È dell’anno scorso ma esce adesso, uscì con il nome di Blackway, venne presentato a Venezia nel 2015 come Go with me e così arriva nelle nostre sale nel 2016. Ambientato nel nord-ovest plumbeo e freddo dell’autunno nord americano Go with me (per comodità Blackway da adesso in poi) è nominalmente un thriller ma in realtà un neo-western livido e con un lieve alone da favola nera. Vi si racconta di una tizia (Stiles) che torna nella piccola città dove è nata e trova tutto peggiorato, un po’ come Il ragazzo della via Gluck ma violento freddo e cupo. L’erba c’è ancora e forse anche il cortile dove lavarsi ma in compenso ci sta un fiorente regno del terrore e spaccio di metanfetamina messi su da un tipaccio di nome Blackway (Liotta), uno che la gente in città non nomina neppure per quanto è cattivo.
Ovviamente la ragazza sprovveduta si troverà a imbattersi e scontrarsi con Blackway e da lì ficcarsi in guai sempre peggiori. Da questi guai cercherà di uscire con l’aiuto degli unici due che hanno il fegato di mettersi contro il criminale: un anziano taglialegna (Hopkins) dal passato tormentato e dal suo dipendente Nate (Ludwig) un ragazzone grande e grosso, non molto sveglio ma di cuore.
Nulla in Blackway è nuovo o particolarmente inaspettato, è piuttosto stoicamente ancorato a degli archetipi di genere e dell’ Americana anzi, al punto da avere questo alone da favola nera di cui parlavo prima e forse è per questo che funziona, per questo e per uno strano mood di dilatazione del tempo e di slittamento dei generi che ha sospeso tra una crime story, un western invernale e i fratelli Grimm.
In parte il fascino del mood sta nell’autore del libro da cui il film è tratto, Castle Freeman Jr., uno che racconta da decenni piccole storie di comunità sperdute tra il Vermont e il New England, ma probabilmente è da ritrovare nel fatto che Daniel Alfredson, il regista, è svedese questo senso del freddo, la centralità della foresta, questa presenza costante della neve, la fotografia quasi tono su tono, i paesaggi senza mai orizzonte, la palpabile desolazione umana e fisica.
Altre nevi, altre foreste, certo, ma fatto sta che c’è una resa della solitudine e del freddo un po’ diversi da come vengono raccontati dal cinema statunitense, pur rimanendo il film una storia americana fino al midollo. L’approccio scandinavo su un canovaccio americano molto lineare evita forse il banale e trasporta il “già visto” nella dimensione quasi del folk, del “già visto” ma proprio per questo accettato per quello che è e apprezzato per le sue varianti, come gli standard blues, le murder ballads e tutto quel bagaglio di storie in musica che dalle piccole comunità rurali, come questa del film, venne. Qui il canovaccio è il più classico del western: qualcuno torna in città e la trova sotto il giogo di un corrotto, tutti hanno paura tranne un pugno di outcast che si uniscono per fare quello che gli altri, gente timorosa e con molto da perdere, non osano fare. Con una premessa così classica è ovvio che non vuoi reinventare la ruota ma fare un esercizio di stile, fare un western classico ma trapiantato dalla frontiera delle praterie o delle città minerarie in una periferia del nord degli USA talmente rarefatta e sospesa nel tempo da diventare quasi astratta, come in fondo molti western classici sono.
Di film che non inventano nulla ma onestamente fanno il loro lavoro ce ne sono sempre meno, spesso relegati a cast scadenti e DTV. Qui invece la confezione è elegante, la fotografia ottima, il cast valido, tutto funziona abbastanza modo e c’è un qualcosa di sfuggente nel tono che è decisamente un tocco in più. Eppure da quello che se ne legge in giro sembra che questo film abbia cacato sul divano di tutti i recensori interpellati, ne dicono fondamentalmente male, che è pieno di cliché e lento perlopiù, ma a mio parere è un piccolo film con la sua dignità e la sua spina dorsale, cosa che di recente non ho trovato in film con ben altri budget e mire.
La lentezza c’è ma fa parte del film, che qui può essere frainteso come un thriller d’azione per le sue premesse ma che è in realtà un western contemporaneo fuori dal tempo, cupo, logoro e senza gioia; magari non perfetto, magari non per tutti ma di sicuro non il disastro che si dice in giro.
DVD-quote:
“Un western contemporaneo fuori dal tempo, cupo, logoro e senza gioia”
Darth Von Trier, i400calci.com
Segnato, del resto è proprio come dici tu: di film che non inventano nulla ma onestamente fanno il loro lavoro ce ne sono sempre meno, spesso relegati a cast scadenti e DTV.
Appena lo becco e ho la serata giusta me lo vedo.
Vendutissimo, cazzo.
La “critica” internettiana, a parte poche eccezioni che confermano la regola, non significa più un cazzo, se mai ha significato qualcosa.
“Di film che non inventano nulla ma onestamente fanno il loro lavoro ce ne sono sempre meno, spesso relegati a cast scadenti e DTV. (…) Eppure da quello che se ne legge in giro sembra che questo film abbia cacato sul divano di tutti i recensori interpellati, ne dicono fondamentalmente male, che è pieno di cliché e lento perlopiù”
Guarda mentre leggevo questo paragrafo mi è tornato in mente “The Drop” aka “Chi è Senza Colpa” altro thriller di premesse e realizzazione classiche che pero grazie all’ atmosfera e un mestiere solido (oltre ad un ritmo stabile che molti pare non abbiano afferrato) porta a casa un risultato più che buono….per me almeno, perché non molto tempo fa mi sono infilato in una discussione in cui TUTTI ne parlavamo come di un pacco. Anzi mi spiace che sui Calci ai tempi non lo abbiate coperto.
Questo non l’ho visto ma dalle premesse della rece ora ne ho una buona voglia
A me il film non ha fatto impazzire. Soprattutto a livello di coreografia delle scene d’azione e della loro esigua durata mi ha dato l’idea che il regista fosse molto indeciso su cosa fare. Sembrava avesse in mente di realizzare una cosa stile non è un paese per vecchi che ben si adatta alla (bella) sceneggiatura ma senza averne la capacità, senza avere il gusto morboso della violenza e senza riuscire a sottolineare abbastanza quel sapore western che pervade la pellicola, che è ancora radicato in quelle parti sperdute dell America odierna . Il finale poi è molto sbrigativo, Ray Liotta è appena accennato.
Di per sé aveva le potenzialità per essere una bomba, ma non ha raggiunto i risultati prefissati.
Eppure gli riconosco dei meriti, soprattutto a livello di ciò che si voleva costruire, e sono molto contento che la rece non si allinei al coro di sberleffi che questo film ha collezionato.
Aggiungo che la traccia sonora italiana ha dei gravi problemi, le voci sovrastano i rumori di fondo e questo lascia un senso di fastidio che rende molto difficile abbandonarsi al film e goderne .
Credo che avere il fisico di un gigante e avere il padre produttore cinematografico sia un binomio di successo, mi riferisco al buon Ludwig, che comunque generalmente non mi dispiace.
Nota: il link “IMDb” rimanda esso pure al trailer.
Visto.
E’ vero che la resa dei conti finale sconta un po’ di indecisione, con la convenzionalità della confezione che stride con il carattere volutamente dimesso e casuale della scena, ma è un difetto che non rovina un film che per me è una un’opera di tutto rispetto con un suo bel respiro, anche meglio di quello che lascia intendere la pur ottima recensione.
Avercene uno alla settimana di film americani così virili, asciutti e adulti.
Stringe il cuore vederlo così poco cagato anche qui.
Ecco come rispondere male a Darth.
https://www.youtube.com/watch?v=god7hAPv8f0
Per ora mi ha stuzzicato.. se arriva a valere almeno 2/3 di “Un gelido inverno” mi ha comprato.