Torna “Le Basi”, la nostra guida agli autori imprescindibili del cinema da combattimento e torna con l’autore che più di ogni altro ha riportato l’action sofisticato e drammatico della New Hollywood fuori dagli anni settanta. Esteta, esistenzialista, perfezionista, sono alcuni degli aggettivi che definiscono questo autore che tenendosi fuori dalle mode ha ridefinito a modo suo, con meno di venti film, il cinema d’azione e non solo.
Per buona parte degli anni 80, Michael Mann è stato un tipo parecchio indaffarato e per me, che impiego un anno a leggere un libro, è sempre molto affascinante entrare in contatto con personaggi così prolifici, praticamente iperattivi: con alle spalle tre pellicole (una, due e tre) e un telefilm di successo (Vega$), nel 1986 Mann sta lavorando contemporaneamente, ricoprendo il ruolo di showrunner e produttore esecutivo, a Miami Vice, ormai lanciata verso la terza stagione, e Crime Story, che debutterà a settembre di quell’anno — ma, apparentemente incurante del fatto che una giornata ha solo 24 ore, trova il tempo di realizzare il suo quarto lungometraggio, che vedrà il buio delle sale ad agosto.
9 volte su 10, Manhunter viene presentato così: «Ehi, lo sai che il primo film in cui compare Hannibal Lecter non è Il silenzio degli innocenti, ma Manhunter di Michael Mann?»
E in effetti, sì, fra le altre cose, Mann ha anche il merito di essere stato il primo a portare sul grande schermo il personaggio di Lecter, lo psichiatra cannibale nato dai romanzi di Thomas Harris e reso famoso, nel 1991, dall’interpretazione di Antohny Hopkins, ma limitare a questo primato la portata di un film come Manhunter è assolutamente, colpevolmente riduttivo.
All’inizio doveva chiamarsi Red Dragon, come il romanzo da cui è tratto, ma Dino De Laurentiis, da irriducibile italiano, voleva evitare per scaramanzia di usare la praola “dragon” in qualunque altro film della sua compagnia dopo il flop clamoroso di Year of the Dragon di Michael Cimino l’anno precedente (e, più comprensibilmente, non voelva nemmeno rischiare venisse scambiato per un film di kung fu, visto che in quel periodo Bruce Lee e i suoi emuli sembravano detenere il monopolio sui draghi).
Il titolo di ripiego, “Manhunter”, considerato da tutti troppo vago e poco efficace, sembra rispecchiare l’apparente mediezza del romanzo di partenza, un thriller da ombrellone scritto da un giornalista di nera che si presta occasionalmente alla letteratura — in realtà al centro del romanzo di Thomas Harris c’è qualcosa che cattura immediatamente l’attenzione di Mann, una nuova, irresistibile declinazione del tema che ha caratterizzato tutta la sua opera e continuerà a caratterizzarla in futuro: la fragilità del confine che separa il bene dal male, l’idea che luce e ombra siano due concetti antitetci ma complementari, indispensabili l’uno all’altro, quasi intercambiabili, sicuramente inseparabili.
Se in Miami Vice gli eroi si fingevano criminali per arrestare i criminai veri, e in La fortezza una vittima si allea a un mostro per vendicarsi dei suoi aguzzini, in Manhunter l’eroe deve diventare un mostro per fermare un altro mostro.
Will Graham è un profiler dell’FBI, scova i serial killer perché riesce a prevedere le loro mosse, e riesce a prevedere le loro mosse perché pensa come loro. È una capacità straordinaria, innata (e, di fatto, mai spiegata), quasi un superpotere, che lo rende una risorsa inestimabile per l’FBI, ma il “dono” di Will ha un prezzo, ed è la sua salute mentale.
Darth apriva questa nostra umile panoramica su Michael Mann con una citazione di Sartre, io non sono altrettanto studioso, ma qui mi si serve su un piatto d’argento l’aformisma più famoso di Nietzsche, chiave di lettura dell’intero film, del libro, della mitologia di Will Graham:
“Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te.”
(Al di là del bene e del male – Parte quarta. Aforismi e intermezzi)
All’ìinizio del film, Graham è un uomo provato, un ex detective rimasto segnato nel corpo e nella mente dall’ultima indagine a cui ha lavorato — quella che ha portato all’arresto di Hannibal Lecktor (non Lecter come sarà nei film successivi) — e che ha giurato di non guardare mai più in quell’abisso spaventoso che è la mente dei serial killer. Ovviamente, invece, lo farà ancora, quando il suo vecchio capo si presenterà alla sua porta con un nuovo caso, perché questi sono i personaggi di Mann: uomini che malgrado le loro migliori intenzioni, malgrado vada contro il loro stesso interesse, il bunsenso e l’istinto di sopravvivenza, sono il loro lavoro.
E così Graham si mette sulle tracce di Francis Dollarhyde — la Fatina dei denti (The Tooth Fairy), come lo ha battezzato la stampa, o Il Grande Drago Rosso (The Great Red Dragon), come preferisce chiamarsi lui –, un maniaco mitomane che massacra famiglie scelte apparentemente a caso durante le notti di luna piena. Purtroppo Graham è fuori allenamento, e per ritrovare il suo swing chiederà aiuto proprio al dottor Lecktor, ora dietro le sbarre ma ancora in grado di “raggiungerlo” come nessun altro.
Nell’adattare il romanzo di Harris, Mann procede per sottrazione, al punto di stilizzare i personaggi (che diventano appunto l’avatar della loro professione: Crawford lo sbirro, Lounds il giornalista, Lecktor lo psichiatra) e gli ambienti in cui si muovono, ma il suo lavoro è tutt’altro che superficiale, la stesura dello script gli ha richiesto tre anni e, come è ormai sua consuetudine, si è avvalso della consulenza di una serie di esperti di prima mano: poliziotti, psichiatri, veri profiler dell’FBI e, sì, veri psicopatici, come il serial killer Dennis Wayne Wallace, così ossessionato da In-A-Gadda-Da-Vida degli Iron Butterfly da spingerlo a usarla in una scena chiave del film.
Sull’esempio di Mann, anche William Petersen, che interpreta Will Graham (scelto di getto dopo averlo visto in Vivere e morire a Los Angeles — il film a cui Mann voleva fare causa perché assomigliava troppo a Miami Vice), passa una quantità di tempo in compagnia di veri investigatori, legge i loro rapporti e si informa sui casi di stress post traumatico di poliziotti che hanno avuto a che fare con delitti particolarmente efferati. Il risultato è una prova straordinaria, probabilmente la migliore della carriera di Petersen: il suo Graham è un uomo che ha affrontato i propri demoni, ringrazia il cielo che sia finita in pareggio e non è affatto ansioso di fare un secondo round; un personaggio dalla fragilità evidente ma mai ostetnata, spaventato da se stesso, da ciò che potrebbe diventare e da ciò che gli altri potrebbero scorgere in lui, ma anche dotato di tenacia, di un incrollabile codice morale, della capacità di discernere ancora il bene dal male e la forza di agire per il bene.
Al suo opposto, Francis Dollarhyde è un pazzo estremamente lucido e pacato, nell’interpretazione glaciale di Tom Noonan, che, come Petersen, aveva iniziato a preparare la parte documentandosi sui serial killer, ma si stufa in fretta e decide semplicemente di metterci del suo abbracciando il Metodo con entusiasmo: fa body building, si isola dalla troupe, evita di proposito qualunque contatto con Petersen fino al momento della loro unica scena insieme e non esce dal personaggio fino a riprese terminate.
Inizialmente, lo script prevede anche che Dollarhyde sfoggi, proprio come nel libro, un enorme tatuaggio ispirato al dipinto di William Blake “The Great Red Dragon and the Woman Clothed in Sun”, ma dopo aver girato un po’ di scene in cui Noonan ha il torso e la schiena quasi completamente pitturati, Mann cambia idea: quel tatuaggio non c’entra nulla col personaggio a cui lui e Noonan hanno dato vita, è esagerato e pacchiano e banalizza la caratterizzazione di Dollarhyde. Le scene vengono rigirate, identiche, ma con Noonan senza tatuaggi. A dimostrazione del fatto che il minimalismo di Mann non è un vezzo stilistico ma una scelta coerente che persegue anche quando mostrare di meno significa lavorare di più.
Stesso discorso si potrebbe fare per il suo Hannibal Lecktor.
Il silenzio degli innocenti, che grazie all’interpretazione di Hopkins renderà Lecter un’icona imprescindibile della cultura pop, uscirà solo 5 anni dopo, ma Mann ha già capito che se gli dà troppa corda, Hannibal finirà per mangiarsi tutto il film. In tutto Manhunter, Lecktor compare solo tre volte, tre scene in cui si fa sistematicamente piazza pulita di tutto ciò che è superfluo. Non ci sono oggetti di scena, non ci sono colori — la cella di Lecktor è completamente vuota e completamente bianca — e in due scene su tre non c’è neanche un interlocutore: Lecktor viene mostrato da solo mentre parla al telefono! Il peso della riuscita ricade tutto sulla composizione maniacale dell’inquadratura e sulla performance di Brian Cox, che ci restituisce un Lecktor che è l’esatto opposto di quello di Hopkins: sobrio, misurato, spontaneo, naturale, più interessato a vedere il mondo bruciare che a fare colpo su Jodie Foster e vincere un Oscar.
Ho lasciato per ultima la parte sull’estetica perché è quella su cui generalmente si parla di più e su cui, secondo me, c’è meno da dire. È una bomba. Che vuoi aggiungere?
Con l’aiuto di un talentuosissimo direttore della fotografia, l’italiano Dante Spinotti (che sfiorerà l’Oscar per The Insider, sempre di Mann, e L.A. Confidential, ma che è assurdo non l’abbia preso di default per questo), Mann fa un lavoro pazzesco con luci e colori portando avanti istanze anticipate nei suoi film precedenti (Strade Violente) e destinate ad esplodere in quelli futuri (Heath). Manhunter è un vero incubo al neon in cui fanno da padroni minimalismo, monocromia, geometria dell’inquadratura e architetture postmderne (la prigione in cui è rinchiuso Lecktor è in realtà il museo di arte moderna di Atlanta e Mann non fa il minimo sforzo per occultarlo). In Manhunter si parla pochissimo perché le immagini dicono già tutto.
Di tutto questo, in quanti all’epoca se ne sono resi conto?
Pochini.
Manhunter incassa circa la metà di quello che è costato e la critica dell’epoca fa a gara a chi lo capisce di meno, liquidandolo come il passo falso di un regista così così, un poliziesco poco riuscito. La cosa assurda è che mentre i critici cinematografici lamentano che è troppo simile a Miami Vice, arrivando addirittura a dire che Mann è così concentrato sullo stile da dimenticarsi la credibilità del plot, professionisti del settore salutano il film come uno dei più accurati e competenti nel mostrare il lavoro della polizia scientifica e dell’attività di profiling.
Per fortuna oggi abbiamo le spalle coperte e se diciamo che Manhunter è un film straordinario e di una modernità schiacciante il mondo è dalla nostra parte. Il processo di riscoperta & rivalutazione è iniziato non appena è diventato lampante il suo ruolo di apripista per un tipo di cinema e televisione che ha spopolato per buona parte degli anni 90 e tutti i 2000; introducendo, rendendo sexy e pop la figura del profiler e il ruolo della scienza forense nel lavoro del detective, Manhunter ha inaugurato un nuovo modo di raccontare il poliziesco, non più guardia e ladro ma scienziato e serial killer.
Se La corsa di Jerico è un prodotto per la tv di allora girato come un film per il cinema, Manhunter è un film per il cinema che potrebbe tranquillamente passare per un doppio pilot televisivo dei giorni nostri, un estetizzante anello di congiunzione tra Miami Vice e C.S.I..
DVD-quote:
“L’anello di congiunzione tra Miami Vice e C.S.I. — passando per Hannibal Lecter”
Quantum Tarantino, i400calci.com
Infatti alcuni registi dovrebbero capire che è meno e di più,grande Brian Cox (più simile a un vero serial killer che Hopkins),c’è anche Micheal Talbot di Miami Vice che da le pallettole al teflon a Petersen.
E bellissime anche la scena con la tigre e il finale con I Gadda Da Vida (c’è il video su radio Capital e dura tantissimo)
Red Dragon mon mi è piaciuto.
la tigre, la tigre!
Eh già la scena della tigre è semplicemente magica.
Ottima analisi, come sempre.
Fa anche un pò ridere constare come “Manhunter” non solo sia l’apripista di tutto quel cinema e quella televisione con profiler e serial killer un tanto al chilo, ma che proprio grazie al minimalismo estetico e narrativo aveva già scardinato tutti i luoghi comune che poi affastelleranno il filone, risvolti horror in primis.
Già! XD
ma vogliamo parlare di questa scena ???
https://www.youtube.com/watch?v=a4nIJP6Ggr8
Già, già! Poi c’ è chi si arrabbia se pretende di più dal cinema di genere di oggi! XD
Manhunter è uno dei film che preferisco di uno dei registi che amo di più: che dire? Un capolavoro di scrittura, di regia e di interpretazione. La fotografia poi è incredibile. Ogni volta che penso a questo film la prima scena che mi viene in mente è una girata (di giorno) su una spiaggia, con una atmosfera e una luce da storia del cinema.
La scena sulla spiaggia è lì, a girare tra le mie sinapsi da dieci anni. Luce perfetta.
Quella scena è pazzesca. È stata il mio sfondo del pc per mesi….
Manhunter, quando lo vidi da ragazzo, fu un vero flash. Non capivo nulla di estetica e composizione di immagine ma era visivamente potentissimo e chiunque dotato di un minimo di intelligenza lo poteva/doveva capire;: le scene virate in blu, la sequenza della carrozzella infuocata…
P.S. Manhunter piscia in testa a Red Dragon dal terrazzo, potrai avere un cast della madonna, ma se il regista è un mediocre mestierante come Ratner…
“Manhunter, quando lo vidi da ragazzo, fu un vero flash. Non capivo nulla di estetica e composizione di immagine ma era visivamente potentissimo e chiunque dotato di un minimo di intelligenza lo poteva/doveva capire;: le scene virate in blu, la sequenza della carrozzella infuocata…”
Non posso che quotare anche quì!
Però è strano che William Petersen e Tom Noonan non hanno avuto altre occasioni per mostrare il loro talento…a Brian Cox è andata un pò meglio.
A William Petersen sono pesati gli insuccessi proprio di Manhunter e Vivere e morire a L.A poi mi sembra di aver letto che offrendogli solo ruoli di poliziotto si è dedicato al teatro comunque c’è in un cameo in Strade violente quindi Mann gia lo conosceva.
Beh,Petersen é diventato abbastanza famoso con CSI.
TN in “Robocop 2” fa una grande Kane! Peccato che, come ha scritto qualcuno, sia il film sbagliato! XD
sempre interessanti le vostre recensioni, grazie
Manhunter è un film che ho sempre amato, c’è anche una puntata di Miami Vice che vede Sonny comportarsi come Will per dare la caccia allo stesso tipo di Serial Killer.
Anche se il grandissimo Mann all’ epoca se la prese non poco, sarebbe bello parlare anche di To Live and Die in LA; che filmone!!!
Anche io per anni mi sono domandato perchè un bravo attore come Petersen con alle spalle queste due splendide interpretazioni abbia faticato in seguito nel trovare parti importanti, fino a ritrovare vasta popolarità e successo con CSI.
Boh! Misteri del cinema! VEMAL lo trovo interessante e gradevole, ma non mi entusiasma più di tanto onestamente.
sempre rubrica top LE BASI.
Purtroppo lo si guarda sempre cercando di fare il paragone con Hopkins rischiando di minare il giudizio.
Che dire di più? Farei notare anche la consueta ricerca per la colonna sonora
Questo pezzo (pezzone secondo me)
https://www.youtube.com/watch?v=ipnKXynGXho
nei titoli di coda sta anche nella colonna sonora di Miami Vice, non a caso…
Capolavoro, uno dei miei film preferiti in assoluto. Un film che assieme a pochi altri sempre di quegli anni (Live and Die in L.A. e Streets of Fire) crea un’estetica iperrealista e trasporta il genere action anni ’70 di brutto nel nuovo decennio… film saccheggiato da televisione e videoclip negli anni a venire. Bruckenheimer and Silver se lo devono essere studiato per benino.
Non lo rivedo da anni e anzi dovrei ripassarmelo per bene. Rileggendo la bellissima recensione però diversi frammenti del film sono venuti a galla nella mia memoria, sia per fattori estetici che psicologici legati al film. Finalmente poi ho compreso il motivo del protagonista col tatuaggio che campeggia nelle locandine. Rubrica fenomenale, al solito, complimentoni. Ah tra l altro di Mann tempo fa lessi il castorino a lui dedicato ad opera di Bocchi. Sarà la prosa o sarà che capisco nulla io ma ad ora direi che con Le Basi state facendo meglio.
Una cosa che non ha ancora detto nessuno: Manhunter era un film paurosissimo all’epoca. Mi ricordo che lo vidi da ragazzino e mi inquietò tantissimo, soprattutto le prime scene.
Ok, oggi, dopo anni di inflazione di serial killer al cinema e in tv, il tema ha perso potenza e capacità di inquietare, ma la tensione regge ancora da dio.
Probabilmente uno dei picchi visivi più alti dell’intera carriera di zio Michael.
L’ultima visione però mi ha fatto notare una cosetta che forse, rispetto alla grandiosità del tutto, un po’ lo ammoscia: pure a voi è sembrato che nel finale si risolve tutto troppo velocemente? Crea per tutto il film una tensione pazzesca e poi BAM, finisce tutto. Non so, io 10-15 minuti in più al finale li avrei aggiunti, magari seguendo il finale del libro che narrativamente funziona di più, imho.
Comunque resta un filmone.
Capolavoro. Senza se e senza ma.
A me non ha mai dato questa impressione.
Stasera inizio il recupero di Mann. Credo mi manchi tutto. Già.
E sono stra indeciso se iniziare da questo o da La Fortezza. Ok dovrei cominciare da La corsa o Strade Violente, ma per la fotta me ne fotto e vado dov’essa mi conduce.
Quantum, bellissima rece, bellissimo mosaico finale per rendere la potenza estetica e il lavoro fatto sui colori, mi hai gasato, stasera annullo ogni impegno e parto in solitaria.
Riflettevo un po’ su Hopkins, il Silenzio degli innocenti ed i seguiti. Ovvero che, irrealistica e teatraleggiante finché si vuole, il Lecter di Hopkins è meraviglioso. Cosa che non mi sembra in discussione. E bella considerazione di Quantum: Mann aveva già capito che il personaggio era troppo potente e si sarebbe mangiato il film. Comunque ci tenevo a fare il mio personale mini pompino al buon ex pilota della Suzuki (Hopkins), il ricordo della prima volta del Silenzio degli Innocenti è ancora fresco per fare finta di non essere rimasti con la mascella sul pavimento. Mò vediamo Brian “Argyle” Cox.
Ecco, invece sul Silenzio e i seguiti. Boh, pianeti diversi? Il primo indimenticabile, gli altri dimenticabilissimi, completamente inutili, non ricordo una battuta che sia una. Demme non ha più combinato nulla di decente o sbaglio?
Hannibal di Scott ha proprio il problema di avere troppo in scena Lecter, oltre ad una moscissima Julienne Moore che sostituisce la Foster. Personalmente la parte di Firenze anche non mi dispiace, ma tutto il terzo atto è qualcosa di inguardabile.
Di Red Dragon neanche c’è bisogno di parlarne, non si sa come siano riusciti a tirare fuori un film così insulso avendo un cast composto da Hopkins, Norton, Fiennes, Seymour Hoffman e Keitel. Ah già, certo, il regista era Brett Ratner.
Demme dopo quel capolavoro de Il silenzio è ritornato a fare film poco calciabili, anche se The manchurian candidate ha il suo perché
Dopo ISDI girò quel “filmetto” di “Philadelphia”! XD “Hannibal” non ne parliamo! Una delusione! Non ho neanche voglia di rivederlo!
Rivisto ieri sera dopo almeno dieci anni dall’ultima visione, film grandioso e seminale (si puo’ usare qui seminale senza incorrere nel ridicolo involontario?). Sono d’accordo con la recensione, ma vorrei solo aggiungere un paio di cose:
1) Brian Cox e’ un Lecter (o Lektor) molto piu’ concreto e spaventoso di Hopkins: nel suo sguardo ci sono metodo e follia paura. Niente seduzione, superomismo, nessun operazione di copertura. Lektor e’ uno psicopatico e agisce e parla come tale. Per quanto mi piaccia Silence of the Lambs e Hopkins sia perfetto per quel film, in tre scene Cox ha creato un vero mostro, totalmente spaventoso nel suo apparente normalita’.
2) Il “potere” di Will Graham mi e’ sempre sembrato nient’altro che il metodo dell’Actors Studio applicato all’investigazione, ovvero immedesimazione e immersione totale. Mi e’ sempre piaciuto pensare a questo lato del film come a un gioco di scatole cinesi: un attore che interpreta un personaggio, che cerca di immedesimarsi in un altro…
3) Una cosa che mi piace di Mann (e che gia’ si vedeva nel suo primo film, Jericho’s Mile) e’ che i suoi personaggi non hanno mai tempo, corrono perche’ stanno per esaurire il loro percorso: Graham ha poche settimane per trovare Tooth Fairy, Frank in Thief ha solo un ultimo colpo prima di cambiare per sempre o almeno sembra crederci… e cosi’ via, c’e’ sempre un ultimo colpo, un’ultima corsa prima di conquistare la pace…
4)L’intera colonna sonora e’ pazzesca, da In a Gadda da Vida a Heartbeat. il mio pezzo preferito e’ Strong as I am con accompagna la scena in Dollarhyde e’ convinto di vedere Reba baciare un altro uomo. Lui e’ seduto nel suo van e i suoi occhi sono nell’ombra… magistrale.
“talmente spaventoso nel suo apparente normalita’.”
Già! Come detto, pensi veramente stia cercando di aiutare Will o quasi! XD
Dire che lo trovai straordinario all’epoca e che lo trovo ancora superiore alla maggior parte dei film (non solo thriller) di adesso, e’ quasi un’ovvietà.. Michael Mann negli anni si e’ rivelato un autore unico, collocandosi nel virtuoso mezzo fra il moviemaker americano e il filmmaker europeo; nell’uso della fotografia (Dante Spinotti), del montaggio e della colonna sonora (vedi, oltre a Manhunter, The insider; Collaterali per la scena della discoteca meravigliosa con Tom Cruise; Heat nell’idillio sulla terrazza fra Bob De Niro e la sua conquista). Manhunter pero’ ha un posto speciale nel mio cuore; la sequenza della tigre e del risveglio del “mostro” accanto alla ragazza cieca in un bagno di luce, aprirono nuovi orizzonti cinematografici a noi che eravamo abituati a personaggi bidimensionali, nella lotta fra bene e male. All’epoca Ciak concludeva la sua recensione “per noi, il più bel film dell’anno”… E io aggiungersi, non solo!!!
STRAORDINARIO TUTTO! DALLA TECNICA ALLA COLONNA SONORA! E POI TOM NOONAN! FORSE IL MIO SERIAL KILLER CINEMATOGRAFICO PREFERITO!! ( IL SECONDO è DOLPH NEI NUOVI EROI )
LA CANZONE “THE BIG HUSH” SCENA I CUI IL KILLER PIANGE PER SE STESSO E VA A LETTO CON LA CIECA CONTINUA ANCORA A ISPIRARMI E RATTRISTIRMI OGNI VOLTA CHE LA SENTO … CHE DIRE… LA MIGLIOR PAROLA COME GIà USATA è ” MAGISTRALE”.
Il titolo esatto è “This Big Hush”, dei grandissimi (incredibilmente semidimenticati) Shriekback. Per il resto Anonimo ha piena ragione: è una delle scene più belle e commoventi della storia del cinema, ed è difficile pensarla accompagnata da un altro brano che altrettanto concentri in sé sensualità e (sensazione di) morte.
Manhunter è un film grandioso anche per la perfezione del commento sonoro (non vogliamo ricordare, tra le altre, Seiun di Kitaro e Graham’s Theme di Rubini?); grazie Quantum per avergli restituito, con la tua recensione, la dimensione di capolavoro che merita e, si spera, una giusta, nuova visibilità. (E ‘fanculo i riscontri al botteghino.)
“(E ‘fanculo i riscontri al botteghino.)”
Già! La prova più grande per i film è il “tempo”! XD
Questo e “La fortezza” li scoprii anni fa sul Mereghetti (di quanti filmoni gli sono debitore! XD). Beccai il DVD e me lo comprai subito. Anche interessato dal fatto che comparisse già quì Lecter (strambamente rinominato Lecktor! °_O).
Avevo già visto e rivisto “Il silenzio degli innocenti”. Se questo trasmette ansia ed inquietudine, il film di Mann ti catapulta in una giostra d’ indagine davvero pazzesca in cui il protagonista ci fa entrare nel modo di ragionare ed operare del serial killer! Quando Petersen recita da solo è il top! Ma comunque il ritmo, seppure mai sopra le righe, è comunque sempre alto e nonostante ci sia solo una rapide scena d’ azione, le parole noia e tranquillità non passano nemmeno vicine a questo film! Senza dimenticare le scene intimiste di Graham e di Dollarhyde!
“Ho lasciato per ultima la parte sull’estetica perché è quella su cui generalmente si parla di più e su cui, secondo me, c’è meno da dire. È una bomba. Che vuoi aggiungere?
Con l’aiuto di un talentuosissimo direttore della fotografia, l’italiano Dante Spinotti (che sfiorerà l’Oscar per The Insider, sempre di Mann, e L.A. Confidential, ma che è assurdo non l’abbia preso di default per questo), Mann fa un lavoro pazzesco con luci e colori portando avanti istanze anticipate nei suoi film precedenti (Strade Violente) e destinate ad esplodere in quelli futuri (Heath). Manhunter è un vero incubo al neon in cui fanno da padroni minimalismo, monocromia, geometria dell’inquadratura e architetture postmderne”
Quoto tutto! Come detto nell’ articolo, un pò in anticipo sui tempi visti poi i film usciti negli anni 90! Vedi il riscoprire lo stesso Lecter. BC quì ci offre un’ interpretazione più melifua e sobria. Se Hopkins sai che è cattivo, di Cox dici: “Ma dai Graham che ti vuole aiutare!”. Ed invece… che bastardo! Will lo conosceva bene!
Altro filmone prodotto dal mitico Dinone De Laurentiis che, come è stato detto, quando lasciava i giovani e emergenti registi liberi di esprimersi ne uscivano filmoni! XD
Mazza! Non sapevo di queste altre due serie di MM! Magari Abrams al cinema avesse avuto i suoi stessi risultati nel dividersi tra questo e la TV! XD
Okay, questa la devo raccontare. Su FB, uno dei miei contatti dice di avere scoperto “In a Gadda da Vida”. Gli posto la “epic scene” di Manhunter, che evidentemente non conosce. Risponde: “Cos’è questa merda?” Gli linko la vostra recensione. Che altro devo fare?
https://youtu.be/qJLFCGZ1P8w
giravo dopo pranzo sui vari canali e su iris è riapparso manhunter….scene finali, genta stravolta dall’impresa compiuta, william petersen sulla spiaggia e la moglie che lo raggiunge…parte Heartbeat dei Red7…..mi son commosso ancora una volta: https://www.youtube.com/watch?v=-dKUfX9xcw0&ab_channel=5eurocups2005
Anch’io fratello!
Visto mercoledì in seconda serata e pure ieri, ore 12:20.
Un film che conosco a memoria, scena per scena.
Ma se la storia ormai non riserva sorprese, l’estetica si lascia ammirare ogni volta senza saziare.
La luce, i colori – il blu, il verde, il bianco, il rosa, la costruzione dell’immagine: ogni fotogramma è pari a un’opera pittorica.
E di ammirare un quadro di valore non ci stanchiamo mai.
E nella mia testa non smette di echeggiare questo refrain: “All desire / the ashes and the fire / turning this night inside / and the light from you”.
Io, a Michael Mann voglio bene come fosse un caro amico.
Anch’io!
Visto mercoledì in seconda serata e pure ieri, ore 12:20.
Un film che conosco a memoria, scena per scena.
Ma se la storia ormai non riserva sorprese, l’estetica si lascia ammirare ogni volta senza mai saziare.
La luce, i colori – il blu, il verde, il bianco, il rosa, la costruzione dell’immagine: ogni fotogramma è pari a un’opera pittorica, e di ammirare un quadro di valore non ci stanchiamo mai.
E nella mia testa non smette di echeggiare questo refrain: “All desire / the ashes and the fire / turning this night inside / and the light from you”.
Io, a Michael Mann voglio bene come fosse un caro, caro amico.