L’altra sera ero a cena dai miei (lo dico non per farvi pesare che ho una famiglia ma perché è l’unica circostanza in cui mi capita ancora di guardare la televisione) e che ti becco su Rai 4 se non quel disastro ferroviario di Double Team? JCVD all’apice della carriera, Dennis Rodman all’apice della fosforescenza dei suoi capelli, Mickey Rourke in caduta libera e Tsui Hark nella migliore interpretazione del regista straniero celebratissimo in patria che cala completamente le braghe non appena mette piede a Hollywood. Di questo e molto altro ha parlato Luotto (che ricordiamo sempre con affetto) quando ha scritto, alcuni anni fa, proprio di Double Team, una lettura che consiglio a tutti e un gancio perfetto per dirci: bella lì, ma poi Tsui Hark si è disintossicato? E cosa combina in questi giorni?
Sicuramente ricorderete come negli ultimi anni ci siamo sparati lo strampalato The Taking of Tiger Mountain e, prima ancora, il commercialissimo Detective Dee e il suo super scadente prequel, titoli minori e assolutamente non memorabili, ma che ci dicevano qualcosa di interessante sulla piega che sta prendendo il cinema di Tsui Hark. Sono film che guardano al passato nei temi, ma proiettati verso il futuro per quanto riguarda la realizzazione; ci parlano di un autore che ha sempre meno cazzi di occuparsi delle trame ma che è animato da una voglia matta di esplorare le illimitate possibilità che la moderna tecnologia ha da offrire. Tsui Hark, per capirci, è ad oggi uno dei pochi registi che quando fa un film in 3D lo fa perché lo vuole lui e ha effettivamente qualcosa da dire al riguardo – pure se quel qualcosa è “oh ragazzi ma quanto spacca il 3D!”
È forse anche per questo che la sua ultima fatica, Sword Master, uscito in Cina a fine dell’anno scorso, non si prende neanche il disturbo di firmarla, accontentandosi del titolo di produttore, dove “produttore” significa “prendere tutte le decisioni” e fondamentalmente sedersi dietro al regista, Derek Yee, e dirgli tutto quello che doveva fare.

Come no
Dal canto suo, Derek Yee è un’ex star del cinema di arti marziali, onnipresente nelle produzioni degli Shaw Brothers degli anni ’80, che con la chiusura degli studios e l’avanzare dell’età si è reinventato regista e sceneggiatore; emancipatosi dal cinema di menare, ha diretto con un certo successo per lo più drammi, thriller e qualche commedia accomunati tra loro da ambientazioni urbane e temi legati alla contemporaneità.
Per quanto il suo peso nella realizzazione di questa pellicola sia tutto da capire, la sua presenza è tutt’altro che casuale, dato che Sword Master è il remake dichiarato di Death Duel, il film del 1977, ovviamente degli Shaw Brothers, che ha lanciato Yee come attore.
In entrambi i casi, originale e remake, ci troviamo di fronte il classico intricatissimo canovaccio wuxia, fatto di complotti, tradimenti, scambi di persona, travestimenti e agnizioni, duelli inevitabili, amori impossibili e inspiegabili intermezzi comici – ma tutto è filtrato attraverso il mood crepuscolare, pessimista e disilluso degli anni ’80, che sottolinea continuamente la futilità di ogni combattimento e della violenza in generale, secondo il principio di fondo per cui lo scopo delle arti marziali non è sottomettere l’avversario, ma conoscere se stessi.
Chi ne ha svelato i misteri non lotta per la supremazia, che è un esercizio insensato e crudele, al contrario, dedica la vita a perfezionare la tecnica, ad affinare lo stile, e solo in un secondo momento, e proprio se la trama lo richiede, se ne serve per affermare sé stesso e per proteggere i deboli. L’artista marziale è prima di tutto un artista, alla costante ricerca del bel gesto.
Un discorso che chiaramente va molto a genio a Tsui Hark, che della ricerca della perfezione estetica ne ha fatto un mestiere che l’ha reso ricco. Sword Master è un esercizio di stile, ma di quelli hardcore, proprio.

Pure i poster sono belli belli in modo assurdo
Preoccupato che potesse farsi venire strane idee, un attimo prima di iniziare a girare, Hark ha preso da parte Yee e con molta calma, ma con la fermezza di chi non ammette di essere contraddetto, ha stabilito: “ora, tutto quello che rischia di sembrare naturale lo prendiamo e lo mettiamo in un altro film”. Quello che resta è un delirio estetizzante dove niente e nessuno è al sicuro, dalla recitazione alle ambientazioni, ogni cosa è sopra le righe. Colori ipersaturi, fotografia stilizzatissima (immancabili come in ogni wuxia che si rispetti il clan tutto vestito di nero e il clan tutto vestito di bianco), green screen ovunque e 3D come se fosse gratis.
Ogni scena è il trionfo della tecnologia sulla natura, così curata e allo stesso tempo così arrogante da ispirarmi un audace accostamento: col suo occhio bionico, l’amore per il digitale e l’ossessione per il controllo totale dell’inquadratura, Tsui Hark è praticamente il Michael Bay cinese, se Michael Bay fosse un poeta invece che uno zarro.

Posti dove andrei in vacanza: i green screen di Tsui Hark
Parallelamente al suo volersi sostituire a Dio attraverso il cinema, Hark porta avanti, grossomodo dai tempi di The Flying Swords of Dragon Gate, un lavoro di aggiornamento e sdoganamento del genere wuxia secondo le tecniche e i gusti del blockbuster contemporaneo. Sword Master è talmente postprodotto che in alcuni momenti sembra quasi di stare guardando un anime, ma l’abuso di effetti speciali non è invadente né fuori luogo, è una scelta perfettamente coerente a quel tipo di cinema, che è sempre stato un cinema di effetti speciali (solo che allora facevano pena). Acquista dunque un senso più profondo, che va oltre il semplice omaggio nostalgico, l’aver scelto di fare un remake anziché affidarsi a una sceneggiatura originale: di fatto Hark rimette in scena il film di allora con i potenti strumenti di oggi, cogliendo quella sottile differenza che c’è tra aggiornare e svecchiare.
Per esempio, tradizionalmente i wuxia venivano girati all’interno degli studi, poiché – tiro a indovinare – era più facile appendere un attore coi cavi al soffitto se c’era un soffitto; era una convenzione che non si cercava in alcun modo di nascondere, per creare le ambientazioni si utilizzavano fondali dipinti che davano un’idea stilizzata di esterno, ma che nessuno avrebbe potuto scambiare per un esterno vero, e andava benissimo a tutti così.

Tipo
Oggi, svecchiare il wuxia potrebbe voler dire girare all’aperto, in esterni veri, la tecnologia lo permette senza troppi problemi, ma è una soluzione che Hark rifiuta ugualmente. Restando fedele alla tradizione, alla matrice “teatrale” del wuxia, la aggiorna sostituendo alle quinte dipinte la loro naturale evoluzione, i fondali in green screen.

Tipo 2
In un certo senso Hark e Yee girano un wuxia ignorando lo stato attuale del genere e immaginando cosa sarebbe se gli Shaw Brothers fossero ancora attivi e prosperi come negli anni 70. E questo approccio si estende a tutto il resto, dai costumi alle armi, ai combattimenti (affidati non a caso ai due scafatissimi Yuen Bun e Dion Lam, coreografi dal curriculum impressionante che hanno attraversato indenni sia gli anni dell’artigianato sia la rivoluzione della CGI) e ai personaggi stessi, come dimostra il geniale makeover riservato al rivale del protagonista, lo spadaccino nichilista Yen Shih-San: le sue azioni, le sue motivazioni e il suo peso all’interno della storia restano grosso modo invariate, ma il suo fascino tenebroso si adatta ai gusti dei giorni nostri e se in Death Duel sembrava Vegeta, qui in Sword Master diventa una sorta di irresistibile, metrosessuale “Corvo wuxia”.

Prima e dopo il makeover
È vero, si tratta di un esperimento molto ambizioso, un lavoro estremamente cerebrale e che forse proprio a causa di questo ha sofferto non poco ai botteghini (flop clamoroso in Cina e poche possibilità di vederlo esportato), ma lasciate che vi dica una cosa: era tantissimo tempo che speravo di poter chiudere una recensione scrivendo Corvo wuxia.
DVD-quote:
“Audace. Coloratissimo. Corvo wuxia.”
Quantum Tarantino, i400calci.com
Nonostante Tsui Hark mi sia un po’ accaduto negli ultimi anni, alternando roba piacevole a vaccate…
Nonostante non sia proprio un fan dello stile wuxia del “tanto è irrealistico e allora premiamo ancora più forte sul pedale”…
Nonostante abbia perso un po’ il gusto del wuxia in genere – che mi faceva spruzzare da ragazzo – a favore di roba più “Raid-style”…
Il trailer che ho appena visto è una ficata assurda!!! Voglio!
il Dvd esce l’11/4!
Venduto già dalla visione dei poster, vado di fretta a cercarmi un trailer!
Senza andare a scomodare i pezzi storici (vado matto per Time and Tide) devo dire che anche il primo Detective Dee mi aveva divertito molto.
Ma quindi Luotto che fine ha fatto? E’ una perdita inestimabile…
Infatti… mi sono perso qualcosa? Cosa è successo a Luotto?
luotto sta benone, e che è, uno deve essere morto per ricordarlo con affetto?
ps. ceramiche non c’è bisogno che vai di fretta, il trailer sta in fondo alla rece
Non pensavo certo che avesse contratto il temibile morbo ; )
qualcosa di meno radicale, tipo “ha lasciato Valverde”
Ah, che idiota che sono!
Il trailer comunque è proprio quello mi aspettavo leggendo la rece: se non lo proiettano al Far East Film Festival dovrò andare alla ricerca del dvd.
Su Luotto anche io non mi riferivo a una dipartita reale ma all’abbandono del blog.
Ho passato gli anni novanta alla ricerca di vhs di film made in HK nelle peggio videoteche romane tanto ero affamato di quel cinema, ovviamente erano quasi tutte in lingua originale ma ognuna di esse che riportavo a casa era per me un trofeo.
Poi in VideoCD sono riuscito a recuperare capolavori come City on Fire, Armour Of God I&II, The Prodigal Son, The Blade, CityHunter! ecc. ecc.
Posseggo ancora la VHS della Scorpion di HardBoiled con doppiaggio ITA!
Poi da HK sono andati via gli inglesi è tutta la magia, o quasi, è svanita.
Ah! Ovviamente Double Team e Honk Kong colpo su colpo li vidi al primo giorno di programmazione, quanti bei ricordi…
Commozione, pure io…
Le volte che andavo a Londra tornavo con edizioni bellissimo o orrende prese in videoteche luride e per me erano trofei bellissimi.
Tipo Dragons Forever o Drunken Master II con triplo sottotitolo malay-cantonese-inglese (in pratica vedevi solo mezzo schemo libero lol).
Double Team visto la sera stessa e delusione cocentissima…
Porca paletta ryomare anche tu un affezionato dello “zio Chen”, come lo chiamavamo tra amici, il negozietto che spacciava film e videocd sub eng a Piazza Vittorio?
DA VEDERE.. A ME HARK è SEMPRE PIACIUTO, HO ADORATO DOUBLE TEAM, SIA PER VAN DAMME CHE X IL RITMO E LO STILE ACCELERATO E BIZZARRO TIPICO SUO… CMQ è VERO, HO SEMPRE PENSATO ANKE IO KE HARK SIA IL MICHAEL BAY ASIATICO!