tale passiva; i personaggi di Nemes, invece, tornano a essere appunto personaggi. (Se ora state pensando “Benigni”, vi rimando al capitolo TRE).
La seconda – e per noi più importante – novità de Il Figlio di Saul è che questa trama, grattando l’Olocausto, è la trama di un survival thriller. Davvero! E non parlo di similitudini superficiali. Parlo schietto schietto della quest di un uomo solo in un ambiente infernale che deve ingegnarsi con quello che ha, andare da punti A a punti B, sfruttare le proprie competenze, trovare persone, superare imprevisti, lottare, ingannare se necessario. L’impianto è quello, i tempi morti sono ridotti al minimo. E se ci pensate, a livello puramente cinematografico (alle implicazioni etiche pensiamo dopo), la cosa ha un senso limpidissimo. Quale luogo della Storia, più di ogni altro, è lo scenario post-apocalittico perfetto, in cui ogni uomo si ritrova inebetito in balia di un orrore spaventoso, e spaventosamente truculento, per ogni giorno fino alla morte? È impossibile che Nemes non se ne sia reso conto: apre il film inizia che siamo già tutti in fondo al baratro, toglie ogni punto di riferimento storico esterno e stringe tutto sul viso del suo protagonista allucinato – e non lo fa per ricercare un realismo alla Dardenne, ma all’opposto per amplificare l’incubo e disorientare, in maniera non dissimile da tanti horror. E in questa ambientazione imbastisce la ricerca di Saul, una ricerca che se non fosse così feroce, disperata e storicamente intoccabile, mi verrebbe quasi da chiamare – non sia mai! – avventura.
Saul è un The Revenant in un inferno vero e privo di qualunque possibilità di ritorno, dove l’ossessione per la vendetta è sostituita dall’ossessione per una morte più umana. È (soprattutto) un All Is Lost in cui tutto è perduto per davvero, mica solo Robert Redford, no: è perduto Saul, il suo popolo, tutto un continente, un’epoca intera. Ed è un thriller, cristo santo se in una bella fetta del suo animo questo film non è un thriller. Ne ha il ritmo, ne ha gli intenti, ne ha la capacità di tenere sempre viva l’attenzione creando nuovi intoppi da risolvere, nuove persone da cercare. Ci sono fughe in camionetta, esecuzioni sommarie, complotti di soppiatto, cacciavite che sembrano usciti da film di evasioni come Le Trou, e una scena pazzesca in cui Saul deve fare da palo durante un’azione proibita ma il fumo di una pira di cadaveri invade la scena e non si sa se da quel fumo usciranno i nazisti o no. Un survival thriller al rovescio, cioè senza la sopravvivenza. Una fuga costante, un costante nascondersi, correre, cercare ancora. La fuga, in fondo, di un uomo che è già morto e cerca solo un modo di rendere la morte più accettabile. La fuga di Saul dal mondo che lo ha reso pazzo, un mondo che non a caso egli ha imparato a tenere sempre all’esterno, fuori fuoco o fuori dall’inquadratura.
Non mi stupisce che Il Figlio di Saul abbia avuto tutto questo successo: dietro la sua innegabile anima di film d’essai per la vostra amica pied-de-poule, dietro l’importanza e la pregnanza e altre cose che magari alcuni di voi non toccherebbero neanche con la canna da pesca, c’è, nemmeno troppo nascosto, un film enormemente guardabile, che sa dove e come colpire, che sa tenere alto il ritmo e sorprendere con i suoi virtuosismi di regia (l’ho già detto “piani sequenza a buttare”?). C’è, non lo si vede troppo, ma si fa riconoscere.
Al punto che a qualcuno è venuto il dubbio: ma è onesto mettere il genere in un film del genere? È onesto prendere il Dramma Assoluto e infilarci una specie di thriller carcerario impazzito per non far addormentare il pubblico?
Grazie per la domanda.
TRE: ROBBÈRTO
Affrontare l’Olocausto nella cultura popolare è come camminare su un tappeto di uova suscettibili: basta un passetto di lato che subito si combina LA FRITTATA DELL’INDIGNAZIONE. «Lei non rispetta la Memoria!». Ora, se lo chiedete a me, la memoria si può rispettare e perpetuare in tanti modi. Vi ricordate gli anni in cui sono uscite due commedie sull’Olocausto? Di per sé, il fatto che esista una commedia sull’Olocausto non è un’infamia. La Vita è Bella non è un film ipocrita perché fa commedia sull’Olocausto; La Vita è Bella è un film ipocrita perché usa l’Olocausto per arrivare alla morale che la vita è bella e ci vuole speranza e le cose alla fine andranno bene e verranno GLI AMERICANI a salvarci. Ora, tutto si può fare, e riconosco al film i suoi pregi, ma il fatto che uno di Prato venga a dire «su col morale» ai sopravvissuti è come minimo discutibile.
Ecco, Il Figlio di Saul è quanto più lontano da questo atteggiamento, e anche se spesso si presenta come un thriller infernale, non dimentica neanche per un secondo la realtà e l’attendibilità storica. Il contesto, per Nemes, non è solo uno sfondo e uno specchio deformante: è il fulcro e il motore di tutti gli eventi. Saul è un internato, e in quanto tale è già morto. La sua ricerca, per quanto raccontata con un ritmo incalzante, non è una ricerca di vita, di sopravvivenza: è la ricerca di una sepoltura dignitosa per un ragazzo morto in un mondo dove tutti sono morti, abbrutiti, animali, stronzi (è incredibile come Nemes renda i nazisti quasi più “comprensibili” rispetto a quegli ebrei che di umano non hanno più niente; ancora più incredibile è che la cosa ci appaia logica). Il “figlio di Saul” del titolo è un cadavere; qui La vita non è bella, qui La vita è una merda, anzi, La vita non esiste più, Scordatevi di vedere della vita in questo film. Come ho detto prima, un survival thriller al rovescio: senza sopravvivenza.
Ecco, QUESTO secondo me è un film che non si potrebbe accusare di mancanza di rispetto nemmeno se fosse interpretato dal Gabibbo. László Nemes è riuscito a girare una tragedia che si fruisce come un thriller, ma che per sua natura tramuta costantemente il piacere della fruizione in ansia, colpa, disperazione e terrore: questa, per me, è la maggiore dimostrazione di quanto (1) Il Figlio di Saul sia rispettoso della Storia e (2) Il Figlio di Saul sia un film pazzesco.
QUATTRO: IL LETTORE DISATTENTO
Caro lettore disattento,
scusa se a volte sono prolisso. Facciamo così: rispondo brevemente alle tue domande, così ce ne andiamo a casa tutti contenti.
– Qual è la posizione ufficiale dei 400 Calci sull’Olocausto?
– Ferma condanna.
– Come mai sui 400 Calci si parla di un film ungherese sull’Olocausto?
– Perché ha degli elementi che ci possono interessare. È un’eccezione meritevole, molto eccezione ma anche molto meritevole.
– Quindi posso aspettarmi un rocambolesco thriller di inseguimenti? O magari una scanzonata commedia action alla Tango e Cash?
– Ecco, no. Rimane comunque un film ungherese che ha vinto Cannes ed è ambientato in un lager.
– Hai citato All Is Lost. Questo film è identico a All Is Lost? È ambientato in mare?
– No, santa pazienza. È ambientato in un lager. No barca a vela, lager. C’è una bella differenza.
– E allora che l’hai citato a fare?
– Ci sono delle somiglianze. Somiglianze meno superficiali, diciamo.
– Questo è un film dove si capisce tutto bene o uno di quei film dove non si capisce?
– Diciamo un po’ e un po’.
– Questo film è più o meno noioso di The Revenant?
– Meno noioso.
– Davvero?
– Sì.
– Mi piacciono i film di arti marziali.
– Qual è la domanda, scusa?
– No, dico: mi piacciono i film di arti marziali, questo film lo vado a vedere?
– Direi di no.
– Come mai usi tante parole per esprimere un concetto che alla fine dev’essere solo “bello” o “brutto”?
– Hai ragione, scusa: bello.
– Sono andato a vedere questo film perché avevi detto che era bello, però poi non mi è piaciuto.
– E vabè.
DVD-quote:
«Molto eccezione e molto meritevole»
Luotto Preminger, i400calci.com
Il film non l’ho ancora visto, ma complice anche questa bellissima recensione lo vedrò, assolutamente.
Mi limito a dire che qualche anno assistetti ad un incontro tenuto da Shlomo Venezia, sopravvissuto che faceva parte del Sondercommando a Birkenau. Era un incontro abbastanza intimo ed informale (non ci saranno state più di 100 persone), ma sentire il suo racconto fu una delle esperienze più toccanti a cui mi sia capitato di assistere.
Film che segna una discontinuità con tutto ciò che è stato prima, potrebbe essere Crank, Hostel, Martyrs, tutto l’horror del mondo. Un’esperienza assoluta, che prescinde dalla doverosa contrizione nel giudizio sull’Olocausto. Tanto cinema, e modernissimo.
Ho sentito tanti commenti su questo film, tutti positivi, leggerne qui mi fa un certo effetto me per come è stato descritto evidentemente i motivi ci sono.
Non mi sono informato molto ma non ho saputo di polemiche sulla questione olocausto piuttosto che per La vita è bella che all’epoca ed anche ora di discussioni ne provoca. Forse perchè Saul prima di tutto è Cinema.
Lo vedrò sicuramente appena mi è possibile.
Madonna che bel pezzo.
@Luotto: una recensione memorabile, da manuale. Una lettura appassionante (quasi) come la visione di un bel film. Complimenti!
Già Jackie Lang in altre sedi ne aveva tessuto le lodi, vederlo sui Calci è una bella conferma.
Cercherò di vederlo assolutamente.
P.s. il titolo solo vale tutta la recensione
Bellissima recensione.
Certo se avessi chiuso il pezzo con un “Ma poi, parliamoci chiaro, quale eccezione meritevole, è pur sempre un film di fantascienza!” avresti creato una discussione ancor più interessante.
(Battutaccia che non esprime il sentimento del sottoscritto nei riguardi dell’Olocausto)
https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/236x/8a/12/26/8a1226555723e69eb5f91264f04c7835.jpg
Non sono riuscito a vederlo, ora lo devo recuperare assolutamente.
Dalla rece sembra simile al mitico “Và e Vedi”, quindi deve essere visto.
Esattissimo, immagina di essere nel mondo di Va’ e vedi ma, anziché aggirarti allibito, devi fare una cosa complicata e importantissima in poco tempo
We want more Luotto :)
Bel pezzo, recupero al più presto! Lodi al vostro modo di parlare veramente di cinema e analizzare e contestualizzare i vari film facendosi capire bene ma senza romperci i coglioni e tirarsela come fa certa gente..
Boh dai, oramai lo ripeto ad ogni recensione ma: recensione dell’anno! grazie e complimenti.
Mi avete fatto venire voglia di vedere un film che non avevo alcuna intenzione di vedere (“Ennesimo film sull’Olocausto? Ma dai! Ok, è un pezzo di storia importantissima, ma ormai ce l’hanno mostrato in tutte le salse…”).
Credo non possa esserci complimento migliore.
…la prossima volta vado con la mia amica con quel cappotto lì e non lo scanso il film col Grande Tema. vedi? avere i pregiudizi non aiuta mai. nemmeno se ce li hai sulle amiche.
me lo vedo subito.
grande recensione.
sono molto d’accordo sulla questione “necessità/onestà di assegnare un genere” a film come questo. Infatti, la risposta alla tua domanda secondo me è “si, è onesto prendere il Dramma Assoluto e infilarci una specie di thriller carcerario impazzito per non far addormentare il pubblico anzi è necessario perchè prima di essere un film col Grande Tema ogni film dovrebbe essere un Film Film, dove il primo scopo è suscitare emozioni, piacevoli o non piacevoli che siano: non INSEGNARE/RICORDARE/TRAMANDARE. semmai, è un peccato dover ingannare gli spettatori Impegnati che magari mai sarebbero andati a vedersi un survival thriller al rovescio”.
E a questo punto, vi ringrazio per ciò che fate: perchè anche noi abbiamo i nostri pregiudizi ed è troppo bello il modo in cui voi dei Calci riuscite a convincerci a vedere film che sembrano per noi poco interessanti.
bravi bravi bravi
Brava tu! Io ricordo che al liceo ci portarono a vedere Schindler’s list (sì, era appena uscito al cinema e sì, ho questa età) e molti compagni di classe si volevano suicidare per la noia – gran film, ma sperare che appassionasse sessanta minorenni era un’utopia. Questo invece è tiratissimo e corto e lascia impressioni ancora più forti. Non dico che piacerebbe a tutti, perché i liceali sono stronzi, ma fossi un insegnante lo consiglierei.
wow un complimento di luotto!
di solito i redattori nemmeno mi rispondono :)
Bellissima recensione, senza la quale non lo avrei visto, e invece lo vedrò.
Grazie per la stupenda recensione e per avermi fatto finalmente capire perché la Vita è bella mi ha sempre fatto schifo.
Io ti adoro….dove lo trovo lo Xanax?
Complimenti per la splendida recensione, sia per l’acume nell’individuare i caratteri di genere in un film d’essai, sia per la scrittura sempre brillante.
Mi aggrego al team “We want more Luotto” per tutte le ragioni espresse sopra dagli altri fancalcisti (soprattutto Anna Magnanima e Gianni Carpentiere)
Ovviamente cercherò di recuperarlo anche io al più presto!
Appena ho letto che c’era una recensione su un’eccezione meritevole (di solito le mie preferite*) sui 400 mi sono fiondato sul sito, poi quando ho letto il nome del recensore mi sono proprio esaltato…e a quanto pare ne avevo ben donde! Ennesima perla per un film che a questo punto non posso perdermi!
*questo non significa che non sto aspettando con trepidazione la recensione di SPL2 che ci avevate promesso…
bella recensione, e devo dire che mi avete fatto venire voglia di vedere un film che avrei probabilmente balzato a piè pari
però
OGGI ESCE IL NUOVO FILM DI GUERRA DI MICHAEL BAY CON PROTAGONISTI DEI MARINES PATRIOTTICI MUSCOLOSI E VOGLIOSI DI UCCIDERE, E CHE CAZZO, ANDAVA DETTO.
Pezzo davvero eccezionale.
L’ultima volta che ero nel Belpaese i miei genitori mi dicono “abbiamo visto proprio un bel film, ambientato in un campo di concentramento” e io ho anche ascoltato mio padre che appassionatamente mi raccontava la trama…talmente appassaionatamente che tornato nella BELLISSIMA BEIJING sono stato a un passo dall’accaparrarmi il DVD…ma poi non l’ho preso…ora leggo questa recensione e mi viene voglia 1) di chiedere subito scusa a mio padre (non a mia madre perchè è il fatto che l’abbia visto lei che solitamente si appassiona a film iraniani che mi ha spinto a non prenderlo) 2) ringraziare ancora una volta questo sito perchè mi sarei perso tanti bei film…
Ma io a tuo padre gli schiaccio un cinque molto alto perché dimostra quello che speravo di dimostrare io: la tua prima reazione istintiva non è dire “uh l’olocausto, uh l’importanza, ah le lacrime”, bensì raccontare la trama con passione, come racconteresti, boh, IL FUGGITIVO.
Grazie Signor Luotto per la parentesi quadra.
Però voglio avanzare una micro critica alle messe in scena (film) di quel periodo.
A 13 anni la prof di ita ci fece leggere, Se questo è un uomo.
Mi rimase un grande SIGH nel cuore.
Allora ero uno spidocchio infantile. Ma devo ammetterlo, certi tatuaggi restano per sempre.
Questo film è cosa buona e giusta per fare memoria di cose brutte e cattive. Però va aggiunto questo:
Perché se non vedi immagini, il cuore non piange?
Mentre il cuore piange anche solo leggendo carta?
Mi tocca notare con sommo cordoglio che mentre
Il sito della leganerd si becca la recensione del sommo Nanni (esiliato o dimessosi?), noi qua ci becchiamo la recensione su ennesimo film sui pigiami a righe, lager e docce gasate.
A quando la rubrica su benigni come nuovo membro degli expendables per la sua magnifica prova da beota ne “la vita è bella”?
CINQUE: IL “LETTORE” GNE’ GNE’
Guarda che la recensione di Batman v Superman l’hanno già coperta. Con due redattori diversi.
madonna, mi hai messo la fotta per un film sull’olocausto. Incredibile.
Ma soprattutto volevo dire (visto che è stato nominato nella recensione): CHE BOMBA E’ LE TROU!?! Bombissima proprio.
Avremo saltato lo squalo? Aspetto il secondo indizio.
Avendolo visto il film (e a quanto pare sono l’unico) non posso che sottoscrivere parola per parola la recensione. Un bel film, cosa non scontata per i temi trattati. E bel cinema. Evviva il ritmo. Evviva il fottuto sonoro.
Bella recensione. Mi avete incuriosito e lo vedrò senz’altro.
Ma perché non iniziate apertamente a recensire film belli di qualsiasi genere, così non dovete ogni volta inventarvi una scusa per parlare di un film che non sia d’azione?
Si beh diciamolo,modestamente nonostante il nick e la mia passione per Bruce Lee,sto film l’ho visto il giorno della prima,a Milano con amica/fidanzata senza cappottino pied de poule ma parka colmar (se ci pensi fa lo stesso). Bello vederlo “prima” che se ne parlasse tanto e commentarlo per giorni e giorni,dopo. Ognuno con la sua interpretazione,le sue impressioni. Ti rimane dentro per un bel pò.
Complimentoni per la rece. Racconti per le rime quello che noi comuni mortali cinefi(fol)li magari pensiamo,ma non siamo in grado di scrivere.
Solo una cosa però,troppa cattiveria qui vs Benigni. La vita è bella ha sicuramente il limite di essere un film “piacione”,ma ha il rande merito della originalità.Alcune trovate sono realmente geniali. Poi vabbè il carroarmato Americano che libera tutti ha proprio l’aria di un anylingus from academy members…E la verità storica non si può violentare così gra(gre)vemente. I mezzi articolati che liberarono gli ebrei da quel campo avevano una bella stella rossa in groppa…Ma si sa i revisionismi possono farsi in tanti modi.
A Benigni si deve voler bene per principio, ma La vita è bella non ha nemmeno il merito dell’originalità visto che è nato da una costola di Train de vie.
I 400 calci si conferma riferimento cinematografico e culturale assoluto.
Abbiamo più materia grigia qui che in centomila riviste pelose.
visto al cinema, straconsigliato (alcune scene sembrano tratte dell’Inferno di Dante, con demoni inclusi). unica pecca nel realismo del film : alcuni sonderkommando hanno troppa panza per essere in un lager.
Complimenti per la recensione, tra le migliori che abbia avuto l’occasione di leggere
Sottoscrivo tutto quanto e aggiungo che a “senza essai e senza ma” sono caduto dalla sedia. E anche un po’ a “Roger Rabbi”, dai.
Per la prima volta mi trovo a dissentire totalmente da una recensione
Questo film non ha niente di calcista, anzi, ha tutte le caratteristiche del film d’essai da cineforum impegnato (e barboso).
L’ho trovato lento, claustrofobico, E POI LA VOGLIAMO FINIRE CON I PIANI SEQUENZA GIRATI DI SPALLE? Ha iniziato questa mania Gus Van Sant con Elephant, poi Inarritu l’ha copiata alla grande con Birdman, infine ecco Il Figlio di Saul.
Boh io alla fine l’ho mollato dopo circa tre quarti d’ora, dopo l’inizio grandioso con la camera a gas poi è tutto un gigantesco “guardatemi, sono un film sull’Olocausto, quindi il regista fa come cazzo gli pare perché se non ti piace sei nazista”
Ho preferito di gran lunga Schindler’s list o Ballata per un condannato
Poco da aggiungere a questa e a tutte le rece che giustamente celebrano il miracolo: è un film gigantesco, di importanza capitale tanto etica quanto estetica, limpidissimo e rigoroso nella sua morale. E fa tutto partendo dall’ABC: un personaggio, la sua motivazione, il suo viaggio. Che sono incentrati sul rispetto e il ricordo di un singolo essere umano morto, con un’ostinazione incrollabile, mentre tutto il contesto intorno è una fabbrica di disumanizzazione. Col risultato che ne esce il miglior film sull’Olocausto di sempre, che non ha mai bisogno di farti la lezioncina, di usare il sotterfugio strappalacrime, di appiattirsi sullo pseudo documentario. Qua è una pura e semplice idea di linguaggio cinematografico e la sua esecuzione senza una singola sbavatura, e senza nessun vezzo autoriale di troppo, neanche minuscolo. Ma gli altri registi che ci sono in giro non si vergognano e pentono delle loro azioni dopo aver visto sto film?
È il primo commento che scrivo qui dentro. Scusate se non riesco ancora ad adeguarmi allo stile, ci proverò XD Vengo da un forum che qui dentro sarebbe definito snob.
Ma voglio sinceramente complimentarmi per questo articolo, davvero notevole. È la recensione più bella che abbia letto sul film, che non ho ancora visto, ma che avevo già adocchiato, e che adesso recupererò ancora più volentieri.
Grazie.
Il Sonderkommando è stata una delle idee più allucinanti della storia umana.
Ti porta a pensare che forse le persone che si sono salvate probabilmente erano la cosa più lontana, dall’essere un eroe.
Il film (secondo me non è un capolavoro) mi è piaciuto soprattutto per la storia che racconta, su chi è raccontata e come, però devo dire che il fuori fuoco avrà sicuramente un significato profondo ma dopo un po’ diventa abbastanza inutile e fastidioso. La scena del fumo è quella della pala sono le più tese del film…
Non trovo ipocrita un film come La vita è bella che meriterebbe un articolo a parte per poterne spigare il significato e neanche revisionista visto che il film è ambiento in un Lager non specificato, non uno che è stato per certo liberato dall’Armata Rossa.
Mi sono abbioccato secco al raccoglimento del bambinuzzo. Fino a quel momento direi proprio non è un film calciabile