Torna “Le Basi”, la nostra guida agli autori imprescindibili del cinema da combattimento e torna con l’autore che più di ogni altro ha riportato l’action sofisticato e drammatico della New Hollywood fuori dagli anni settanta. Esteta, esistenzialista, perfezionista, sono alcuni degli aggettivi che definiscono questo autore che tenendosi fuori dalle mode ha ridefinito a modo suo, con meno di venti film, il cinema d’azione e non solo.
Fa ridere, oggi, che ad un certo punto della sua carriera, a 40 anni suonati ma al secondo lungometraggio per il cinema (il terzo contando il televisivo La Corsa di Jericho), Michael Mann sia finito a fare una specie di film horror-fantastico-nazista come La Fortezza, un pasticcio di mitologie e intenti, che in nulla prosegue o obbedisce a quel modo di raccontare gli uomini che stava mettendo in piedi e che finalizzerà di lì a poco con la serie tv Miami Vice e poi con Manhunter (i personaggi definiti da quel che fanno, professionisti del loro lavoro, dotati di un codice e comunque sempre responsabili di ciò che li ha visti protagonisti), ma che segna la sua più grande velleità inespressa.
La Fortezza doveva essere un filmone e non lo è stato, doveva essere un’opera vasta e fondata sull’impatto visivo, tenuta in riga con il pugno duro ben sapendo che se c’è una cosa che la salverà non sarà l’intreccio (dai! sul serio…), non sarà l’azione (Michael Mann non fa B movie) ma saranno le scelte visive, e così decide subito di promuovere a protagonista sul campo un dettaglio visivo: la nebbia.
In La Fortezza c’è nebbia ovunque, c’è nebbia nel villaggio romeno in cui tutto il film è ambientato, c’è nebbia nella fortezza del titolo, c’è nebbia in un villaggio di pescatori in Grecia (!!!) e c’è anche nebbia intorno a LA CREATURA (ma ci arriviamo dopo).
È così del resto che il film si apre, con la nebbia a tutto schermo, cioè schermo bianco e lentamente si cominciano a distinguere le prime figure, camionette dell’esercito tedesco nel 1941 che arrivano in un villaggio nei Carpazi. Là si trova questa fortezzona di pietra che loro subito scelgono come propria base operativa (mossa oculata), per non perdere tempo poi la notte stessa i soldati di guardia si avventurano dove non dovrebbero in cerca d’argento, scoprendo in un anfratto una zona vastissima, un paradosso spaziale che all’interno di quella fortezza nasconde un’immensità simile al pianeta di Alien (di 4 anni antecedente). La scena è effettivamente una delle migliori e ve la voglio proporre qui (da 4.11).
httpvh://www.youtube.com/watch?v=ORMj0c5nAGo
Neanche a dirlo, i soldati hanno risvegliato la creatura e ne rimangono massacrati. Così parte il film, come un qualsiasi horroretto di periferia ma già con idee visive di prim’ordine.
La loro morte e il risveglio di quel che li ha uccisi infatti attirano tutti i protagonisti: innanzitutto quello che è una specie di guardiano della creatura che si trova in Grecia (il perché non è spiegato, forse è in ferie), le SS attirate dalle morti di soldati tedeschi venute a reprimere e poi capire, e infine il professore ebreo (interpretato da Ian McKellen giovane, perchè sì, è stato anche giovane) e sua figlia, tirati fuori da un campo di concentramento perché lui aveva studiato quel luogo. Qui parte il delirio tutto frutto del fatto che Michael Mann aveva deciso di adattare il romanzo di F. Paul Wilson in un film fiume di tre ore, che fu effettivamente girato e però poi massacrato dai produttori e ridotto a 90 minuti circa, praticamente dimezzato selvaggiamente con tagli da macellai le cui cicatrici ancora si vedono. In diversi momenti il film non stacca, ma zompa da un punto all’altro, spesso i protagonisti si trovano inspiegabilmente in luoghi di difficile accesso, molti eventi sembrano avvenire di colpo e, detto in parole povere, la trama è veramente mal raccontata.
L’idea originale era obiettivamente piena di cose succose. Innanzitutto nel romanzo la forza risvegliata dentro La Fortezza è un demone-vampiro (siamo sui Carpazi, aveva un senso), nel film invece è una bestiona disegnata da Enki Bilal (occhiolino agli appassionati di fumetti) che si forma lentamente al maturare del potere. Prima è fatto di nebbia (ma va?!), poi di nervi, muscoli e ossa, poi ha una scorza, infine sembra Apocalisse disegnato meglio. Siccome il film contrappone i nazisti ad un ebreo, che loro stessi hanno prelevato da un campo di concentramento per aiutarli e che invece stabilisce un legame con il demone e ci si allea (tu porti via il sigillo che mi tiene chiuso, io ti massacro questi vestiti di nero che odi), Mann rimaneggia la figura demoniaca per dargli le sembianze più o meno di un Golem; i Golem sono creature appartenenti alla mitologia ebraica, giganti d’argilla costruiti dall’uomo che ne eseguono gli ordini (e poi regolarmente gli si ribellano). Dunque questo demone che nella storia sfrutta un ebreo per fuggire è disegnato per essere l’opposto, la creatura mitologica ebraica creata dall’uomo per essere ai suoi ordini. L’idea c’è, peccato che non stia nel film, o meglio è difficilissimo avvertirla nella confusione generale.
Ancora più duro da mandare giù, però, è il ruolo del guardiano (che non è mai spiegato in questa chiave, sebbene quando si sveglia la creatura contemporaneamente si svegli anche lui nel suo letto in Grecia), una specie di uomo con poteri non chiariti, dotato di pochissime battute, che dopo il lungo viaggio per assolvere al proprio dovere, appena arriva finalmente nel villaggio in questione, prima di ogni cosa copula con inutile enfasi estetizzata con l’unica donna di tutto il film. Rispettabile come scelta umana ma incredibile come scelta narrativa. Una digressione insensata, visti i tempi serrati che il montaggio da 90 minuti impone alla storia.
Questo guardiano ha la superforza (ma al ralenti tipo L’Uomo da Sei Milioni di Dollari) e i poteri dentro di sè con la medesima luce del demone ma buono. Ha anche un bastone in cui si incastra il sigillo (l’oggetto che intrappola). Sigillo che tra l’altro è recuperato da McKellen in un momento inserito malissimo tra altre due scene, palesemente fuori continuità ma, come il resto del film, bellissimo.
Quello che infatti il massacro al montaggio non ha sottratto al film è la sua forza visiva, la maniera unica e personale con la quale l’intreccio così mal raccontato è inserito in un universo di luci e nebbie che parlano più dei dialoghi. Le atmosfere create sono una goduria reale, capaci di avvincere al film anche da soli (assieme alle musiche dei Tangerine Dream, già usati in Strade Violente). Tra l’astrazione naturalistica dei film di Herzog, il gusto per il design mostrato da Ridley Scott in Alien, l’uso dell’elettronica di Blade Runner, effetti speciali veramente inguardabili a prescindere dall’epoca e un senso di coolness che Mann non vorrà abbandonare mai, La Fortezza fa bella mostra del meglio e del peggio di questo regista. C’è quella sua idea della vita come scontro di ideali virili, come confronto di tipologie diverse di durezza maschile, poche parole e molti principi in lotta tra di loro; c’è la difficoltà nel mettere in scena storie d’amore (che però più in avanti lo porterà ad un minimalismo unico in questo senso, un punto d’arrivo che val bene questi inizi più zoppicanti); soprattutto c’è la logica del rovescio della medaglia che è il suo vero trademark.
Nonostante la trama venga dal romanzo di Wilson, Mann ne enfatizza quel senso di identità tra male e bene, quel concetto per il quale la parte positiva e quella negativa sono così vicine che potrebbero scambiarsi e forse solo il caso ha deciso chi stia dove (Heat sarà la summa, ma ovunque nella sua produzione se ne trovano tracce). Invece di insistere sulla metafora del nazismo (la forza interna alla Fortezza rappresenta il terzo Reich, più volte dice cose come “Io provengo da voi”, e ad essa si contrappone un ebreo che deve evitare che si diffonda), insiste su quanto questo male e il bene rappresentato dagli uomini preposti a combatterlo siano in una forma particolare di contatto. Siamo tre anni prima di Manhunter ma c’è già il principio per il quale combattere qualcosa ti porta a diventare parte di quella cosa, ti contamina di quella necessaria compenetrazione per la quale in ogni uomo retto c’è un criminale o un assassino, e ogni assassino o criminale ha per sè un codice da uomo retto.
DVD-Quote:
“Senso poco, nebbia molta, stile a palate”
Jackie Lang, i400calci.com
Ne è uscita una versione in Dvd/blu-ray o bisogna accontentarsi delle conversioni da vhs? Due anni fa il film era introvabile in una forma decente.
Non sapevo del massacro dei produttori. Il che potrebbe, se non giustificare, almeno spiegare perché è il peggiore e più imbarazzante film di Mann.
Ma non ne sono sicuro.
Perché “Michael Mann non fa B movie” è una scelta, ma anche il suo più grande limite. L’ambizione che ci mette i tutti i suoi film è cosa buona e giusta, visti i risultati straordinari QUASI sempre raggiunti, ma diventa il suo Tallone d’Achille quando la materia prima su cui lavora non è all’altezza.
In questo caso il problema non è che il film nei suoi momenti migliori sembri un insensato ma affascinante videoclippone arty, ma che tutto il film NON sia così. Avesse davvero diretto un “horroretto di periferia” condita da visioni sfogloranti, oggi questo film sarebbe probabilmente un cult, invece lo frega l’ambizione di girare qualcosa d’altro, e il risultato è un pastrocchione troppo stupido per essere preso sul serio e che si prende troppo sul serio per essere divertente.
Quando un Peckinpah (che voglio dire, era Peckinpah) si trovava a dirigere un “Killer Elite” o un “Convoy”, non faceva finta che la materia che stava girando avesse più spessore di un film con Bud Spencer e Terence Hill. Poi provava ad inserirci cose sue, più esitenziali e politiche, che potevano essere la parte più riuscita di quei film (Killer Elite) o la parte meno riuscita (Convoy), ma non perdeva mai di vista l’obiettivo proncipale, che era quello di dirigere film di “kung fu e spie” e di “camionisti e musica country”, tirando fuori comunque film divertenti e coerenti. “Sam Peckinpah faceva B movie”, quando serviva.
Mann, insomma, sembra sempre convinto di poter riscattare e rendere “alto”, a colpi di stile, QUALUNQUE sceneggiatura, soggetto e argomento. E molti suoi fan sono convinti che sia davvero così.
Appunti per il futuro: Le Basi su Peckinpah
Disamina interessante. E non posso che quotare. Oltre a ricordarmi che devo ancora vedere Convoy e “Driven l’ imprendibile”. XD
C’ è da dire che con “L’ ultimo dei Mohicani” sembra avesse capito la lezione.
imbarazzante sarà il commento che hai lasciato..
Indubbiamente il suo film meno riuscito o per meglio dire l’unico suo film non riuscito. Quando lo vidi ricordo perfettamente che per i primi 20 minuti lasciava presagire un filmone della madonna con un connubio di musica e regia impeccabile, atmosfere che così vicine a Lovercraft penso di non averne mai viste, poi indubbiamente tutto si rompe e le sforbiciate salterebbero all occhio pure ad un cieco, tanti che all epoca della visione non sapevo nulla dei tagli ma oltre la metà gia avrei scommesso tutti i miei risparmi a dei tagli che all epoca speravo fossero robe della versione italiana poi a malincuore scoprii che il montaggio era purtroppo quello definitivo. Insomma un pasticcio in cui i buchi sono evidenti eppure si vede la forza visiva del suo regista, questo non salva il film sia chiaro ma rimane un esperimento interessante nella filmografia di Mann, un ufo.
Leggo per la prima volta quì di queste sforbiciatone! °_O
Ah recensione ancora una volta eccellente
L’ho visto ma non mi è piaciuto tanto,Scott Glenn fa il guardiano e se non sbaglio un’ufficiale nazista e Gabriel Byrne.
Quel concetto di bene o male che si scambiano era espressa benissimo nella quarta stagione di Miami Vice(un’episodio costava circa un milione di dollari e anchi li venivamo bagnate le strade i cantanti facevano a gara per farsi inserire un pezzo) quando dopo un’esplosione Sonny perde la memoria diventanto un trafficante di droga(la sua identità da infiltrato)
Provato a vedere su rai4 anni fa, inguardabile sarà anche colpa dei tagli, ma diciamo che Mann ha peccato di presunzione, un film alla Dune, cioè una palla micidiale massacrato anche dai tagli incredibili dei produttori, insomma una schifezza retorica e tronfia.
La cosa più divertente dell’articolo è il filmato dell’uomo da sei milioni di dollari.
Fantozzi direbbe
https://www.youtube.com/watch?v=ylWHvrCtczk
Enrico, non per polemizzare, sicuramente il film è qualcosa di non riuscito ma da cosa deduci Mann abbia peccato di presunzione?
anche io lo vidi anni fa su Rai4 e sinceramente capii poco. però mi ricordavo comunque di Ian McKellen.
Anni fa? RAI 4 è nato nel 2008. XD
“ma da cosa deduci Mann abbia peccato di presunzione?”
Era giusto per “rincarare la dose” stile web credo. XD
Bah. Mi sembra di capire che l’infallibile Mann abbia fallato. Ho letto bene ? Un film senza senso diretto da Mann. è mai possibile ? No perché ad ascoltare gli ultrà manniani tipo Alexino magna tastiere è inconcepibile. Quando vidi questo film la prima volta ero tesissimo. Non sapevo chi fosse Mann (Heat non era ancora uscito) e le premesse erano molto favorevoli. Eppure l’ho mollato quasi subito proprio perché è una cosa senza senso di un livello amatoriale incredibile, da vergognarsi. Soltanto anni dopo ho capito che era lo stesso regista di Heat. Ma non mi sono stupito che fosse lo stesso anche di Blackhat. Quindi come vedete la mia tesi per cui Mann ha dato il meglio a metà carriera e il peggio a inizio e fine è confermata.
Gia topogigio peccato che io manniano puro ma corretto ho detto sin dalla recensione de La Corsa Di Jerico che La Fortezza è il suo unico film sbagliato. Bravo ritardella continua a scrivere a casaccio così ti viene più facile a sucarmi la Minchia.
@Il Pisciatoio @Alex Folle
http://m.memegen.com/auojbf.jpg
Se il film non è il massimo e ci stà un ora e mezza tagliata che aspetta Mann a fare la sua versione ? Quelle scene esistono ancora o son sparite come quelle di Punto di non ritorno ? Qualcuno di voi lo sa ?
Perché anche se fosse poi i dvd li deve regalare.
Non ci rientra neanche dei costi.
Non so se colpa del doppiaggio ITA, ma l’ho trovato inguardabile, tantè che dopo una 20 min non l’ho guardato più
se la scena postata da Jackie e` “una delle migliori” possiamo tranquillamente concludere che sto film e` una cagata pazzesca
questo timore reverenziale nei confronti di mann non lo capiro` mai
Ma veramente che “la fortezza” sia un film sbagliato qua non lo nega nessuno. Solo che i motivi di tale obrobrio scagionano Mann da gran parte delle responsabilità.
Ah, ah! Vero! Credo che siamo tutti d’ accordo! XD Manco stessimo parlando di Tarantino o dei fratelli Cohen per dire. Quelli si che sono “quasi” intoccabili. XD
LF sta a MM come “Mato grosso” sta a McTiernan, “Veloci di mestiere” a Cronenberg, “Gioco d’ amore” a Raimi… a vedere la firma stenti a crederlo! XD
Detto che era appena il suo secondo lungometraggio, ma questa mosca bianca stupisce nella sua filmografia. Come scritto nell’ articolo non mancano i momenti suggestivi e il design della creatura è accattivante, ma il ritmo del film è veramente qua e la loffio. L’ entrata in scena di SC dovrebbe dare nuova linfa, ma oltre alla scena sopra citata tipicamente purtroppo anni 70, 80 e 90 (per fortuna le hanno abolite o quasi! XD) e un duello finale alla “Guerre stellari” °_O, non fa molto. Meglio IM, JP e GB. Della serie comunque “quando un grande regista e un grande cast non bastano”. XD Forse troppa roba come detto tra temi importanti come l’ olocausto ed il mito della nuova giovinezza.
Gli effetti speciali non mi paiono inguardabili. Bella la colonna sonora dei TD. Fecero anche pure quella de “Il buio si avvicina” ho visto.