Torna “Le Basi”, la nostra guida agli autori imprescindibili del cinema da combattimento e torna con l’autore che più di ogni altro ha riportato l’action sofisticato e drammatico della New Hollywood fuori dagli anni settanta. Esteta, esistenzialista, perfezionista, sono alcuni degli aggettivi che definiscono questo autore che tenendosi fuori dalle mode ha ridefinito a modo suo, con meno di venti film, il cinema d’azione e non solo.
C’è tutta una tradizione di cinema sul giornalismo investigativo in USA, una roba che noi, qui in Italia, fatichiamo a capire, ma che nella Più Grande Democrazia del Mondo è un caposaldo della libertà di stampa. Qui non ci interessa tanto addentrarci in questo tema, quanto parlare di come esso si trasferisca perfettamente al cinema. Pensiamo a Tutti gli uomini del presidente, Perché un assassinio (sempre di Pakula), ma anche Good Night and Good Luck e il recentissimo Il caso Spotlight. Molti di questi non sono certo film calcistici, in particolar modo gli ultimi due della lista. Mai ci sogneremmo di parlare di Spotlight qui (pur essendo un film della madonna), eppure c’è un nucleo di caratteristiche comuni che legano questo genere a noi. Ovvero: il fatto di voler raccontare una storia di indagine tenendo la gente saldamente aggrappata al ciglio della sedia per due ore. C’è la voglia di dire qualcosa di vero unita a quella di spaccarti in due con la tensione.
Questo è particolarmente evidente in Insider – Dietro la verità. Michael Mann inizia a lavorarci dopo l’uscita del suo capolavoro Heat – La sfida, di cui abbiamo parlato la settimana scorsa. Dura ripetersi dopo un exploit del genere e allora, giustamente, Mann mira a fare qualcosa di diverso, almeno all’apparenza. Perché sotto sotto c’è sempre la stessa intenzione di Heat, raccontare un universo “vero” in maniera stilizzata, fondendo stile pazzesco e rigore assoluto. Per farla breve, insomma, ciò che fa di Insider un film calcistico è il modo in cui Mann decide di raccontare lo scandalo dell’industria del tabacco: come se fosse un thriller.
Insider è ispirato a un articolo di Marie Brenner che raccontava la storia vera di Jeffrey Wigand, whistleblower che scoperchiò il più lurido segreto dell’industria del tabacco – il fatto che la nicotina fosse manipolata chimicamente per far sì che le sigarette creassero maggiore dipendenza – nel corso di un’intervista allo show 60 Minutes della CBS. Dietro quell’intervista c’era Lowell Bergman, produttore di 60 Minutes dalla reputazione immacolata (come ci mostra Mann in un cold open degno dei film di Bond). Ma la dirigenza CBS si mise in mezzo, a causa di un conflitto di interessi, e costrinse Bergman a tagliare il segmento su Wigand. Wigand, che si era esposto mettendo a rischio la sua famiglia, non la prese bene. Pochi mesi dopo la puntata andò in onda senza censure, ma nel frattempo la reputazione di Bergman era stata per sempre intaccata, perché aveva permesso che un testimone restasse “appeso fuori ad asciugare” in balia di una campagna di diffamazione mediatica.
Tematicamente, dunque, il film è tutto su questo: il coraggio di dire la verità contro ogni intimidazione, e la parola di un uomo come unica merce di valore in un mondo corrotto e impazzito. Mann, e lo sceneggiatore Eric Roth, ebbero lunghi colloqui con Bergman (che Mann conosceva da molto tempo prima di Insider, perché aveva tentato di realizzare un film su un mercante d’armi a Marbella di cui lui gli aveva parlato) e con lo stesso Wigand, dai quali formarono un ritratto abbastanza coerente e articolato dei loro protagonisti. Ma poi entra in gioco la finzione, la stilizzazione che è fondamentale nel cinema. In ambito “storie vere”, al cinema, il rischio è sempre quello di cascare nel biopic, che è una brutta parola per definire un brutto filone di film generalmente noiosi e pavidi, perché hanno paura di affrontare le controversie e preferiscono rifugiarsi dietro una performance da Oscar o un ritratto generico quanto esaustivo della vita di un personaggio dalla nascita alla morte. Insider evita accuratamente tutto questo, evita il biopic, e lo fa con l’onestà intellettuale di chi si è infilato un paio di occhiali, si è documentato fino alla morte (come sempre nel caso di Mann) per poi mettere da parte gli occhiali e concentrarsi sul FARE CINEMA. Case in point:
Stilisticamente, c’è tutto il Mann migliore qui. La macchina da presa segue i personaggi, sta loro alle costole in maniera ravvicinata. C’è ancora la fotografia di Dante Spinotti, tanta steadycam, tanta macchina a mano, l’obbiettivo è sempre attaccato al volto di Al Pacino e Russell Crowe, spesso sta dietro la loro nuca. Un trucco da vero thriller: quando riprendi un personaggio da dietro, di solito implica un velo di minaccia esterna, come se qualcosa gli stesse alle calcagna. In questo caso è l’industria del tabacco stessa, con le sue minacce piuttosto esplicite. Wigand è braccato come un animale, sono parecchie le sequenze di suspense pura in cui l’uomo teme per la sua famiglia, impugna pistole, agisce per difendersi o fugge da un pericolo. C’è insomma un lato di intrattenimento non indifferente che trasforma un film così lungo (157 minuti, poco meno di Heat) in una sorsata di birra fresca. E poi ci sono sequenze così
httpvh://youtu.be/nPIfe-keAog
in cui la musica (di Lisa Gerrard e Pieter Bourke dei Dead Can Dance) si combina col reparto visivo per creare momenti onirici e stilosi che rimandano addirittura al Mann di Miami Vice, per dire la coerenza totale dell’autore.
Due parole sugli attori. Russell Crowe aveva appena avuto la sua grande occasione con L.A. Confidential ed era ancora una star in ascesa a Hollywood. Mann gli affidò il ruolo di Wigand (nella realtà molto più vecchio dell’attore) su consiglio del produttore Pieter Jan Brugge, e dopo aver pensato a Val Kilmer per la parte. Scelta coraggiosa e spiazzante, perché Crowe dovette sottoporsi a sedute di trucco per dimostrare l’età giusta. Ma fu una scelta anche perfetta: prima de Il gladiatore, prima di diventare l’uomo che si mangiò Russell Crowe, qui l’attore tiene testa a Pacino e riesce a trasmettere empatia e quieta dignità risultando allo stesso tempo leggermente antipatico. E di Pacino che dire? Il suo Lowell Bergman è un antidoto al Vincent Hanna di Heat, è un uomo totalmente rapito dal suo lavoro che riesce, tuttavia, a non trascurare la famiglia. E quando è in palla e non viene lasciato libero di strafare, Pacino è il più grande di tutti. Il più grande di tutti.
Intrattenimento e indagine, stile e sostanza: per me, questa è la materia di cui è fatto il cinema.
DVD-quote:
“La materia di cui è fatto il cinema”
George Rohmer, i400Calci.com
Noleggiato da blockbuster al tempo, UNA BOMBA ATOMICA.
poi col tempo mi son comprato pure il DVD. pazzesco che di questo e di the heat non si trovino i blu ray con traccia italiana (almeno io non li ho trovati). Ad ogni modo me lo son rivisto giusto ieri. E’ ancora più bello di quello che ricordassi, la perfetta fusione fra film di denuncia e stile cinematografico. Almeno 3-4 scene da salvare in una ideale arca di noè del cinema. Ne dico due: il pranzo al ristorante giapponese fra Pacino e Crowe in cui i due (dopo il divertentissimo momento di Crowe che parla giapponese) si scambiano battute a ritmo di mitragliatrice e Mann gli va dietro e ogni volta che uno ribatte cambia l’inquadratura (sempre orizzonatale ma da un lato per Crowe e dall’opposto per Pacino, come due quadri speculari uno con l’altro…pazzesco). L’altra quando Crowe sta in Mississipi e deve decidere se rilasciare la deposizione e sta nel giardino sul mare di fronte alla villa del procuratore generale; Crowe si prende tempo per decidere se deporre o meno campo larghissimo sul mare marrone, le palme altissime Crowe che passeggia in lontananza minuscolo come Pacino in confronto al mondo suono ovattato, pare un quadro. Poi ritorna dice qualcosa a Pacino e poi si sente il procuratore che fa “il sig. Wigand vuole andare via adesso” e l’intero treno di veicoli se ne va via come in un film militare.
Si potrebbe parlare poi della sceneggiatura a prova di bomba e con frasi pazzesche (“gente normale sotto il peso di fortissime pressioni. cosa ti aspettavi gentilezza e coerenza?”) o del cast di comprimari da paura anche in ruoli di cinque minuti (CRISTOpher Plummer che si mangia mezzo film da solo – Mike? Provi con Mr. Wallace – Bruce McGill che fa lo stesso con ancora meno minuti, Philip Baker Hall e Colm Feore con l’aneddoto dell’ex pilota della marina). Pazzesco. Su Pacino non ho niente da dire perchè è semplicemente un livello sopra tutti (NO YOU FUCK YOU! DON’T INVERT THE STUFF).
Lo dico? Lo dico. Il mio preferito di Mann dopo Heat.
Visto in tv anni fa in seconda serata, partenza alle 23.00 e fine alle 01.30 circa (non credo di sbagliare di molto), e se non ci sono esplosioni o morti vi garantisco che è mooolto difficile tenermi incollato allo schermo fino a quell’ora.
Il cinema come dev’essere: una bella storia, non banale e ruffiana, raccontata come se si corresse sul filo del rasoio.
Funziona tutto: script, regia, cast. Chiedere di più è impossibile.
“Il cinema come dev’essere: una bella storia, non banale e ruffiana, raccontata come se si corresse sul filo del rasoio.
Funziona tutto: script, regia, cast. Chiedere di più è impossibile.”
Non posso che concordare!
Sono proprio un figlio di 1000 puttane, non l’ho mai visto
(scappa via gridando)
Ho perso il conto di quante volte l’ho visto, capolavoro.
Un grande grande film. Al Pacino un gigante, Crowe forse anche di più (nel triennio 99-2001 avrebbe meritato 3 oscar consecutivi a mio avviso). Cinema “di inchiesta”, nel quale però è ben presente la lezione di Heat e ci sono già le basi, in molte sequenze, per Collateral e Miami Vice.
PS. la sequenza in cui va in onda l’intervista di Wigand vi ricorda qualcosa..??
https://www.youtube.com/watch?v=UE03ULLVPoI
Visto per la prima volta quando uscì al cinema e dopo Heat non sapevo cosa aspettarmi. Immaginavo che sarebbe stato un onesto (e un po’ anonimo) film d’inchiesta, invece è un film che mi ha fatto motore una grandissima fotta.
Pacino usato bene è davvero il più grande e Crowe si stava rivelando un attore della madonna.
Una delle mie scene inquietanti preferite è quella del campo da golf.
Una considerevole bombetta, mi fece fare le ore tarde su Rete 4.
Grandissimo film per (bisogna ripeterlo per l’ennesima volta) un vero fuoriclasse del Cinema: è difficile trovare punti deboli nella produzione di Mann, e mi risulta quasi strano che, ad ogni puntata di “Le Basi: Michal Mann”, mi ritrovo a commentare “questo film è un capolavoro!”… come se si potessero creare capolavori uno dietro l’altro: eppure è così! UN GRANDE!
Gran bel film, grande Mann peró… Peró…
OGGI FA 70 ANNI SLY RAGAZZI!!!! Dedicategli un pezzo daaaaiii!!!
Impeccabile, un vero capolavoro per tensione e ritmo, con delle prove attoriali da strappare le mani dagli applausi.
Io quando ho visto il film per la prima volta non riuscivo a togliermi dalla testa l’idea che la storia si adattasse più ad un documentario che ad un film. Alla fine è girato così, sembra di essere lì, con l’obbiettivo attaccato alla nuca o sugli zigomi e le orecchie degli attori con la fotografia di Spinotti realistica al massimo.
Ma poi il film si trasforma in un thriller tesissimo dove non sai mai cosa può succedere, continuando ad alternare i due stili fino alla fine.
visto troppo giovane.
lo rivedrò
Però, il più grande “quando non viene lasciato libero di strafare”, non lo so. Robert de Niro ha un quid in più: la malvagità. Lo sguardo si svuota, smette di essere un uomo, è qualcos’altro, può fare tutto, non ha più alcuna coscienza, non sente nulla. E’ un’assenza di luce e umanità che Pacino anche al meglio non è riuscito a rendere mai. Neanche nei due Il Padrino (ammesso che Coppola lo volesse), dove ha veramente offerto l’irripetibile.
E auguri a Sly, ma anche al Cap. Miller e al Comandante Lovell
mille, ma mille leghe meglio di Heat. gli è superiore perchè resiste al tempo persino di fronte ai vecchissimi device presenti e sfruttati ovunque.
più che un collegamento orizzontale tra il pacino di heat e questo, qui mi sembra la maturazione del tipo di personaggio.
pacino assolutamente il più grande di tutti
Capolavoro. Tensione della madonna anche quando non “succede una fava”. Forse la migliore interpretazione di Crowe. E lasciatemi sottolineare la bravura di quel grandissimo caratterista che è Bruce McGill
Il (purtroppo) mai troppo citato Michael Mann! XD Anch’ io l’ ho visto qualche anno fa su Rete 4 e… mamma mia! Come scritto nell’ articolo e nei commenti un thriller informativo che nonostante la durata ti tiene con il fiato sospeso e che ti rimane profondamente dentro! Storia non laccata e banalotta, ma a suo modo suggestiva e malinconica.
RC all’ inizio non l’ avevo neanche riconosciuto! XD
MM: un regista che cambia genere da film a film, ma ci azzecca quasi sempre! XD
“una roba che noi, qui in Italia, fatichiamo a capire, ma che nella Più Grande Democrazia del Mondo è un caposaldo della libertà di stampa.”
L’ unico esempio nostrano che mi viene in mente è il bellissimo “Il muro di gomma” di Marco Risi.