A un certo punto di Manhunt c’è una scena in cui, dopo che lo sbirro e il fuggitivo innocente si sono menati per un po’ nell’abitacolo di un’auto in corsa, si schiantano contro quello che Jackie Lang ha definito “un deposito di colombe”. È quello il momento in cui un po’ ridi, un po’ ti rendi conto che John Woo è tornato. Il John Woo quello che piace a noi, quello che riprende tizi con gli occhi a mandorla mentre eseguono scene d’azione girate come nessun altro sa girarle. Quel John Woo è tornato, o forse non era mai andato via.
Oh, John Woo ha appena compiuto 70 anni, di anni ne sono passati 20 da Face/Off (sì, amico lettore, sentiti vecchio), 25 da Hard Boiled (sì, amico lettore, accarezza amorevolmente il tuo nipotino mentre gli racconti storie su come era grande il cinema di menare di un tempo). Da The Killer non vi dico quanti. Nel frattempo tutti i suoi discepoli sono invecchiati, i suoi emuli non asiatici scomparsi e poi è arrivato The Raid a ricordarci per quale motivo le botte girate come si deve siano la cosa più bella del cinema tutto. Ma John Woo è ancora il migliore, solo che non ce lo ricordavamo più benissimo perché era passato davvero troppo tempo (con l’unica eccezione de La battaglia dei tre regni).
Tutto questo lungo preambolo serve a introdurre un fatto che, francamente, a me ha fatto tremare le gambe e allo stesso tempo saltellare di gioia come una bambina bionda a cui abbiano finalmente regalato quel cazzo di pony. Abbiamo incontrato John Woo a Venezia. Ecco quello che ci ha detto.
Maestro… la possiamo chiamare Maestro, vero? Non è che poi si offende perché la confondono con Benigni? Maestro, dicevamo, come mai ha scelto il remake di un film giapponese anni ’70 (Kimi yo fundo no kawa wo watare di Jun’ya Sato) per tornare all’action?
Manhunt non è il remake del film giapponese, perché non abbiamo ottenuto i diritti. Semmai è un altro adattamento dello stesso romanzo (di Juko Nishimura) da cui è tratto quello. Il che significa che gli eventi sono gli stessi, ma le scene d’azione sono diverse. Del resto il romanzo è degli anni ’60 e andava aggiornato tutto. Ad esempio il fatto che le due killer siano delle donne è un’idea che ho inserito io.
E come mai l’ambientazione a Tokyo anziché in Cina?
Girare in Giappone è stato un sogno. Ammiro molto i vecchi film giapponesi e questo film mi ha dato la possibilità di imparare molto su culture diverse. E, visto che amo i film europei più di quelli americani, ora mi piacerebbe girare qualcosa in Europa.
Quest’anno fanno 20 anni secchi dall’uscita di Face/Off, un film con cui all’epoca ricordò agli americani quanta gioia potesse esserci in una pioggia di pallottole. Cosa ricorda di quel set?
Face/Off fu un grandissimo successo, eppure dietro c’è una storia che non posso dimenticare. Lo studio aveva amato la mia idea e come l’avevo girato, ma ci fu una cosa su cui discutemmo: il finale. Non volevano che John Travolta adottasse il figlio del cattivo, dicevano che il pubblico americano non l’avrebbe accettato, che era una questione culturale. Provai a spiegargli che non è una questione di cultura, ma di umanità: tutti hanno a cuore il destino di un bambino. Ma non mi fecero girare quel finale. Poi, però, quando facemmo i primi test screening, in cui al pubblico vengono dati foglietti da compilare per capire come abbia recepito il film, notammo che il film piaceva ma il punteggio finale era bassissimo, cosa che non ci spiegavamo. Andando a scartabellare tra i foglietti scoprimmo che avevano odiato il fatto che il bambino non venisse adottato. I produttori vennero tutti a scusarsi e mi chiesero di rigirare il finale, cosa di cui fui felicissimo. E ancora oggi si scusano con me quando mi incontrano. Alla fine ho provato il mio punto: la natura umana è la stessa a prescindere da dove sei nato. L’azione può essere nazionale, mentre la natura umana è internazionale.
Parliamo di colombe. Ormai sono il suo marchio di fabbrica e tornano anche qui…
Uno dei temi principali di tutti i miei film è l’amicizia. Qui ci sono un giapponese e un cinese che non vanno d’accordo per via di incomprensioni, e il messaggio che voglio mandare con questa storia è che tutti possiamo essere amici. Così, quando ho girato la scena in cui si scontrano per la prima volta, nonostante mi fossi detto che stavolta non avrei usato le colombe, alla fine ce le ho messe. Ho capito che era importante e forte che, nel momento in cui tentano di spararsi, comparisse una colomba e salvasse loro la vita, proprio passando loro davanti.
Un grande messaggio di pace e armonia che lei racconta sempre con le armi da fuoco. Ad esempio facendo combattere i due protagonisti come un uomo solo…
La scena in cui lottano insieme ammanettati è una mia aggiunta, non c’era nel libro. Mi sono chiesto come poter mettere in scena uno scontro con doppia pistola se i due sono ammanettati. Li ho fatti funzionare come un sol uomo, entrambi hanno una pistola ma si muovono come fossero una persona sola. Ecco, è così che creo l’azione: sfruttandola per costruire l’amicizia e far lavorare i due personaggi insieme.
Oltre alle colombe e all’amicizia virile, c’è anche un altro punto fermo del suo cinema che torna qui: le sparatorie al ralenti…
Con il ralenti cerco di creare qualcosa di bello, di cambiare la maniera in cui le persone si muovono per dare ai miei film uno stile unico. In realtà non uso solo il ralenti, ma proprio diverse velocità. Io giro sempre le mie scene d’azione con più di una macchina da presa, ognuna impostata a una velocità diversa, così poi posso montare tutto insieme. Il ralenti mi serve a fare molte cose: a creare emozione in certi punti, a creare epica o un sentimento all’interno dell’azione. L’importante è che tutto sia chiaro e si capisca. Gli attori, poi, non sanno mai quando una scena è girata a una velocità diversa. Non sanno se una delle macchine da presa che girano abbia un’altra velocità o quale sia. Non lo sa nessuno, nemmeno gli attrezzisti, è una cosa che da sempre faccio di nascosto per non creare consapevolezza, per essere certo di poter catturare quel che voglio con spontaneità.
Ma cosa avete combinato? Un`intervista al Maestro in persona… e anche un`ottima intervista, belle domande, precise, e risposte sincere e articolate. Ottimo lavoro.
In quanto al film, Manhunt, che sto aspettando e che spero esca anche qui dove abito io, vorrei aggiungere una precisazione da rompicoglioni paranoico (il quale io sono): so per certo che tutti i film prodotti in Cina seguono le direttive imposte dal Partito (e quelli stranieri che vengono distribuiti devo rispondere a certe direttive da cui non si scappa), pena la censura, o peggio ancora… incarcerazione, carriera finita, la solita roba.
Manhunt, come e` chiaro, proviene da un libro giapponese che divenne un film nel 1976 credo. Siccome una delle direttive che i cineasti cinesi devono seguire e` quello di non mostrare mai un cinese un uccidere un altro cinese, e non mostrare mai niente che metta in discussione la bontà`o l`onesta delle istituzioni. Da qui credo anche la decisione di raccontare di un cittadino cinese vittima di un complotto in Giappone, anziché` in Cina (dove sarebbe stato più` logico ambientare il film).
Stiamo comunque parlando di John Woo… per cui importa poco alla fine.
Massì, tanto se il mondo non si è ribaltato nell’ultima mezz’ora la visione cinese dei giapponesi è sempre più o meno quella che li pone a metà tra vampiri nazisti e stupratori di feti nati morti :D .
Ti rispondo da persona che ama il Giappone, sposata con una giapponese e che vive e lavora in Giappone (dopo una vita passata in Cina): su questo punto i Cinesi hanno parecchio ragione e il Giappone dovrebbe darsi una mossa e riconoscere gli orrori commessi durante la Seconda Guerra Mondiale, che sono pari se non peggiori di quelli nazisti.
Perchè tutti voi sposati con una persona asiatica siete alti, secchi, con i capelli quasi sempre lunghi e con un pizzico di spocchia nel riprendere noi poveri stolti che pronunciamo male i nomi dei registi asiatici?
Io sono 176cm, niente do speciale. Magro ma abbastanza atletico (corro e faccio ginnastica), non fisico secco da intellettuale di sinistra in crisi di proteine. Sono calvo e tengo la testa rasata. In quanto alla pronuncia, il giapponese so pronuncia come l’Italiano, il cinese e’ complicato, ma chissene. Vivi tranquillo.
Mmm ok allora. Meno male
Ah, ma non lo metto in dubbio, Zen. Il Giappone ne ha fatte, di porcate, durante la WWII, e il fatto che tuttora non ci sia stato un chiarimento seppur “formale”, non aiuta certo a dimenticare.
Voglio dire, tutti noi odiamo giustamente i crucchi, ma almeno quelli ogni tre secondi, se sei non-tedesco, si sentono in colpa con te per il nazismo :D .
Il problema non e` la mancanza di un chiarimento formale (che, a volere essere precisi, c`e` anche stato e più` di una volta), ma il fatto che il Massacro di Nanjing, per dire, o gli orrori della Unit 731 non siano ancora studiati o menzionati a scuola, oppure il fatto che le salme di criminali di guerra sia ancora presenti all`interno del tempio Yasukuni, cui PM del Giappone porgono omaggio ogni anno (un po` come se la Merkel, o chi per essa, andasse a visitare le salme di Hitler o di altri ufficiali nazisti)…Il Giappone deve davvero cambiare rotta su questo… e te lo dice uno che non ha troppe simpatie per le politiche Cinesi.
Oddio piango. In maniera molto maschia e calcista. Piango forte. Questa è una giornata stupenda. W John Woo, W le sparatorie di amicizia, W John Woo, le colombe e John Woo.
La storia del finale di Face/Off è bellissima, ma il trailer è un ammasso di citazioni ai suoi vecchi film, non è che sia una cosa brutta, però mi aspettavo una roba un po’ più nuova.
John Woo si è messo a fare il Tsui Hark annegando tutto nella CGI oppure questo ritorno al genere è anche un ritorno alle origini?
In giro non si leggono cose entusiasmanti, ma il Maestro sarà sempre il Maestro.
uno dei momenti più alti del sito, brav
Siete sempre di un’altra categoria. Il film lo attendo, anche se temo che il Maestro (Benigni chi?) non abbia più la dirompenza di un tempo, ma questa intervista è fantastica.
volendo ci stava pure la domanda “grandissimo, ora che stai per tirare le cuoia te la senti di fare un po’ il punto sul genere e dirci chi vedi bene per il futuro? hai simpatie?”
Che bello leggere un intervista al mitico John. Comunque bramo la visione di quest’opera.
Il maestro che ha creato il genere heroic bloodsheet(eroico bagno di sangue),memorabili The Killer e Bullet in the head,pensate che pure al montaggio di Windtalkers e riuscito a far passare una scena che l’esercito USA non voleva.
Peccato che dal 2009 non ha più diretto.
In realta’ esiste The Crossing, film in due parti uscito tra il 2014 e 2015: 4 ore che raccontano di una nave che trasportava profughi Cinesi a Taiwan nel 1949 e che affondo’ portandosi dietro tutti. A fare i pignoli, esiste anche Reign of Assassins, film cinese fantasy del 2010, prodotto dal Nostro e pare anche parzialmente diretto.
Chapeau!
Sempre i migliori! Speriamo arrivi presto che di John Woo non si butta via niente.
GRANDE JOHN WOO! LA SUA MOVIOLA HA CONDIZIONATO I MOVIMENTI DEL MIO CORPO DA SENZA TREGUA IN POI..! MAESTRO è L AGGETTIVO GIUSTO PER LUI..
CMQ UNA COSA CHE NON CENTRA NULLA CON QUESTO POST:
MA COME MAI NESSUNO HA ANCORA PARLATO DELL’ULTIMO FILM DI VAN DAME “KILL’EM ALL”??? E DEL TRAILER DI KICKBOXER 2???
UN SALUTO E UN CALCIO AL VOLO A TUTTI!
Perché Kill Em All è terribile.. Roba che pare girata con un telefonino di 10 anni fa.. Un film confuso e noioso.. E tutto ciò nonostante una certa abbondanza di scontri, tutti comunque girati davvero male.
E chi scrive è un super fan del nostro amico Jean Claude da quasi trent’anni
lo so lo so anch’io caro ANONIMO! POTEVANO FARE DAVVERO DI MEGLIO, SPECIALMENTE PER IL FATTO CHE IL FIGLIO DI VAN DAMME FINALMENTE LO SI VEDE COMBATTERE, CHE L’AVVERSARIO FINALE è DANIEL BERNHARDT E CHE IL REGISTA è IL VETERANO E AMICO DI JEAN CLAUDE, PETER MALOTA, OVVERO LO SPAGNOLO DE “LA PROVA”. CHE PECCATO ANCORA!