Cosa fa di uno young adult uno young adult?
Il fatto di avere come protagonisti ragazzini insopportabili? Il fatto di avere come protagonisti ragazzini insopportabili che si innamorano? Il fatto di essere fondamentalmente una brutta storia d’amore che incorpora elementi fantasy, horror o sci-fi nel modo più pigro e meno funzionale possibile?
E poi scusate, perché si chiamano young adult?
Odio fare quello che dice “ai miei tempi”, ma ai miei tempi le cose si chiamavano con il loro nome: il PD era la Democrazia Cristiana, le “graphic novel” erano fumetti e i “giovani adulti” si chiamavano ragazzi — ragazzi che, con quei due o tre paletti imposti dal comune buonsenso, guardavano e leggevano più o meno gli stessi film e libri che guardavano e leggevano gli adulti.
Non so perché sto parlando di questa roba, il fatto è che un film dal titolo I Am Not a Serial Killer è atterrato sulla mia scrivania (è un a scrivania figurata, la maggior parte di noi riceve le consegne tramite messaggio che si autodistrugge una volta ascoltato) con l’etichetta di young adult, e l’ho automaticamente affrontato con tutti i pregiudizi del caso: scazzo, fastidio, indisponenza e i primi 50 minuti passati aspettando il momento in cui si sarebbe rivelato una cazzata.
Come però accede a molti dei film che per quasi un’ora riescono a non rivelarsi una cazzata, I Am Not a Serial Killer è tutt’altro che un brutto film e, a conti fatti, col genere degli young adult non ha poi tanto a che fare. Non ne ha la production value, né ambisce a diventare una saga, non tratta il proprio pubblico da deficiente e non propina i soliti quattro cliché del caso a base di amori “impossibili” e futuri distopici. È tratto da una serie di libri grossomodo indirizzati a un pubblico di ragazzi e questo è quanto; si porta dietro quell’etichetta perché devi etichettare così una roba per venderla nel 2017, ma sia l’etichetta che il 2017 gli vanno piuttosto stretti: con appena un po’ di hipsterismo in meno, I Am Not a Serial Killer non avrebbe sfigurato in mezzo a quegli horror un po’ bislacchi e a loro modo meravigliosamente ingenui degli anni 80, una specie di cugino alla lontana di Ammazzavampiri (con cui ha almeno un grosso tratto in comune) e Martin di George Romero.
La storia è quella del giovane John Wayne Cleaver, un adolescente un bel po’ disturbato e con tutte le carte in regola per diventare un serial killer da manuale (a partire dal nome e dal fatto che molto sottilmente ad Halloween si vesta da clown), combattuto tra la voglia matta di fare a pezzi la gente e la consapevolezza che è meglio di no perché non sta bene, e se vi sembra la premessa di Dexter è perché è esattamente la premessa di Dexter — solo girata con quel filtro di nostalgia degli anni 80 alla Donnie Darko incontra Stranger Things, tutto synth e classic rock, 16mm e fotografia desaturata.
John si sforza di vivere un’esistenza che almeno da fuori appaia “normale”, ma sembra inevitabile che a un certo punto la sua natura prenderà il sopravvento e saranno cazzi amari per tutti… A meno che non arrivi prima qualcun altro. Perché il fatto è questo, l’anonima e tranquilla cittadina in mezzo al cazzo di niente del Midwest in cui si ambienta la vicenda è già da un po’ teatro di una serie di orrendi delitti con cui John non ha niente a che fare. Lo spirito di emulazione, la noia e un contorto bisogno di redenzione lo spingono a mettersi sulle tracce del “collega” e, più per un colpo di culo che per vere skillz da detective, a sgamarlo entro metà film. Resta solo da decidere il da farsi: cercare di fermarlo o dargli un sacco di cinque altissimi?
A onor del vero tutta la prima parte del film gioca su una serie di ambiguità atte a farci sospettare che forse forse il killer potrebbe essere proprio John (magari senza che lui stesso se ne renda conto), ma abbandona in fretta questa strada in favore di un paio di colpi di scena (il primo telefonatissimo, il secondo abbastanza inaspettato) e un lieve ma significativo cambio di registro. Il film, sia chiaro, non è esattamente Henry pioggia di sangue, gli squartamenti tende a inquadrarli da lontano o non inquadrarli affatto, e piuttosto si concentra sulla costruzione dei personaggi e dei loro rapporti, offrendo il ritratto di uno psicopatico adolescente che è — e forse è questa la sua intuizione più felice — non proprio diversissimo dal ritratto di un qualunque adolescente.
Billy O’Brien, irlandese (che cazzo ci fa nel Minnesota?), noto principalmente per un horror — giuro che non me lo sto inventando — su dei vitelli mutanti assassini, si dimostra migliore come regista che come sceneggiatore: tanto sono ricercate le atmosfere, le strizzate d’occhio e vezzi autoriali, quanto è lasciato a sé stesso uno script pieno di buchi e di piccoli ma significativi MACCOSA (uno su tutti: la madre di John è a conoscenza del suo “problema” ed è sinceramente preoccupata per lui; nonostante questo non trova niente di opinabile fino a tre quarti del film nel fatto che lui continui lavorare alle pompe funebri!). Niente per cui strapparsi i capelli o che rovini veramente la visione, ma un approccio meno sbrigativo, meno superficiale a cose come serial killer, disturbi della personalità e cittadine in preda all’isteria collettiva non avrebbe guastato.
Una mezza rivelazione invece l’attore scelto per il ruolo di John, il 19enne Max Records, l’ex bambino di Where the Wild Things Are (quel film di Spike Jonze che ha passato un paio d’anni nella vostra lista dei film da vedere finché non avete ammesso che non avevate veramente intenzione di vedere un film di Spike Jonze), perfettamente in parte e ulteriormente valorizzato da una spalla di super lusso come Christopher Lloyd, che nonostante lo screentime ridotto e lo script non proprio eccezionale, tira fuori un’interpretazione di un’intensità veramente inaspettata.
Ora che ho avuto modo di rifletterci, credo che a definire uno young adult sia il fatto di essere inoffensivo. Uno young adult tratta temi maturi sulla carta, a volte addirittura scabrosi, “adulti”, per l’appunto, ma in una forma che sia facile da digerire per un pubblico di poco più che bambini. Si presenta con una premessa o uno scenario “edgy”, ma non mette il lettore o lo spettatore di fronte a un vero conflitto, racconta storie magari anche belle, ma che non sono mai davvero problematiche, storie scevre di qualsiasi ambiguità in cui alla fine i buoni vincono sempre e si distinguono dai cattivi lontano un chilometro.
In questa accezione allora ha senso includere nel calderone un prodotto come I Am Not a Serial Killer, che ci parla di un ragazzo che potrebbe essere un serial killer ma in fondo è a modo suo un buono, uno psicopatico che attraversa l’intero film senza sporcarsi le mani e infine proteggendo chi ama e chi gli sta intorno. Un horror rassicurante, stemperato da humor nero e lieto fine, che forse non è proprio il massimo delle presentazioni per un horror, ma c’è ben di peggio.
DVD-quote:
“Se Dexter fosse uno young adult”
Quantum Tarantino, i400calci.com
“quel film di Spike Jonze che ha passato un paio d’anni nella vostra lista dei film da vedere finché non avete ammesso che non avevate veramente intenzione di vedere un film di Spike Jonze”. Cos’è mi tieni sotto controllo l’ Hard disk?
Been there, done that.
Where the Wild Things Are io l’ho visto al cinema e ti dirò che mi è piaciuto parecchio e ne conservo un bel ricordo!
Su questo, effettivamente, mi hai fatto venire la curiosità di vederlo
se conosci davvero l’opera di Sendak, il film è praticamente una bestemmia hipster
Bella lì, Quantum!
Complici alcuni buoni horror visti di recente, mi si è riaccesa la passione per il genere e con questa rece hai solleticato il mio interesse, terrò d’occhio il film e, visto che ci sono, vedrò di comprarmi pure il film sui vitelli mutanti assassini (Isolation), che vedo reperibile su DVD in UK. Dal trailer ricorda un Alien low budget con una fattoria al posto dell’astronave e un vitello mutante assassino al posto dello xenomorpho! XD
@Munky A suo tempo ho visto anch’io Where the Wild Things Are…strano forte, a tratti piuttosto inquietante, ma non mi è dispiaciuto affatto, anzi, ne ho un bel ricordo pure io.
quello sulle mucche mutanti l’ho visto!!!ahahah che filmaccio!!! l’avevo rimosso! incredibile!
questo qua non ancora, ma provvederò.
Nelle ultime righe hai praticamente detto come va a finire, spazzando via qualsiasi stimolo a vedere questo film. Non che la cosa mi tocchi, dato il livello di interesse pari allo zero che sta pellicola stimola in me, ma suggerirei comunque un minimo di attenzione in più per il futuro.
Quel che dice si intuisce tutto sommato abbastanza in fretta, in compenso non ha detto diverse altre cose molto importanti. Fidati che il film non è rovinato. :)
Per caso Max Records è un parente di Max Power?
Di tutto questo, comunque, mi interessa solo la presenza di Lloyd.
SPOILER SPOILER SPOILER che ci parla di un ragazzo che potrebbe essere un serial killer ma in fondo è a modo suo un buono,uno psicopatico che attraversa l’intero film senza sporcarsi le mani e infine proteggendo chi ama e chi gli sta intorno.Un horror rassicurante,stemperato da humor nero e lieto fine,
Spietatamente graffiante.
Oh ma i Sylvester?
Per la cronaca, manco a farlo apposta stasera su rai4 c’è Jimmy Bobo col buon Sly :D
Insomma il contrario di “iBoy”, che gioca con premesse e topos da young adult e poi diventa una doccia di nichilismo incazzato a tradimento.
No scusa chi lo ha definito YA?!?! In nessun’altra recensione online gli ho visto attaccata ‘sta etichetta…
Comunque anche a me e’ parsa la recensione piu’ spoilerosa mai letta su queste pagine, a meno che mi diciate che il film e’ comunque pieno di un sacco di altre cose da scoprire (nel qual caso pero’ mi suonerebbe strano il giudizio finale complessivamente negativo).
Quantum dice alcune cose che probabilmente io non avrei detto, ma non dice nulla che non si capisca abbastanza in fretta mentre guardi il film e non svela cose ben più importanti che accadono.
(E a me il giudizio finale non sembra poi così negativo)
Il libro non era malaccio, sicuramente una visione se l’è meritata.
P.S. Off-topic, finalmente posso tornare a postare commenti dalla rete aziendale, il “Tu non puoi passare” mi stava facendo girare le palle.